mercoledì 24 febbraio 2016
I funzionari culturali del governatorato coloniale si schierano con il Crociato Panebianco
Attenti a non minimizzare
Giovanni Sabbatucci Busiarda di oggi
Per la seconda volta in due giorni, un professore che insegna all’Università di Bologna, Angelo Panebianco, noto anche per la sua attività di commentatore politico, si è visto interrompere una lezione. Ad interromperla un manipolo di contestatori che non condividevano le sue idee sulla guerra e sulla pace in riferimento all’attuale crisi mediorientale. Era già accaduto qualche mese fa. E nemmeno allora il fatto aveva suscitato reazioni adeguate alla sua gravità, come ci si dovrebbe aspettare quando sia in gioco un diritto violato.
Poche volte come in questo momento il tema dei diritti civili (della loro estensione e della loro tutela legislativa) è stato al centro del dibattito pubblico in Italia. «I diritti – lo ricordava ieri un editoriale su Repubblica – sono indivisibili, e quelli civili non sono un lusso, perché riguardano la libertà e dignità di ognuno». L’autore dell’articolo, Stefano Rodotà, si riferiva ai diritti che potremmo definire «nuovi», quelli entrati solo in tempi recenti nell’ambito di azione della politica e attinenti alla sfera della vita privata, dell’identità sessuale, dei rapporti familiari. Proprio ieri, però, l’episodio solo apparentemente minore della contestazione a Panebianco ci riportava alle tematiche «classiche» dei diritti fondamentali, primo fra tutti quello di poter professare le proprie idee ed esprimere liberamente il proprio pensiero.
La tentazione, in casi come questi, è spesso quella di minimizzare. I contestatori erano pochi, isolati anche fra gli studenti. Hanno solo fatto baccano, ottenendo con poco sforzo il loro scopo: finire sulle pagine dei giornali e sugli schermi della tv. Meglio dunque non dar loro troppo peso, anzi non parlarne proprio. Ma sarebbe un errore grave. E non solo perché i disturbatori hanno replicato la loro performance, quasi a voler trasformare una contestazione isolata in un bando perpetuo. Ma anche perché i precedenti in materia sono inquietanti.
Nella stagione del mitico Sessantotto, a molti professori fu impedito fisicamente di tener lezione, ad altri fu imposta la pratica degli esami di gruppo o del sei politico; altri ancora (fra questi Rosario Romeo) furono sequestrati nei loro studi. In quei tempi e in quella atmosfera, nessuno ci fece gran caso. Ma, una decina di anni dopo (1979), nella Padova tenuta in ostaggio dalle frange violente, gli autonomi cercarono di spaccare la testa allo psicologo (ed ex partigiano) Guido Petter e gambizzarono con armi da fuoco lo storico socialista Angelo Ventura. Nel 1988 e poi nel 1991, Renzo De Felice fu rumorosamente contestato nella facoltà di Scienze politiche della Sapienza. Nel febbraio del 1996, quando il biografo di Mussolini era già molto malato e prossimo alla morte, ignoti attentatori lanciarono due bombe molotov sul terrazzo della sua casa. Si trattava evidentemente di dilettanti: le molotov non esplosero e nessuno si fece male. E l’episodio, oggettivamente grave a prescindere dalle sue conseguenze, fu largamente sottovalutato.
Non è il caso dunque di ripetere quegli errori. Una democrazia non tollera censure preventive, tanto meno se si manifestano con atti di prepotenza. E meno ancora può tollerarle un’istituzione universitaria, che ha la sua funzione e la sua ragion d’essere non solo nel trasmettere i saperi, ma anche nel consentire e nello sviluppare il libero confronto fra idee diverse.
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