martedì 9 febbraio 2016

I Longobardi in Italia meridionale tra X e XI secolo e la ricerca di un Protosalvini Matamoros

il tramonto della langobardia minor tommaso indelli
Il titolo della recensione è uno spasso. L'ignoranza è abissale [SGA].

Tommaso Indelli: Il tramonto della Langobardía Minor. Longobardi, Saraceni e Normanni nel Mezzogiorno (X-XI sec.), Gaia, pp. 212, euro 20

Risvolto
La monografia si propone di indagare uno dei periodi più affascinanti e controversi della storia dei Longobardi nel Mezzogiorno: l’età di Pandolfo I Capodiferro di Capua e Guaimario IV di Salerno. Cronologicamente, il periodo è compreso tra la metà del X sec. e la fine dell’XI e rappresenta la fase di transizione dalla dominazione longobarda a quella normanna. Un segmento cronologico importante non solo per la storia del Mezzogiorno d’Italia, ma anche dell’Europa mediterranea, in cui, proprio in quei secoli, cominciavano a manifestarsi i germi della “rinascita” che caratterizzò lo sviluppo del continente fino al XIV sec. Ancora oggi, nei manuali di uso scolastico e universitario, questo periodo storico figura come “età di transizione”, dai secoli dell’Alto a quelli del Basso Medioevo, secondo la bipartizione dell’Età medievale convenzionalmente adottata dalla storiografia italiana. 

Il X secolo è, storiograficamente, il “secolo di ferro”. L’Europa carolingia fu devastata da nuove “invasioni barbariche”, dopo quelle che determinarono il crollo dell’impero romano, e popoli sconosciuti minacciarono i suoi confini: Normanni, Magiari, Saraceni. L’impero carolingio andò, progressivamente, disgregandosi sotto l’urto dei nuovi “barbari” e delle guerre tra i successori di Carlo Magno, mentre il potere pubblico si dissolse in una miriade di potentati autonomi - le signorie territoriali - che non riconoscevano più alcuna autorità. 
I re e gli imperatori erano ridotti, ormai, a figure simboliche. Mentre gran parte del continente europeo regrediva a livelli economici e demografici antecedenti la breve stagione della “rinascita carolingia”, nel Mezzogiorno d’Italia, la Langobardìa minor, erede del regno fondato da Alboino, si frammentava nei principati di Benevento, Salerno e Capua. 
Il Mezzogiorno partecipava al processo di generale dissoluzione delle eredità del passato, ma, grazie alle personalità straordinarie di Pandolfo I Capodiferro di Capua e Guaimario IV di Salerno, l’eredità politica, culturale ed “etnica” dei Longobardi riuscì a ritrovare la forza per contrastare l’espansione militare dell’Islam mediterraneo. 
Si aprì con le straordinarie figure dei due principi - e prima del definitivo tramonto - l’ultima stagione di splendore del Mezzogiorno longobardo, che anticipò la “rinascita” politica, economica e culturale dell’Occidente agli albori dell’XI secolo. Una “stagione” di breve durata e densa di eventi, in cui la Langobardìa minor fu capace di ritrovare l’unità perduta e i fasti di Arechi II, prima di cadere, anch’essa, sotto l’urto dei temibili predoni normanni. 
Ripercorrendo gli eventi che caratterizzarono l’ultima - ma anche la più intensa - stagione di vita della Langobardìa minor , il libro si sofferma non solo sulle personalità dei principi, legislatori e condottieri, in grado di segnare un'epoca, ma anche sugli uomini di Chiesa e di cultura, sui monaci e i medici, i poeti e gli eruditi come Desiderio di Montecassino, Alfano di Salerno, Costantino l’Africano, Trotula de Ruggiero. Accanto ad essi, le grandi personalità dei papi della “Riforma” ecclesiastica - Leone IX, Niccolò II, Gregorio VII - alle prese con la corruzione della Chiesa, la lotta contro gli imperatori germanici, lo scisma degli Ortodossi, le incursioni dei Saraceni e dei Normanni. 
Tutte furono figure emblematiche - perfette interpreti dello Zeitgeist - costrette, loro malgrado, a misurarsi con un’epoca dura, ma non aliena da grandi e significativi cambiamenti culturali: un tassello importante nella costruzione della civiltà dell’Europa mediterranea e nella definizione della sua identità.

Tommaso Indelli è Assegnista di Ricerca in Storia Medievale e Assistente di Cattedra del Prof. Claudio Azzara presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Salerno.


La dorata resistenza dei Longobardi all’islam 
Un saggio racconta le gesta di Pandolfo I di Capua e di Guaimario IV di Salerno: con loro fiorirono gli scriptoria benedettini, la scuola medica e anche il volgare italiano. Fino alla vittoria normanna 

9 feb 2016  Libero GIANLUCAVENEZIANI 
C’è stato un tempo in cui la Longobardia aveva il suo cuorenelMezzogiornoedera l’estremobaluardoper contenere le incursioni saracene, mentre l’universo della cristianità che si richiamava all’antica Roma (dal Sacro Romano Impero tedesco alla Nuova Roma rappresentata da Costantinopoli) era diviso e incapace di far fronte allaminacce degli invasori. Da un punto di vistapolitico, questa versione tarda del potere longobardo, i cui centri propulsori furono Benevento, Capua e Salerno, riuscì sia a garantire unità interna al Mezzogiorno, attraversounaforma assai moderna di decentramento amministrativo (una sorta di federalismo ante litteram), sia a difenderlo dainemici esterni, evitando che dopo la conquista della Sicilia (902) il Sud si trasformasse in un’appendice del mondoislamico(e fondamentale, in tal senso, fu la sconfitta dei saraceni nella battaglia delGarigliano del 915). 
Daunpuntodi vista culturale, quella realtà istituzionale assicurò la continuità della tradizione classica, grazie alla preziosissima operadicustodia e di trascrizione degli antichi manoscritti dapartedegli abati diMontecassino, ma allo stesso tempo inaugurò una nuova civiltà, sintesi di quelle romanica-occidentale, greca-bizantina e araba-orientale, favorendo la nascita di centri del sapere all’avanguardia (come la scuolamedica di Salerno) e la codificazione di forme ineditedi linguaggio scritto (vedi iprimi accenni di volgare italiano). 
Quella straordinaria esperienzadi rinascita delMeridione viene ora raccontata da Tommaso Indelli neldocumentatissimo libro Il tramonto della LangobardíaMinor. Longobardi, Saraceni eNormanni nelMezzogiorno (X-XI sec.) ( Gaia, pp. 212, euro 20), un viaggio che si snoda lungo due secoli, soffermandosi su due eccellenti figure di principi longobardi, Pandolfo I di Capua, detto Capodiferro, e Guaimario IV di Salerno. 
Furonoloro imassimi rappresentanti del periodo finale del poterelongobardo inItalia, quella fase cominciata nel 774 allorché, all’indomani della sconfitta di reDesideriodaparte deiFranchi, ilducaArechi II aveva trasferito la sede della corte a Salerno, fondando la Langobardíaminor come entità politica indipendente. L’immagine storiografica del “tramonto” non deve far pensare tuttavia auna fase didecadenza, quanto almomento di compimento di una cultura che nei passaggi conclusivi portò a maturazione i suoi fruttimigliori. 
Il primo protagonista di questo periodo, Pandolfo I (961-81) diCapua, fuildominuscheunificò tutti i territoridella Longobardia centro-meridionale (compreso anche il ducato di Spoleto), nonchéilcampionedella cristianità che risparmiò alSud l’invasione saracena, attraverso una sapiente strategia di alleanze: prima l’accordo con papa Giovanni XIII legittimò il principelongobardo comemilesChristi, garantendo a Capua il ruolo di arcidiocesi e il titolo di «città santa» delSud; quindi labenedizione imperiale da partediOttone I fece di Pandolfo il titolare del potere romanico-occidentalenelMeridione, contro lepretese dell’imperatore bizantino e le incursioni arabe (nona caso, solo dopo la sua morte, nel 982, i saraceni avrebbero sconfitto la coalizione cristiana nella battaglia di Stilo). Ma il regno di Pandolfosisegnalòancheperlafioritura culturale: a quel periodo risalgono la fervida attività degli scriptoria benedettini, raffinate scuole capuane di miniaturisti, maanche le primetestimonianze dell’uso del volgare italiano, come dimostrano il placito capuano e i placiti cassinesi. 
Il secondo grande esponente della «Longobardia minore» fu Guaimario IV (1027-52), principe di Salerno, che unificò sotto di sé un grande territorio, comprendente tutta la Campania, la Lucania, la Puglia e buona parte della Calabria, avvalendosi dell’appoggiodeiguerrierinormanni, da poco approdati nel Meridione: da un lato li utilizzò in chiave anti-saracena, inviandoli in campagne finalizzate alla riconquista della Sicilia (1038); dall’altro se ne servì per liberarsi della presenza bizantina, attraverso una politica sia matrimoniale che di investiture. Fu in quella fase e in quella immediatamente successiva segnata dalla figura di Gisulfo II (1052-77) che, oltre a ritrovareunità territoriale, la Longobardia visse l’apice del suo splendore intellettuale e religioso: la scuolamedica di Salerno, la prima vera università d’Europa, divennepuntodi convergenza di studiosi e luminari da tutto il continente, mentre personalità di spicco nelmondo ecclesiastico, come ilvescovoAlfano di Salerno e l’abateDesiderio di Montecassino, permisero un rinnovamento della Chiesa attraverso la riscoperta dell’antichità, la lotta alle eresie eunprocessodi ricattolicizzazione del Meridione sia contro la confessione ortodossa (nel 1054 si era consumato lo scisma d’Oriente) che la fedemusulmana. 
Scherzo della storia fu però che, anziché dai saraceni o dai bizantini, il mondo longobardo sarebbe stato spazzato via dagli alleatinormanni: tra 1076 e 1077 il normanno Roberto ilGuiscardo, appoggiato dall’imperatore Enrico IV, assediò ed espugnò Salerno, detronizzando suo cognato Gisulfo II, ultimo principe di Langobardía. In pochi anni terminaronocosìnelMezzogiorno le esperienze politiche dei bizantini (l’ultimo avamposto di Costantinopoli, Bari, cadde nel 1071), deimusulmani (Palermo fu conquistata dai normanni nel 1072) e dei longobardi (1077). Iniziava allora il dominio normanno e poi svevo nel Sud Italia: dove non poté l’islam, riuscì la “Troika” delNord Europa.

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