Liberalismo cercasi con urgenza
lunedì 15 febbraio 2016
Il maledetto Sonderweg italico democratico e la strenua ricerca religiosa di un "liberalismo postmoderno"
L'intenzione di Massimiliano è ottima. Non altrettanto gli strumenti che ritiene di evocare [SGA].
Liberalismo cercasi con urgenza
Liberalismo cercasi con urgenza
Massimiliano Panarari Stampa 15 2 2106
Nuove sono le mappe politiche dei nostri anni. E anche se le geografie non si sono stabilizzate, uomini politici e analisti si trovano a fare i conti con temi molto diversi da quelli che avevano contraddistinto la battaglia delle idee e la lotta politica lungo il Novecento. Tematiche, va sottolineato, sempre più spesso trasversali rispetto all’asse sinistra-destra, e capaci di mobilitare singoli e gruppi (cosa che le tradizionali narrazioni ideologiche ammaccatissime, o definitivamente archiviate, non sono più in grado di fare) sulla base di questioni valoriali o delle sensibilità intorno a quella che il sociologo Anthony Giddens ha definito la «politica della vita». Vale per l’aspro dibattito sulle unioni civili in corso in Italia, come per il ritorno sulla scena elettorale degli evangelici pro-life corteggiati dai competitor delle primarie del partito repubblicano americano.
L’oggetto del contendere si sposta su un terreno che si colloca a metà tra lo stile di vita e il patrimonio di concezioni etico-morali considerate come non negoziabili. Sono nuovi terreni post-ideologici all’insegna di fratture e cleavage (come li chiamano gli scienziati della politica) simbolici inediti. Ma la battaglia torna, proprio come in un certo passato, a essere ultimativa, negli Stati Uniti come nel nostro Paese. In Italia, in particolare, la spiegazione di questo contrasto modello «madre di tutte le battaglie» intorno al ddl sulle unioni civili rimanda a una serie di stratificazioni storiche e culturali di lungo periodo, che si saldano alle varie paure e inquietudini (reali o infondate) di cui si rivela costellata l’attuale epoca liquida.
La reazione diventa così quella di rifugiarsi all’interno di una trincea identitaria che consola coloro che vi si sono arroccati, ma non fa avanzare la discussione e la convivenza. E, per di più, si presta a non poche strumentalizzazioni che hanno, in genere, gioco facile perché il nostro Paese è meno moderno - in parti rilevanti della sua società, come nell’organizzazione e nel funzionamento generale dello Stato - di molte altre democrazie rappresentative occidentali. La difficoltà di affrontare la materia dei diritti individuali con le categorie del Secolo breve diventa quindi massima (ed estrema) proprio a casa nostra. Il fatto è che l’arretratezza nazionale nel campo dei diritti civili ha a che fare con l’eredità (di nuovo, trasversale) di quelle culture e subculture politiche egemoni nella storia novecentesca del nostro Paese che, dalla centralità delle masse a quella del gruppo, dal primato della classe sociale alla rivendicazione dell’identità (rigorosamente) collettiva, hanno teso a sacrificare l’individuo e le sue libertà. Queste dottrine e pratiche politiche hanno certamente svolto anche una funzione di incivilimento di una società per tanto tempo arcaica e culturalmente depressa, ma sono sostanzialmente rimaste delle «gabbie fordiste», deliberatamente aliene e spesso nemiche delle istanze di soggettività.
La diffusione dei valori post-materialisti ha trovato qui da noi una cultura liberale ancora molto «classica» e, per tanti versi, ottocentesca, che non aveva saputo (né voluto) diventare, in termini di mentalità, un patrimonio condiviso da settori ampi della popolazione. La somma di queste fragilità e dello sgretolamento delle antiche culture politiche ci espone così al rischio del dilagare senza freni della retorica di un nuovo «organismo collettivo» (tornato indistinto e generico, com’era prima delle divisioni sociali del XX secolo), il «popolo», vessillo a disposizione di imprenditori elettorali della paura che, a differenza dei partiti di massa italiani del secondo dopoguerra, hanno ben poco rispetto dei limiti e delle regole della Costituzione. Di fronte alle sfide intrecciate del populismo, del fanatismo e dell’integralismo, servirebbe allora una cultura politica di tipo innovativo, un liberalismo capace di svolgere un ruolo civile e «pedagogico» di educazione al valore prezioso della singolarità e della differenza, e in grado di operare la mobilitazione cognitiva e l’accrescimento delle competenze (sotto ogni profilo) degli individui. Cercasi urgentemente, insomma, un liberalismo positivo e postmoderno.
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