Ricordo quanto ce l'hanno menata, con questo qua [SGA].
venerdì 26 febbraio 2016
Il "subcomandante Marcos" è ancora vivo
Ricordo quanto ce l'hanno menata, con questo qua [SGA].
Per anni la sua identità rimase un mistero: poi si scoprì che era un professore di Filosofia
di Omero Ciai Repubblica 26.2.16
Marcos
forse può togliersi il passamontagna, non è più un ricercato. Per la
giustizia messicana i reati di cui venne incriminato all’inizio del
1994, durante la rivolta degli indios del Chiapas, sono prescritti e lui
è libero da ogni accusa.
Ma non se lo toglierà, il famoso
passamontagna nero. Marcos ha sempre spiegato che lui e i militanti
zapatisti non lo indossarono per non essere riconoscibili ma per
l’esatto contrario: occultando il volto, nella società delle immagini,
diventavano visibili. E fu quello che accadde, l’uomo del passamontagna
diventò una star internazionale, il nuovo Che Guevara che aveva lasciato
un tranquillo incarico di professore di filosofia all’Università di
Città del Messico per confondersi con i più poveri, con gli indios del
Chiapas, nell’estremo sud del Paese, al confine con il Guatemala.
Ad
elevarlo nel ruolo di eroe della sinistra ci pensò subito un’eretica
appassionata come Danielle Mitterrand, la vedova dell’ex Presidente
francese, che per prima aprì il pellegrinaggio degli intellettuali
europei alla corte del nuovo messia. Quando nel ‘96, di ritorno a
Parigi, chiesero a Danielle cosa c’era sotto il passamontagna rispose:
«Il mistero deve restare intatto, e essere rispettato. L’identità
dell’uomo chiamato Marcos non ha importanza: qualunque cosa accada
resterà sempre vivo». E la moda scoppiò, tutti s’interessavano del
Chiapas. Ci andò persino Fausto Bertinotti, ribattezzato “subcomandante
Fausto”, quand’era presidente della Camera. Ci andarono Gabriel García
Márquez, Eduardo Galeano e Noam Chomsky.
Il governo messicano,
invece, s’impegnò fin dall’inizio a svelare l’enigma, nella convinzione
che se fosse riuscito a dare una faccia al cavaliere errante che dava
voce agli esclusi, avrebbe ridotto l’impatto mediatico delle sue idee.
Si mosse l’intelligence e si pagarono spie e traditori, finché, nella
primavera del 2001, il segreto cadde. Marcos, che si faceva chiamare
“sub”, cioé “sotto”, perché il vero potere risiede nel popolo e non nel
comandante, era un professore di Filosofia, dell’Università più famosa
della capitale messicana, la Unam, quella pubblica. Si chiamava Rafael
Sebastian Guillén, era nato, quarto di otto figli, a Tampico, nello
Stato di Tamaulipas, il 10 luglio del 1957. Proveniva da una famiglia di
media borghesia, i suoi genitori possedevano alcuni negozi di mobili, e
aveva anche due sorelle molto impegnate in politica. Ma dalla parte
sbagliata, nel Pri, il partito del governo. Poi si scoprì che aveva
vissuto in Europa e che aveva lavorato al Corte Inglés, la catena di
grandi magazzini spagnoli, dai quali era stato licenziato perché vendeva
i prodotti ad un prezzo inferiore a quello riportato dall’etichetta.
Robin Hood fin da giovanissimo.
Lo scrittore Manuel Vázquez
Montalbán, che viaggiò diverse volte in Messico per incontrarlo,
raccontava che Marcos era ghiotto di salame catalano e gli chiedeva
sempre di portargliene un po’.
A quei tempi Marcos interveniva su
tutto e aveva relazioni epistolari con gli intellettuali di sinistra
d’America e d’Europa iniziando sempre le sue lettere con una data molto
evocativa che faceva sognare: «dalle montagne del sud est messicano».
Pubblicava libri di favole per bambini e un romanzo poliziesco, scritto a
quattro mani con Paco Taibo II, “Morti scomodi”.
Poi cominciò a
svanire tra l’ombra e l’oscurità della selva. Le sue dichiarazioni si
diradarono e nel 2007 annunciò che avrebbe smesso di parlare per un po’.
I rumors dicevano che era gravemente malato, che aveva un cancro ai
polmoni, che forse era anche già morto. In realtà, ma questo si seppe
dopo, aveva contratto una malattia dell’apparato respiratorio tipica di
chi vive a lungo nella selva. Per molti anni non si seppe più nulla del
subcomandante, fino al 2014, quando riapparve in pubblico per annunciare
che Marcos non esisteva più, che lui non era più il portavoce degli
zapatisti e che aveva cambiato soprannome in onore di un compagno morto:
adesso si chiamava Galeano. Del personaggio di Marcos disse che era una
“marionetta grottesca” e che non era più necessario. Confessò che la
conquista di San Cristobal de las Casas nel 1994 fu frutto di una
improvvisazione, così come l’idea del passamontagna, e che non aveva mai
pensato di diventare quel che diventò.
Poi scomparve di nuovo. La
sua ultima apparizione pubblica risale al maggio dell’anno scorso
quando partecipò ad una cerimonia in ricordo di Luis Villoro, filosofo
messicano suo amico . Le uniche cose certe che si sanno di lui è che ha
una figlia, Mariana, che vive a Parigi, e una compagna, Silvia
Fernandez, militante zapatista. In fondo il segreto è ancora intatto. Lo
possiedono gli indios del Chiapas che in questi vent’anni hanno
conquistato molta autonomia anche se qualcuno dubita che fosse la strada
giusta contro l’emarginazione.
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