venerdì 26 febbraio 2016
Sinistra del Vermont ha già chiuso i battenti. Nasce Sinistra Marzana
Primarie
negli Usa. Nel Nevada il 76% dell’elettorato black ha scelto Hillary.
Verso il Supertuesday: il rischio per Sanders è di passare alla storia
come il Jesse Jackson dei bianchi
di Giovanna Pajetta il manifesto 26.2.15
Nat
Silver, il maghetto dei sondaggi di Fivethirtyeight, dà per certa,
addirittura al 99 per cento, la vittoria di Hillary Clinton in South
Carolina. Ma più che alla statistica val la pena, per capire come andrà
domani, di affidarsi alla demografia. Perché ormai entriamo nel profondo
sud (con il Nevada eravamo ancora nel Southwest) dove la gran parte di
chi vota per i democratici ha la pelle nera. Nel 2008 il 55 per cento di
chi partecipò alle primarie della South Carolina era afroamericano, e
non solo perché in corsa c’era uno di loro, Barack Obama.
Senza
quei voti, come Bernie Sanders ha già amaramente toccato con mano
settimana scorsa, non si va da nessuna parte. Perché nella patria dei
casino il vecchio socialista non ha perso solo ai punti. La sua è stata
una vera, e preoccupante per lui, sconfitta politica, visto che una
maggioranza schiacciante, il 76 per cento, dell’elettorato nero del
Nevada ha scelto Hillary.
Nonostante una campagna battente, i
milioni spesi per gli spot televisivi ad hoc, come quello con Erica
Garner, figlia di Eric, l’afroamericano ucciso, soffocato durante
l’arresto dalla polizia, di New York nel luglio del 2014. In realtà non
solo lei, nella comunità nera, ha scelto Sanders. Dieci giorni fa
Vincent Fort, senatore della Georgia, ha lasciato Hillary, così come ha
fatto Keith Ellison, deputato del Minnesota. Ma sono solo poche
eccezioni, visto che il Black Caucus, il gruppo parlamentare degli
afroamericani, si è schierato con i Clinton, che vengono dal sud,
dall’Arkansas, e amati anche per questo, lui ancor più di lei.
E,
mentre i giovani di Black lives matter, hanno deciso di rimanere a
guardare, senza partecipare alla contesa delle primarie, anche gli
intellettuali neri che dichiarano di votare per Bernie, lo fanno spesso
con più di una riserva. Ta-NehisiCoates ad esempio, l’autore del
bellissimo «Between the world and me» ha chiesto puntuto a Sanders di
appoggiare chi, come lui, chiede la Reparation, il risarcimento per i
secoli della schiavitù, mai rivendicata da Barack Obama, tantomeno da
Hillary Clinton. E la risposta del vecchio socialista è stata quella del
suo presidente, come lui il candidato dei progressisti dice che più che
risarcire con i soldi i pronipoti di chi visse in catene, occorrono
posti di lavoro, investimenti nei quartieri degradati e nei ghetti delle
grandi città. Ma la polemica non si è placata, ed è il segno di quella
diffidenza mai veramente sopita tra la comunità nera e i suoi alleati
bianchi.
La stessa che ha portato all’inizio di febbraio, ai
fischi e alle contestazioni durante il forum indetto a Minneapolis dal
Neighborhoods organizing for change. Dove Sanders è stato addirittura
accusato, ingiustamente, di non voler nemmeno pronunciare la parola
black, nero. La prova del nove arriverà martedì primo marzo, quando con
il Supertuesday, andranno al voto ben 11 stati.
Hillary Clinton con la madre di Trayvon Martin, ucciso dalla polizia /Lapresse
In
prima fila quelli del sud, dove il voto degli afroamericani è stimato
al 40 o 50 per cento e dove la vittoria di Hillary è pressoché certa, ma
anche luoghi, come il Colorado, il Massachussetts, l’Oklahoma, il
Minnesota dove la sfida è decisamente più serrata. Bernie Sanders ne
conquisterà probabilmente più d’uno, ma se sarà così solo grazie al voto
dei bianchi, la sua diventerà una strada sempre più stretta. Con il
rischio per Bernie di passare alla storia come il Jesse Jackson dei
bianchi. Nel 1988 attorno al leader nero, autoproclamato erede di Martin
Luther King, si creò la «Rainbow coalition», e i progressisti tentarono
la sfida alla Casa Bianca.
Anche The Nation, il più antico
settimanale dei liberal, decise di schierarsi, per la per la prima volta
nella sua lunga storia (come poi avrebbe fatto per Obama e oggi per
Sanders). E per un mese o due quella di Jackson parve molto più di una
candidatura di bandiera. Le vittorie fioccarono negli stati del sud,
dall’Alabama alla Georgia e alla Louisiana, ma non solo. E quando,
grazie all’appoggio dei sindacati, si conquistò anche il Michigan
Jackson diventò il frontrunner dei democratici. Ma fu giusto una
fiammata, e alla fine fu Michael Dukakis a guidare la corsa. E a
perderla.
Marzano: «Delusa da Renzi, lascio il Pd»
Intervista. «Questa legge crea nuove discriminazioni e per di più tratta quello tra persone omosessuali come un amore minore»
intervista di Carlo Lania il manifesto 26.2.16
«Aspetterò
la fine dell’iter di questa legge, dopo di che lascerò il Pd». Michela
Marzano, deputata Pd, una cattedra di filosofia morale a Parigi e
autrice di «Papà, mamma e gender», è delusa dal modo in cui il suo
partito ha condotto la partita sulle unioni civili. «Sono molto delusa e
anche arrabbiata perché ci ritroviamo con un testo di legge nato con lo
scopo di correggere un’ingiustizia, di promuovere l’uguaglianza e che
invece umilia le persone omosessuali — spiega -. Quindi non corregge
nulla e addirittura secondo me aggiunge una discriminazione ulteriore».
Quale?
Si
è talmente insistito sulla differenza che doveva esserci tra le unioni
civili e il matrimonio che di fatto si è ricondotto tutto a diritti
individuali. Tant’è vero che è scomparso qualunque aggancio all’articolo
29 e sono rimasti solo i riferimenti agli articoli 2 e 3 della
Costituzione, che riconoscono appunto i diritti individuali. Ma quello
che le persone omosessuali stanno aspettando da trent’anni sono i
diritti familiari. Lo stesso statuto riconosciuto e dato alle loro
coppie, al loro amore, alla loro vita comune. E non è questo che c’è
nella legge. Si insiste sul fatto che si tratta di una speciale
formazione sociale, rendendo fra l’altro anche difficile la decisione da
parte del giudice nel momento in cui si tratteranno questioni legate
alla stepchild. Finora i giudici avevano le mani libere perché, non
essendoci nessuno statuto per le coppie omosessuali, potevano applicare
le norme previste dall’articolo 44 della legge sulle adozioni.
E non sarà più così?
Io
ho qualche dubbio. Resta la legislazione vigente, ma come si applica a
una specifica formazione sociale? La legislazione vigente riguarda la
famiglia così come è riconosciuta all’interno del matrimonio e ammette
delle eccezioni quando si ha a che fare con una persona single oppure
nel caso in cui c’è il decesso del padre o della madre. Ma sempre
all’interno della famiglia. Qui però si sta parlando di una specifica
formazione sociale. Spero che non ci saranno conseguenze peggiori.
Una specifica formazione sociale per la quale non è obbligatorio essere fedeli.
E’
l’esempio di quanto dicevo prima. Si è voluto specificare, attraverso
l’assenza di determinati concetti, il fatto che si tratta di coppie di
serie B, che l’amore tra due persone dello stesso sesso non è come
quello eterosessuale, è un amore minore. Questa legge sancisce che le
persone omosessuali sono figlie di un dio minore. Tutto è meno, tutto
non è all’altezza, è meno importante, è meno profondo. Si insiste sulla
precarietà.
Per il filosofo Gianni Vattimo la fedeltà è un termine etico e non giuridico, quindi non ha senso inserirla in una legge.
Peccato
che ci sia già, che sia presente all’interno del quadro e della
definizione del matrimonio. Quando ci si sposa ci si promette fedeltà.
Poi ci si può interrogare sul suo significato, su cosa vuol dire
promettere amore eterno. Però o si fa una riflessione sul significato
della promessa in amore, indipendentemente dall’orientamento sessuale
delle persone, oppure negarlo alle persone omosessuali è un modo per
delegittimare queste relazioni e l’amore omosessuale.
Lei venne chiamata nel Pd da Bersani per seguire le questioni legate ai diritti. Adesso lascerà il partito?
Più
che essere io a lasciare il Pd, è il Pd che mi ha lasciata,
probabilmente ha smarrito il significato stesso del termine uguaglianza
che dovrebbe essere la stella polare della sinistra.
Anche a maggio del 2015 si disse molto delusa dal Pd e dichiarò al sua intenzione di voler uscire dal partito.
Avevo
a cuore determinate leggi. Nel frattempo è stata approvata almeno in
prima battuta alla Camera la legge sul doppio cognome, quella per
l’accesso alle origini da parte dei bambini nati da madri che hanno
mantenuto l’anonimato e si è affrontato il tema della continuità
affettiva, anche se io ho votato in dissenso perché anche lì si è
introdotta una discriminazione. C’era comunque una serie di battaglie
che si annunciavano e che pensavo di poter fare meglio e bene
all’interno del Pd. Fino ad oggi. In futuro resterò in parlamento, forse
nel gruppo misto. Poi quando finirà la legislatura tornerò a tempo
pieno con i miei studenti, i miei libri, i miei lettori.
Si aspettava di più da Renzi?
Molto
di più. L’ho appoggiato alle primarie perché pensavo che sarebbe potuto
essere una ventata di aria fresca. E’ una persona brillante,
intelligente, intuitiva e capace. Si sarebbe potuto fare tanto di più e
bene. Oggi penso che sia stata sprecata una grande opportunità.
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