E, come 28 anni or sono davanti all’assalto della Destra scatenata nell’impeachment i due Clinton sono soli, legati l’uno all’altra, nella battaglia per sopravvivere e salvare la loro vocazione politico-coniugale. Ora che la minaccia alla loro società, quella che era stata definita lo “Studio Billary”, non ha più il volto paffuto di una ragazza di vent’anni, ma le rughe e i capelli bianchi di un senatore di quasi 75, la battaglia sta ricreando tensioni che vanno ben oltre la crisi di un matrimonio. Bill è furioso con Hillary perché la accusa di avere ripetuto gli errori del 2008 quando sottovalutò sprezzantemente l’insidia del giovane afroamericano Obama e di essersi svegliata tardi. Lei, che si era circondata soprattutto di “consigliere”, di donne, per sottolineare quel “Fattore W”, come Woman, ha dovuto accettare l’ingaggio di due vecchi masnadieri delle campagne elettorali del marito, Sidney Blumenthal e David Brock, famosi “picchiatori” che daranno alla campagna anti- Sanders toni violenti. Lei è infelice, umiliata dai risultati e dalla necessità di tornare sotto l’ala di quell’ingombrante coniuge dal quale la vittoria troppo presto annunciata avrebbe dovuto affrancarla. Lui è invadente, logorroico, paternalistico negli interventi con la voce sempre nebbiosa che il pubblico ricorda. All’ultima ora della disastrosa campagna nel New Hampshire ha pronunciato un discorso concordato con lei e poi, indossato un camicione di flanella a scacchi rossi e neri da boscaiolo, è andato off script, fuori copione, improvvisando un attacco a Sanders non autorizzato dalla squadra della moglie. Con lite nella notte.
La vera «rivoluzione politica» di Bernie Sanders
Ta-Nehisi Coates “Mio figlio mi ha convinto: scelgo Bernie”
Ta-Nehisi Coates, autore del libro cult Between the World and Me ha criticato duramente Bernie Sanders per aver detto, al Black and Brown Forum dell’Iowa, di non appoggiare gli indennizzi per la schiavitù, perché tema «troppo controverso».
Cosa pensa dei risultati di voto in New Hampshire?
«Non mi sarei mai aspettato che un socialista dichiarato potesse ottenere quei numeri ed entrare in lizza per la nomination del Partito Democratico. Sono impressionato. Perché il passato di Hillary Clinton mi preoccupa. Mi inquietano le posizioni che aveva negli Anni ’90, quando vennero fatte leggi disgustose in termini di giustizia penale. Mi preoccupa che si fa pagare 600mila dollari da Goldman Sachs per le conferenze. Così, potendo scegliere e visto che non deve essere un’incoronazione, penso che il risultato sia una buona cosa».
Lei ha criticato Sanders per la sua opposizione ai risarcimenti per la schiavitù, ma lui sostiene che i soldi alle comunità nere vanno dati, ma investendo sui posti di lavoro. Contro le disuguaglianze.
«Sono d’accordo che bisogna combattere le disparità economiche. Solo, la questione di classe, per gli afroamericani, si pone in maniera diversa rispetto alle altre comunità. Non si può fare un confronto diretto tra la classe media afroamericana e la classe media bianca, tra afroamericani ricchi e bianchi ricchi. La ricchezza dei neri è comunque sempre minore. I quartieri dei neri sono sempre peggiori. Come le istituzioni e i servizi a loro dedicati. Quindi è sbagliata l’idea che ci possa essere una politica onnicomprensiva, per risolvere cose in realtà molto specifiche».
Tornando a Sanders...
«Mi aspettavo di più. Ma come ho già detto mi entusiasma vedere che nel Partito Democratico c’è un’opzione radicale, inconfondibilmente di sinistra. Solo, noi che siamo di sinistra dobbiamo essere i primi ad accettare l’idea che i neri sono stati specificamente colpiti e ci devono essere dei rimedi specifici, altrimenti non ci sono più speranze. In questo senso, scusatemi, mi aspetto di più dal senatore Sanders che dalla senatrice Clinton».
Questo vuol dire che voterà per Sanders?
«Sì, lo voterò. Ho cercato finora di evitare questa domanda perché sono un giornalista e voglio tenere separato il mio ruolo dal mio essere anche un privato cittadino. Ma non credo serva a molto schivare la domanda. Sì, lo voterò. Mi ha convinto mio figlio».
Hillary spera che il 37% della popolazione afro in South Carolina fermi l’ondata del rivale che è a caccia di appoggi: ha ottenuto quello del rapper Mike e di Cornel Westdi Vittorio Zucconi Repubblica 12.2.16
WASHINGTON È AI FIGLI di Django, è agli eredi degli schiavi del Sud che Hillary Clinton chiede la liberazione dall’incubo della sconfitta. Nero è il colore della sua ultima speranza di vincere le elezioni e di respingere l’assalto del grande vecchio Bernie e della sua folla di giovani bianchi.
È in South Carolina, la terra degli schiavi, delle immense risaie coltivate dai deportati dall’Africa, del primo colpo sparato nel Forte di Sumter, a Charleston, che diede il via alla Secessione e alla Guerra, che la carovana della politica americana sta piantando i suoi tendoni e nessuno lo fa con tanta ansia quanto il “Clinton Travelling Circus”. Dopo gli antipasti dello Iowa e del New Hampshire, indigesti per lei e deliziosi per zio Bernie il populista, la South Carolina, con quel 37 per cento di popolazione di origine africana, deve essere la paratia stagna che fermi l’ondata di Sanders. O il suo avversario dilagherà dall’Atlantico verso il West e le Grandi Pianure, travolgendola.
Mentre i repubblicani affidano alla potente destra cristiana, alla enorme popolazione in uniforme, agli evangelici rinati in Cristo, l’ultima possibilità di fermare Donald Trump, il miliardario di New York che sembra incarnare tutto il secolarismo e l’esecrato libertinismo della “Sodoma sullo Hudson”, Hillary e Bernie si sono lanciati all’assalto di quel voto nero che alle Primarie democratiche produce oltre il 55% dei partecipanti. Per Sanders, che ha fatto la propria carriera politica sempre e soltanto nei ghetti bianchi del New England, dove la popolazione di colore non supera il 3 per cento, l’incontro con la Black America è la scoperta di un continente umano nuovo.
Diligentemente, il 60enne senatore ebreo venuto da Brooklyn sta facendo il giro delle sette chiese, simbolicamente e letteralmente. Ha incontrato uno dei predicatori e opinionisti più ascoltati nella comunità afro, il reverendo Al Sharpton ad Harlem, sperando in un’investitura pubblica che Sharpton ancora si riserva di dare. I suoi “surrogati”, e lui stesso, battono le chiese battiste della Carolina dove i Pastori, per fede e interesse, tradizionalmente appoggiano i democratici e compattano i loro greggi nei giorni delle votazioni. Ha raccolto l’appoggio di rapper, come killer Mike, e del politologo Cornel West, già sostenitore di Obama oggi deluso e tradito. E 10mila volontari di Sanders si stanno muovendo fra i 4 milioni e mezzo di abitanti dello Stato per bussare, pagati 5 dollari al giorno, alle porte delle chiese, delle case, dei saloon, delle fabbriche.
I sondaggi alla vigilia del sesto dibattito democratico dicono che zio Bernie è molto indietro, ma che anche nelle terre di Django il suo messaggio risuona. E se lui potrebbe essere sconfitto in South Carolina senza troppi danni, un’altra disfatta per Hillary e per la “Clinton Machine” di Billary qui potrebbe essere irrecuperabile. Lo sarebbe perché questo Stato da anni in transizione fra il passato ruspante di piantatori e cavalieri incappucciati del Klan e una comunità in continua crescita economica, culturale e demografica grazie a investimenti anche esteri lo ha reso meno scontato. Con 6,7 miliardi di dollari in fabbriche aperte da case automobilistiche, e lo stabilimento della Bmw che diventerà il primo nel mondo per la casa bavarese, la South Carolina è lo Stato americano che accoglie più investimenti stranieri in tutti gli Usa.
Ed è, dal 1992, Clinton Country, è riserva di caccia per il marchio lanciato dall’ex presidente, che fu definito dalla scrittrice Toni Morrison “il primo presidente nero della storia” e ora passato alla moglie. Anche nelle primarie del 2008, quando Obama comprensibilmente sconfisse Hillary, la signora raccolse più voti di quanti se ne aspettasse. Ma come ha scoperto dolorosamente nel New Hampshire, essere donna non garantisce affatto il voto della donne. Ed essere moglie “nera ad honorem” non assicura il sostegno della comunità afro. I maggiorenti della comunità di colore nazionale, il Black Caucus, il gruppo di deputati e senatori afro a Washington, la Naacp, la associazione nazionale per l’avanzamento della gente di colore, politici e pastori locali sono per Hillary, e con lei si faranno fotografare nei giorni che mancano al sabato del voto, il 27 febbraio, per quello che valgono. Molti degli elettori alle primarie — si calcola il 10 per cento — sono millennial, cresciuti attorno all’inizio del nuovo Millennio, ragazzi e ragazze di ogni carnagione che non hanno mai votato e che della storia d’amore con i Clinton nulla sanno e meno gli importa.
In un tempo che ha visto l’implicito razzismo delle polizie disinvolte nell’abbattere uomini con la pelle scura, in una nazione che, anche sotto la guida del “nero ad honorem” Clinton e del “quasi nero” Obama, accusato di essere africano di pelle, ma bianco di cuore, le promesse dell’establishment democratico potrebbero non convincere più. Sanders, l’anti-establishment, il nonno che tuona contro il carcere facile per i neri e per la giustizia ingiusta che risparmia i figli dei bianchi rinchiudendo invece un milione e mezzo di colored per gli stessi reati, tocca una corda profonda per chi crede che le vite dei “Black” debbano contare come quelle dei “White”. Se vuole vincere, Hillary dovrà raggiungere la mente toccando i cuori e convincere gli elettori del primo Stato del Sud chiamato al voto che lei non sarà come tutti i suoi predecessori: la piazzista di promesse, dimenticate il giorno dopo la vittoria.
Nessun commento:
Posta un commento