giovedì 11 febbraio 2016
L'identificazione delle vittime del franchismo
I morti senza nome della guerra civile salvati dai nipoti
Sono 100 mila le persone che allora scomparvero Oggi storici e familiari delle vittime scavano e analizzano il dna per individuarne i resti Così lavorano sul campo
Nell’antico cimitero di Guadalajara è caccia alle spoglie di Timoteo Mendieta, sindacalista
La studiosa catalana “Mappiamo il territorio ascoltiamo i testimoni e uniamo i vari tasselli”
di Umberto Gentiloni Repubblica 11.2.16
BARCELLONA Che senso può avere cercare tracce di corpi sepolti nelle fosse comuni; provare a dare identità a storie cancellate, portare alla luce un passato di violenze e sopraffazioni? Sono trascorsi quasi ottant’anni dalla guerra civile spagnola, gli storici hanno ricostruito eventi e situazioni, responsabilità e lasciti; la memorialistica e la letteratura hanno contribuito a consolidare un tessuto di conoscenze e interpretazioni. Eppure tante ferite rimangono aperte e il peso di quelle giornate riaffiora dal passato e dal suolo della Spagna fino a segnare le memorie individuali e collettive. Figli e nipoti che si muovono per dare una sepoltura ai propri cari: una tomba che non sia quella scelta dagli assassini di allora. E così da qualche settimana nell’antico cimitero civile di Guadalajara attorno alla fossa numero 2 del patio 4 è al lavoro una combinazione di emozioni, competenze e intelligenze: gli archeologi dell’Associazione per il Recupero della Memoria Storica, le autorità locali, gli storici e i familiari in cerca dei resti di Timoteo
Mendieta, fucilato come attivista sindacale insieme ad altre dieci persone il 16 novembre 1939.
Francisco Vargas è il nipote di Timoteo, segue in disparte i lavori del gruppo: «Mia madre non è potuta venire. Alla fine dopo i consigli dei medici abbiamo insistito per non sottoporla a una prova così coinvolgente». Ma è lei la protagonista, l’origine del percorso di ricerca. Ascensiòn Mendieta ha novant’anni e cerca sua papà Timoteo, trascinato a forza via di casa in un’alba lontana di 77 anni fa. Dalle sue ostinate denunce si è arrivati sull’orlo della fossa, fino al tentativo di recupero dei resti. Prima lo studio dei registri dei fucilati conservati presso l’archivio municipale, poi la verifica attenta dell’attendibilità delle fonti disponibili prima di procedere in loco.
René Pacheco dirige le operazioni: «Stiamo lavorando a 2,8 metri di profondità, al di sopra del corpo numero 13». Con disinvoltura parla di numeri e fa riferimento alla documentazione: «Se il registro è corretto dovrebbero esserci in questa fossa 22 corpi e quindi dovremmo arrivare fino a 4 metri di profondità».
L’archivio conserva ben quattro libri con nomi e luoghi, non è detto che le premesse portino alla effettiva individuazione delle tracce del corpo di Timoteo. «Ci sono buone possibilità, per questo stiamo scavando. Una fossa stratificata così ampia conferma la premeditazione nell’azione repressiva. L’organizzazione di un intervento mirato che colpisce bersagli individuati cercando di nascondere prove e tracce». La certezza di un’identità cancellata può venire solo dall’esame del dna. In questo caso — come per molti altri — la via è quella di una valigia diplomatica che con i resti prenda la via dell’Argentina, incontrando le intelligenze di chi ha già ricostruito le identità di altri desaparecidos. Timoteo è uno dei tanti, un nome, una biografia, una ricerca dei familiari che è parte dell’itinerario della Spagna degli ultimi anni: sono quasi 100 mila (cifre incerte e molto discusse) gli scomparsi, le vittime sepolte e spesso dimenticate in tanti luoghi. Dal 2000 si è accesa una nuova attenzione, saperne di più per coordinare i possibili interventi di scavo e di recupero.
Queralt Solè insegna all’Università di Barcellona, la sua tesi di dottorato (divenuta un libro nel 2008) aveva come argomento l’individuazione possibile delle fosse comuni in territorio catalano. Da tempo collabora con i diversi livelli istituzionali per definire quello che le sembra un obiettivo primario: una mappatura convincente e credibile dei luoghi delle sepolture di massa. Il suo percorso di studiosa è ispirato dalla volontà di offrire elementi di conoscenza a chi cerca i propri cari ma anche respingere ogni spontaneo intervento in materia, anche se animato dalle migliori intenzioni: «Il problema principale è stato uscire da una generica denuncia per cominciare a sedimentare dei primi tasselli certi. Noi storici abbiamo lavorato e lavoriamo in commissioni costruite dalle diverse istanze istituzionali, a livello locale e regionale. Per troppo tempo dopo l’oblio forzato si è passati a una presa di coscienza faticosa che ha privilegiato l’aspetto emotivo, la ferita di un lutto mai cancellata». E da quel passaggio gli strumenti della conoscenza storica tracciano un percorso: «Prima la mappatura con lo studio del territorio e poi l’ incrocio tra le fonti, quelle di allora del tempo della guerra, quelle successive (piani urbanistici, costruzione di edifici o infrastrutture) e il ricorso alla memoria orale di chi aveva visto o sentito racconti su eccidi o sparizioni». Un cammino complesso, doloroso carico di interrogativi lungo il quale la memoria e la storia possono trovare reciproco sostegno.
(L’autore è docente di storia contemporanea all’Università La Sapienza di Roma)
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