mercoledì 17 febbraio 2016

La profanazione delle chiese cristiane in Terrasanta subito dopo la fondazione dello Stato di Israele e oggi

Moshe Sharett decried troops' vandalizing Christian holy sites in 1949, telling lawmakers that such events could tarnish the fledgling state’s international image. Seventy years later, his exact remarks are still classified.
Ofer Aderet Jan 23, 2016

Giorgio Bernardelli Avvenire 16 febbraio 2016


Israele tra partizione della Siria e contatti con ribelli

Medio Oriente. Il governo Netanyahu è sicuro che la Siria si spaccherà in mini Stati, entità diverse che, lasciano capire gli analisti, potrebbero favorire la ferma intenzione di Tel Aviv di tenersi per sempre il Golan che ha occupato nel 1967 
di Michele Giorgio il manifesto 16.2.16
GERUSALEMME Il tema è la Siria. Cosa accadrà e cosa Israele si aspetta o proverà a fare oltre ai raid che compie con la sua aviazione. Efraim Inbar, direttore del Centro “Besa” di Tel Aviv, specializzato in studi strategici e vicino al governo Netanyahu, non si sbilancia, aggira le nostre domande. Poi, incalzato, si lascia sfuggire mezze frasi «…Israele è un Paese pragmatico…quindi ben venga qualcuno dall’altra parte del confine, oltre il Golan, disposto a discutere su temi di reciproco interesse». Quel “qualcuno” sono i “ribelli siriani”, inclusi i qaedisti di al Nusra, con i quali Israele ha già contatti. Da tempo girano voci sulla possibilità che la Siria meridionale, o almeno una parte di essa, resti in futuro sotto il controllo di una «entità» che garantisca la sicurezza di Israele. E, più di tutto, che questa entità non reclami la restituzione delle Alture del Golan, un territorio siriano occupato nel 1967 che lo Stato di Israele si è annesso unilateralmente.
In breve a Tel Aviv non dispiacerebbe che dalla guerra civile siriana emerga una situazione simile a quella esistente nel Libano del sud dal 1978 al 2000, ossia una “fascia di sicurezza” a difesa delle linee del Golan occupato, controllata da una milizia alleata di Israele. E che questa opzione sia sul tavolo, sebbene al momento appaia poco concreta, lo dimostra anche la visita, l’ennesima, in Israele di un esponente dell’opposizione siriana, Kamal al Labwani. Domenica alla Knesset, Labwani ha discusso con alcuni deputati israeliani della situazione in Siria e degli scenari futuri. Scenari delineati nelle stesse ore dal ministro della difesa israeliano Moshe Yaalon e da un suo stretto collaboratore. «Siamo molto pessimisti», ha detto Yaalon intervenendo alla Conferenza sulla sicurezza a Monaco. «Credo — ha aggiunto — che assisteremo a una cronica instabilità (in Siria) per un lungo periodo di tempo…In Siria si realizzeranno delle enclave¬: Alawistan, Siria Kurdistan, Siria Drusistan. Potranno cooperare o combattersi l’una contro l’altra». Più esplicito sulla visione israeliana è stato Ram Ben-Barak, direttore generale dell’intelligence del ministero della difesa, quando ha sostenuto che la partizione della Siria è «l’unica soluzione possibile».
Se Efraim Inbar non si sbilancia, un suo collega al Centro “Besa”, Eytan Gilboa, al contrario ci spiega senza problemi come Israele guarda al futuro della Siria. «Il nostro problema è l’Iran e la sua alleanza con la Siria che vuol dire anche sostegno a (movimento sciita libanese) Hezbollah, uno dei nostri nemici più armati e determinati, in possesso di migliaia di razzi – dice Gilboa –, crediamo che Hezbollah stia cercando di stabilire basi permanenti nella fascia di territorio siriano che corre lungo il confine con le Alture del Golan. In questo modo potrà attaccarci dalla Siria senza esporre il Libano alla nostra reazione (militare). Hezbollah non è riuscito ancora a realizzare questo progetto perchè in quella zona operano alcuni dei suoi nemici, come Nusra (al Qaeda) e altre formazioni sunnite. Impedire il progetto di Hezbollah per noi è fondamentale».
Quanto è concreta la possibilità che Israele si impegni per la creazione di una nuova “fascia di sicurezza” in Siria, a ridosso del Golan? A questa domanda Gilboa evita di rispondere. Però, ci dice, «Israele ha intese con gruppi estremisti, curiamo i loro feriti e in cambio non ci attaccano ma questi non sono gli alleati ideali, a causa della loro natura. Ben diverso è il caso dei ribelli moderati, quelli con i quali dialogano anche Usa e Europa, ma queste forze non sono nel sud della Siria. Israele al momento può solo essere parte di una coalizione, assieme agli Usa, all’Arabia saudita e altri Paesi sunniti, che consolidi i ribelli moderati».
Il vero ruolo dei sauditi, contrariamente a quanto afferma l’analista israeliano, è stato sino ad oggi quello di rafforzare le forze più radicali, jihadiste, in Siria. Ma le considerazioni di Gilboa riflettono bene la linea conciliante verso Riyadh e le altre monarchie sunnite che il governo israeliano porta avanti. A Monaco Yaalon ha enfatizzato i «canali di comunicazione» che Israele ha con i Paesi sunniti in funzione anti-Iran, «non solo Giordania e Egitto ma anche con gli Stati del Golfo e del Nord Africa». 

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