martedì 9 febbraio 2016

La sinistra arancione vendolo-rangera prende un'altra salutare trave sui denti



La sinistra E spunta anche l’ipotesi di una candidatura di Giuseppe Civati cui la sinistra radicale difficilmente potrà dire no
Sel non chiude le porte “Nessuno vuole sfilarsi ma i nostri voti pesano”
di Giovanna Casadio Repubblica 9.2.16
ROMA «Nessuno di noi ha mai detto che ci sfiliamo. Ma il vincitore Sala deve essere consapevole che la sinistra ha avuto un risultato importantissimo perché Francesca Balzani e Pierfrancesco Majorino insieme hanno ottenuto il 58% dei voti alle primarie. Un pacchetto pesante, che deve contare». Tempo di resa dei conti nella Sinistra il giorno dopo le primarie di Milano. E anche di maldipancia, di lacerazioni, di incertezze, di ripensamenti. Arturo Scotto, il capogruppo di Sel alla Camera, è però convinto che ci sarà una riflessione e che il risultato non è quello di una diaspora, di correre alle amministrative di giugno con un proprio candidato. Nicola Fratoianni, l’altro leader vendoliano, è meno ottimista. Ha confessato a botta calda che Sala «non è adeguato» e che l’esperienza della giunta Pisapia e la «stagione arancione» sono inevitabilmente archiviate.
Ammette l’amarezza, Fratoianni. Però rinvia a sua volta alla riflessione che va fatta soprattutto con i compagni milanesi. Nessuno nella Sinistra italiana vuole davvero strappare, rischiando di consegnare Milano, la città-gioiello di Pisapia, il laboratorio della sinistra vincente, alla destra unita di Berlusconi e Salvini. A meno che non si presenti Pippo Civati. I vendoliani si sottraggono alla domanda: e se si presenta Civati, il leader di “Possibile”, che non ha partecipato in alcun modo alle primarie? «Allora sarebbe diverso...», rispondono, riconoscendo che la tentazione di appoggiarlo sarebbe forte, abbandonando Sala. «Non c’è una candidatura di Civati, quindi il punto non si pone», taglia corto Scotto. Mentre Massimiliano Smeriglio, vice di Nicola Zingaretti in Regione Lazio, e nella segreteria di Sel, è di più chiaro avviso: non si può essere sleali con Sala, come hanno peraltro detto sia Balzani che Majorino. «I milanesi si sono espressi con le primarie a cui hanno partecipato decine di migliaia di elettori - ragiona Smeriglio - Non possiamo ignorare la loro volontà e pensare che siccome il risultato non è stato quello che auspicavamo, sia lecito far saltare il tavolo. In ogni caso c’è un 60% che si è espresso in continuità con l’esperienza Pisapia che noi dobbiamo valorizzare e organizzare, anche perché Sala ha vinto ma non stravinto. Soprattutto dobbiamo tener conto della volontà dei nostri iscritti milanesi».
Nichi Vendola, ieri di ritorno dal Canada, si è raccomandato di non precipitare la situazione e di rispettare le decisioni che spettano a livello locale: «Non c’è nessun centralismo...». Molta preoccupazione, però. E amarezza. Scotto riassume: «Per la sinistra è come essersi dati una martellata. Devastante dividersi tra Balzani e Majorino. Sono i territori che devono davvero valutare le alleanze e gli appoggi». Pisapia ha già detto la sua, e cioè che si appoggia il vincitore. Sarebbe rassicurante per la Sinistra un ticket Sala-Balzani? Creerebbe però malumori tra i sostenitori di Majorino a quel punto più propensi a una libera uscita? Domande sul tavolo. «Un ticket? Sala potrebbe proporlo», avanza l’ipotesi Scotto, ma sempre battendo sullo stesso tasto, ovvero che l’autonomia del partito milanese viene prima di tutto. Riunioni, vertici e confronti sono già fissati con un fitto calendario nei prossimi giorni. 



Civati: «Io candidato anti-Sala? Un processo tutto da costruire»

Intervista. L'ex pd: me lo chiedono in tanti, cerchiamo un nome che unisca. Anche a Roma unifichiamo la corsa di Marino e Fassina

di Laura Matteucci il manifesto 9.2.16
MILANO Benvenuti in Italia. Purtroppo le cose sono finite come si sapeva che sarebbero finite, con uno sbilanciamento verso il centro e la destra che toglie a Milano quell’eccezionalità in cui aveva vissuto negli ultimi anni, peraltro ormai già ridotta al lumicino. Il Partito della Nazione è approdato anche qui».
Pippo Civati, leader di Possibile, le primarie di Milano le ha osservate dalla finestra. Il momento di entrare in campo, per lui, arriva ora.
Che farà adesso, si candida?
Da domenica sera me lo stanno chiedendo in molti, ma io credo in una candidatura civica più che puramente politica, di qualcuno che faccia parte della società milanese e sia capace di unire mondi diversi, al di là delle sigle di appartenenza. Nomi ne circolano già (da Vittorio Agnoletto all’attuale presidente del Consiglio comunale Basilio Rizzo a Marco Mori, coordinatore di Possibile in città ed ex presidente di Arcigay Milano, ndr), ma è un processo tutto da costruire, insieme ai Socialisti, a Rifondazione, alla miriade di pezzi di società che non si riconoscono nell’offerta presentata fin qui, per il quale ora vanno accelerati i tempi. Entro febbraio dobbiamo mettere in campo una proposta alternativa in grado di intercettare il consenso più ampio possibile. A Roma partiremo sabato con un’assemblea che diverrà permanente: l’idea per le amministrative romane è di conciliare le componenti e le candidature, quella di Stefano Fassina e quella, che sta emergendo, di Ignazio Marino. Un processo analogo deve iniziare a ruota a Milano. Del resto, ci stiamo pensando da tempo: per noi l’esito delle primarie era scontato, nessuna sorpresa e nessun cambio di scena.
Qualcosa è cambiato, però: la vittoria di Sala potrebbe aprire grandi spazi a sinistra.
Sicuro. Il travaglio è già iniziato per tanti. Renzi ha chiarito la sua volontà di prendere voti da qualsiasi parte arrivino, sostenendo che non si debba fare gli schizzinosi. Ecco, noi vogliamo prendere tutti i voti degli schizzinosi. Ma, ripeto, la nostra proposta va costruita con la comunità locale, e inizieremo fin dai prossimi giorni. Inizia una storia diversa, non nel senso inteso l’altra sera da Majorino, che archiviate le primarie sosterrà Sala: inizia il lavoro per far nascere un progetto nuovo. Chiunque di noi potrà essere chiamato a candidarsi o comunque a ricoprire un ruolo, non ci sono automatismi.
Come giudica quanto accaduto a Milano?
Un enorme pasticcio, un notevole problema gestionale con un solo possibile esito chiaro fin dall’inizio. Infatti, io ne sono rimasto fuori, per netta scelta politica.
Di chi sono le maggiori responsabilità?
La responsabilità politica di Pisapia è oggettiva. E sta, di fondo, nel non aver preparato la sua successione in questo cambiamento di schema nazionale così clamoroso. Non voglio buttargli la croce addosso, però è proprio questo che più mi ha deluso di lui: il basso profilo che ha tenuto nei confronti di Renzi, il fatto di non essere mai critico, mai incalzante rispetto alle scelte del governo. Del resto, la sua posizione è quella che di recente ha sottoscritto insieme ai sindaci Doria e Zedda con l’appello pubblico per il centrosinistra, che prevede un’alleanza organica col Pd. Noi invece pensiamo a ricostruire la sinistra in alternativa al Pd. Ora lui sosterrà Sala, come prevedibilmente faranno tutti i soggetti coinvolti nelle primarie, compresa Sel o gran parte di essa.
Era credibile pensare che Pisapia avrebbe rotto con il Pd?
È chiaro che sarebbe stata una scelta molto pesante. La verità è che il modello che lui ha incarnato a Milano non esiste più, non c’è più quell’afflato che nel 2011 l’ha portato alla vittoria.
E dei due contendenti a sinistra, Majorino e Balzani, che dice?
Li stimo molto entrambi, ma penso che non avrebbero dovuto giocare la partita delle primarie così concepite, una volta capito che cos’è oggi il Pd.
Avrebbero dovuto lasciare il partito?
Non necessariamente. Ma credo che Majorino, in particolare, avrebbe potuto candidarsi già a maggio in modo indipendente. Ecco, quella sarebbe stata una chiave possibile che avrebbe potuto incontrare il nostro gradimento. 



Nel laboratorio di Milano si decide anche la strategia di Renzi

L’ipotesi di due liste per affiancare il candidato dal centro e dalla sinistra
L’obiettivo del premier è fare del Pd un nuovo grande partito dei moderati Il referendum sulle riforme sarà l’occasione per rimescolare le carte

di Stefano Folli Repubblica 9.2.16
AL di là della polemica esagerata e pretestuosa sul voto dei cinesi, la vittoria di Sala nelle primarie milanesi cambia lo scenario del centrosinistra, forse anche su scala nazionale. Quel che è certo, comincia una partita complessa, degna di quel “laboratorio politico” che la città è sempre stata. In sintesi, l’ex commissario dell’Expo - ed ex collaboratore di Letizia Moratti ha la possibilità di conquistare segmenti importanti di elettorato di centrodestra (quindi ex berlusconiani, ma in parte forse anche leghisti) riunendoli dietro di sé in un amalgama mai sperimentato con il tradizionale mondo del centrosinistra.
Si è già detto che questa è l’elezione in cui sono protagonisti i “city manager” o comunque personaggi delle professioni lontani dalla politica e soprattutto dai partiti: oltre a Sala c’è la probabile candidatura di Stefano Parisi per l’asse Berlusconi- Salvini, oltre a quella già in campo di Corrado Passera. Ma il candidato “renziano” vincitore delle primarie è espressione di una logica che va al di là della vita cittadina, anche se è a Milano, nella contesa per Palazzo Marino, che tutto si decide. Non si tratta di citare il “partito della nazione” ripudiato da Renzi e dallo stesso candidato. Tuttavia la missione di questi non potrebbe essere più chiara. Essa poggia su due interrogativi: primo, è in grado il vincitore delle primarie di diventare il punto di riferimento della Milano moderata dopo gli anni “arancioni” della giunta Pisapia, espressione di una borghesia di sinistra peraltro molto forte e radicata? È lo stesso obiettivo perseguito da Renzi sul piano nazionale: fare del Pd, ricostruito a immagine del premier-segretario, il nuovo grande partito moderato italiano. Finora questo sfondamento al centro, anzi al centrodestra, non si è verificato: salvo in quel “test” particolare e poco attendibile che è il voto europeo.
È chiaro che Renzi attende il referendum di ottobre sulla riforma costituzionale per riproporsi come il leader che rimescola tutte le vecchie appartenenze. Intanto però il laboratorio milanese può offrire preziose indicazioni. Se il candidato Sala, che non appartiene alla storia del Pd tradizionale, riesce a conquistare i ceti moderati, Renzi ne potrà ricavare buoni auspici in prospettiva nazionale.
Ma il cammino non sarà una passeggiata. I due candidati della sinistra, Balzani e Majorino, hanno dimostrato di avere un seguito, coincidente con l’influenza esercitata dal sindaco uscente.
Non sembra credibile, a questo punto, che nasca una lista di sinistra contro Sala guidata da un candidato sconfitto alle primarie. Il “patto di lealtà” richiamato da tutti più volte a qualcosa servirà. Ci sarà una lista minore, probabilmente gestita da Civati, ma avrà un peso limitato. Il vero problema di Sala sarà tenersi stretto l’elettorato di Pisapia (e quindi della Balzani e di Majorino).
Questa è la sfida sostanziale: perdere il meno possibile a sinistra riuscendo, al contempo, a entrare nell’opinione di centrodestra. È plausibile allora che il sindaco uscente organizzi una sua lista: non per contrastare Sala, bensì per affiancarlo, sostenerlo e condizionarlo. Questo spiegherebbe la frase di Pisapia ieri: “mi sento vincitore”.
SE così fosse, prenderebbe forma una sinistra ex arancione interna alla logica renziana così come si riflette nella candidatura principale. Non solo a Milano: Pisapia potrebbe ambire a svolgere un ruolo nazionale, riorganizzando la sinistra Pd e oltre. Non entrerebbe in urto frontale con il premier, non alimenterebbe mini-scissioni. Ma si terrebbe le mani libere in vista di futuri, possibili incidenti politici del presidente del Consiglio.
Allo stesso modo, potrebbe nascere a Milano una lista civica di centro. Anch’essa affiancherebbe Sala, testimone del Pd, e lo aiuterebbe a compiere la sua missione principale: appunto la conquista degli ex berlusconiani e la disarticolazione della vecchia destra. In chiave nazionale, questa soluzione offrirebbe una ragione d’essere ai centristi, a patto che siano capaci di rinnovarsi. A favore di Renzi, ma soprattutto di se stessi: con o senza l’Italicum.

Tra i due litiganti Sala gode, sipario sull’esperienza arancione

La commedia delle primarie del Pd più belle d'Italia ha rispettato il copione. La vittoria del manager di Expo, con la complicità dei due comprimari Majorino e Balzani che si sono divisi il voto di sinistra, consegna la città del sindaco Giuliano Pisapia al partito della nazione. A sinistra si apre uno spazio politico per tutti coloro che considerano Beppe Sala un corpo estraneo

di Luca Fazio il manifesto  9.2.16
MILANO E vissero tutti felici e contenti. Evviva il centrosinistra milanese, dicono proprio così, e non c’è niente da ridere. Fine della commedia. Forse sarebbe stato più rispettoso per il pubblico pagante se la messa in scena delle primarie del Pd si fosse conclusa con un simpatico colpo di scena, magari con i tre candidati sorridenti a fare cippirimerlo ai cittadini che ci hanno creduto. Il lieto fine era scritto, è vero, però i salamelecchi del giorno dopo suonano ugualmente un po’ irritanti, soprattutto per quei 33.645 votanti che hanno pagato il biglietto per veder perdere i loro candidati non protagonisti contro Mr Expo. Come da copione, è Giuseppe Sala il candidato sindaco del partito della nazione. Ha preso 24.961 voti (42,3%), non tantissimi ma sufficienti. Hanno votato 60.900 persone, 6 mila in meno rispetto al 2010.
Sono tutti euforici, dicono di aver vinto. Nessuno gli ha ancora detto che la festa è finita. Pierfrancesco Majorino (ha perso con il 23% dei voti) se la canta e se la suona rivendicando la sua radicalità mentre scorrono i titoli di coda sulla defunta esperienza arancione. Starà con Beppe Sala, naturalmente: “Ora il cammino continua, leali nel centrosinistra”. Ma i conti poco chiari di Expo? E il sostegno di Cl e dei salotti? Acqua passata. Francesca Balzani (ha perso con il 33,9% dei voti) è furibonda ma il copione le impone di continuare la recita: “Questo voto mostra che Milano vuole il centrosinistra, una sinistra responsabile, costruttiva, di governo ed è solo riunendoci che questo elettorato si ritroverà compatto per vincere a giugno le elezioni”. E il voto dei cinesi? Macché, “polemiche sterili”. Viva Beppe.
La considerazione più sconcertante tocca però al regista dell’operazione, Giuliano Pisapia, l’unico grande perdente di questa partita incomprensibile che spalanca le porte di Palazzo Marino all’ex city manager di Letizia Moratti, l’uomo più adatto a portare avanti il disegno del presidente del Consiglio. Il sindaco di Milano non solo non si sente sconfitto ma rilancia: “No, sono vincente”. Qualunque osservatore sa invece che domenica scorsa è calato per sempre il sipario sulla sua esperienza politica, semplicemente perché pur giocando in casa è stato battuto da Matteo Renzi. In cinque anni Pisapia non è riuscito a creare una comunità politica in grado di ereditare l’iniziale forza d’urto dell’esperienza arancione. Era questa l’unica strada, a Milano, per dare vita a un’alternativa credibile al renzismo (i suoi assessori del resto da subito hanno scelto Sala). Lui non ha voluto o potuto perseguirla.
Sembra strano, ma questo è già il passato. Anche se largamente previste e prevedibili, le cose poi accadono e producono effetti non scontati. E immediati. I Sala-boys (Majorino e Balzani compresi) già sanno che l’esito delle primarie apre scenari per nulla rassicuranti. Non tutte le elezioni sono ritagliate su misura per far vincere facile l’ex manager di Expo. Lo dicono la matematica e il buon senso: una parte consistente di quel 56,9% del “popolo di sinistra” che domenica ha scelto di non votare Beppe Sala potrebbe non votarlo nemmeno il prossimo giugno. Molti lo considerano un corpo estraneo. Questo fatto nelle prossime settimane produrrà smottamenti (e psicodrammi e clamorose resurrezioni) nel campo piuttosto desolato della sinistra. Ma l’occasione è troppo ghiotta e non capita da anni.
La domanda è: come soddisfare questo bisogno di sinistra emerso dalle primarie? Il dilemma riguarda prima di tutto Sel, e più o meno è lo stesso che lacera il partito che da mesi finge di credere nel centrosinistra milanese. Starci dentro o guardare altrove? Onorare i patti e stare con Sala fino a giugno sarebbe doveroso ma suicida, nascondersi dietro una ipotetica lista Balzani per salvare la faccia sarebbe poco credibile, così come sarebbe un azzardo abbandonare la partita dopo aver perso per riallacciare rapporti mai così deteriorati con tutto ciò che si agita a sinistra del Pd. “Stiamo riflettendo, questo voto ci interroga nel profondo”. Benvenuti e tanti auguri.
Sembrerebbe più agevole, ma è altrettanto complicato, il compito della sinistra-sinistra che da mesi è in attesa di muovere i suoi primi passi (Prc, Lista Tsipras, Possibile e pezzi di Sel in libera uscita). Si parlano, fervono le trattative, è un bisbiglio che arriva alle orecchie. Ma c’è poco da girarci attorno. Ci vuole una lista. Bisogna tirare fuori un nome. Dicono che accadrà entro febbraio. Servirebbe un volto nuovo ma conosciuto e affidabile, con un progetto credibile e insieme visionario, dal linguaggio non paludato ma riconoscibile, e possibilmente in grado di sbarazzarsi delle solite liturgie. Praticamente un miracolo. Come dicono alcune vecchie volpi della politica milanese già al lavoro, a sinistra si è creato uno spazio e in politica gli spazi si riempiono sempre. Il problema è renderli accoglienti (e votabili).

Divisi e perdenti Dopo il risultato delle primarie di Milano
di Norma Rangeri il manifesto 9.2.16
I miracoli a Milano non si ripetono. La politica esce sconfitta e la sinistra resta ai margini. Sono queste le tre conseguenze principali che l’esito del voto per le primarie milanesi ci consegna. E non ci voleva un premio nobel per prevederlo.
Il candidato sindaco di Milano è Giuseppe Sala. Francesca Balzani, pur sponsorizzata dall’attuale sindaco, ha perso e con lei dalla sfida dei seggi esce perdente anche l’altro nome della sinistra milanese, Pierfrancesco Majorino.
Volevano battere Sala, è successo esattamente il contrario.
Si tratta di un esito abbastanza scontato, assistiamo a una scena purtroppo già vista mille volte: la sinistra si divide e deve accontentarsi di giocare un ruolo secondario, di portabandiera ai margini del campo. Se ci fosse stata una candidatura unitaria, con l’ambizione di fare del modello-Pisapia uno spartiacque anche per la politica nazionale, un’alternativa al partito pigliatutto di Renzi, probabilmente avrebbe persino rischiato di vincere. Perché i voti di Balzani e Majorino arrivano al 57% e quelli per Sala si fermano al 42%. E se è pur vero che è sempre difficile sommare le preferenze, è altrettanto evidente che partire divisi è già abbonarsi alla sconfitta.
Alla condizione di debolezza della sinistra ha in parte contribuito proprio lo stesso Pisapia.
Dopo aver lanciato il fulmine annunciando la sua indisponibilità a rinnovare l’incarico, per lunghi mesi non ha incentivato la costruzione di una candidatura unitaria della sinistra, e solo all’ultimo ha designato l’erede mentre il presidente del consiglio bruciava i tempi puntando dritto sull’uomo di Expo.
Oltretutto, Sala ha mancato quello sfondamento oltre il perimetro del centrosinistra, come l’affluenza degli elettori, inferiore a quella del 2010, conferma. Un nome che non piace a più della metà degli elettori del centrosinistra sarà difficile che venga votato con entusiasmo da quest’area politica. Specialmente se, a sinistra, si dovesse configurare una nuova coalizione, tra quelli che non hanno condiviso la scelta delle primarie e che ora pensano a una lista elettorale con il nome di Civati.
Certo è complicato, per esempio per una forza come Sel, che si è molto divisa sulla partecipazione a uno schieramento guidato dall’uomo di Expo, ora rinnegare il patto di fedeltà siglato dalle primarie.
Il secondo messaggio che arriva dall’ex capitale morale d’Italia è che alle elezioni vere e proprie se la vedranno tre figure analoghe: oltre a Sala si scaldano ai blocchi di partenza Corrado Passera e l’ex direttore generale di Confindustria, Stefano Parisi.
Così quella che dovrebbe essere una sfida politica diventa una competizione tra uomini d’affari, tra manager di riferimento per il mondo della finanza.
Più che i competitori per l’elezione di un sindaco sembrano capicordata impegnati in una battaglia su chi dovrà essere nominato come amministratore delegato. Difficile vederci una continuità con il modello Pisapia, difficile considerare il manager Sala erede di quella coalizione arancione che, dopo vent’anni, riuscì a sconfiggere il centrodestra nel bastione del leghismo e del berlusconismo.
E allora dove vivrà la spinta che fece il miracolo arancione, chi esprimerà l’anima della città che scelse il cambiamento? E’ Sala l’erede di Pisapia?

Verso le amministrative Il Pd e i rischi della «rottura» del centrosinistra

Anche a Milano, dopo i risultati delle primarie, possibile una candidatura alternativa di Sel - Fratoianni: «Una stagione è finita, in corso riflessione»

di Emilia Patta Il Sole 9.2.16
Non c’è dubbio che la vittoria di Giuseppe Sala alle primarie milanesi è un successo politico per Matteo Renzi,che non ha mai nascosto di puntare sull’ex presidente Expo per mantenere nelle mani del Pd e del centrosinistra il timone di Palazzo Marino. Una personalità, quella di Sala, che guarda evidentemente all’elettorato moderato e che proprio per questo appare sulla carta vincente alle urne “vere” di giugno. Eppure, appena messa in qualche modo in sicurezza Milano quando invece la partita a Roma e a Napoli si presenta tutta in salita per il Pd, la vittoria di Sala ai gazebo di sabato e domenica rischia di essere la spallata finale a quel che resta del centrosinistra inteso come coalizione “classica”. Tanto che a sinistra del Pd non si esclude un possibile candidato anti-Sala. Con l’incubo, per il Pd, di ripetere l’esperienza ligure dove la candidatura cofferatian-civatiana di Pastorino ha contribuito alla vittoria del forzista Giovanni Toti.
«È evidente che una stagione è finita», dice il coordinatore di Sel Nicola Fratoianni commentando il voto milanese. Fratoianni è, nel partito fondato da Nichi Vendola, uno dei più critici verso il Pd di Renzi. Ma i vendoliani a Milano sono stati per così dire lasciati liberi di partecipare alle primarie dividendosi tra Francesca Balzani (che ha ottenuto il 33,8%) e Pierfrancesco Majorino (22,9%). Insieme i due candidati anti-Sala fanno 56,7 per cento. Ma anche Fratoianni ammette che in politica la matematica vive di leggi diverse e che i voti non si possono semplicemente sommare. «Ma certo la divisione a sinistra ha reso ancora più improbabile la sconfitta di Sala». Niente di personale, naturalmente, ma per caratteristiche e provenienza del personaggio «con Sala si chiude la stagione arancione di Giuliano Pisapia». Che fare, dunque? Si scappa con il pallone? «Dico solo che la chiusura di una stagione politica impone una riflessione», rimarca Fratoianni.
Eppure proprio il sindaco uscente Pisapia, di provenienza vendoliana ma convinto “coalizionista”, ha lavorato con impegno e convinzione per mantenere largo il perimetro del centrosinistra e a salvaguardare il senso politico della stagione che nei prossimi giorni potrebbe chiudersi. D’altra parte, nella geografia nazionale la coalizione di centrosinistra così come l’abbiamo conosciuta negli ultimi 20 anni appare ormai sempre più rara, e nelle grandi città resta in piedi solo a Trieste per la conferma di Cosolino e a Cagliari per la conferma di Zedda: le candidature della sinistra autonome dal Pd prevalgono.
Il dato di fatto è che il quadro politico dalle ultime comunali, dopo le elezioni del 2013 “non vinte” dal Pd di Bersani, è completamente cambiato: è la prima volta negli ultimi vent’anni - quelli della stagione Prodi-Amato-D’Alema, se si eccettua la divisione del Prc in corso di legislatura del 1998 - che la sinistra cosiddetta radicale si trova all’opposizione di un governo guidato dal leader della sinistra riformista. Quando Fratoianni proclama «il Pd è nostro avversario» in fondo fotografa una realtà. Pd e sinistra sono poi su opposti fronti in vista del referendum confermativo d’autunno sulla riforma costituzionale del Senato e del Titolo V. E lo stesso Italicum voluto dal premier e segretario del Pd, con il premio alla lista e non più alla coalizione, è il trionfo della vocazione maggioritaria di veltroniana memoria e la certificazione della morte delle coalizioni a livello nazionale.
I motivi politici della separazione tra Pd e sinistra sono insomma più di uno, ma a livello locale il rischio è una debacle per il partito del premier: se un 5-6% è inutile per vincere, può essere utile per far perdere i candidati del Pd. Perché le leggi elettorali per i Comuni prevedono le coalizioni, e il fiorire di candidature a sinistra del Pd (a cominciare da Roma, dove l’ex dem Stefano Fassina è già in pista e punta all’asse con il defenestrato Ignazio Marino) evoca il rischio di un effetto-Pastorino moltiplicato per le tante città al voto. Per questo l’esito della vicenda milanese nei prossimi giorni è di particolare importanza.

Partita a scacchi tra variabili impazzite e veti incrociati
di Marcello Sorgi La Stampa 9.2.16
La vittoria di Sala a Milano ha aperto un problema a sinistra, dentro e fuori il Pd, e ha fatto da detonatore alle contraddizioni del centrodestra, in ritardo nella scelta dei propri candidati per le amministrative di primavera.
La turbolenza a sinistra del Pd è data dai numeri delle primarie: i voti raccolti dalla vice sindaca Balzani e da Maiorino, se sommati a favore di un’unica candidatura, avrebbero largamente consentito di superare il manager dell’Expo messo in pista da Renzi. Logico che le spinte a favore di un candidato alternativo al Comune, forse Civati, continuino. Le stesse dichiarazioni della Balzani, che ha accettato il risultato, puntano a ricevere da Sala rassicurazioni appunto per il largo elettorato di sinistra che non ha votato per lui.
Quanto al centrodestra, le maggiori difficoltà sono per Roma, più che per Milano, dove alla fine la sfida dovrebbe essere tra due ex-city manager, Parisi contro Sala. Il successo del candidato moderato a sinistra ha tolto di mezzo le ipotesi di schierare personalità più forti, come Del Debbio e Sallusti. Ma nella Capitale crescono le pressioni di parte di Forza Italia per convincere Berlusconi ad accettare di schierare il centrodestra con Alfio Marchini, il candidato civico che se sostenuto da una larga coalizione avrebbe la possibilità di arrivare al ballottaggio e forse anche di vincere. Contro Marchini, tuttavia, ci sono anche forti resistenze: di Fratelli d’Italia, principalmente, che aveva nella propria leader Giorgia Meloni, che ha rinunciato dopo l’annuncio della gravidanza al Family day, un nome molto forte per competere, e difficilmente potrebbe far convergere i propri voti su un candidato che, pur avendo assunto un profilo scolorito, viene da una famiglia di sinistra e aveva un nonno costruttore legato al Pci. E anche dall’interno di Forza Italia, in cui il timore è che Marchini, se eletto sindaco, possa entrare nel complicato gioco della successione all’ex-Cavaliere, usando l’eventuale vittoria per il Campidoglio come trampolino di lancio. Al vertice di ieri con Berlusconi, Salvini e Meloni è stata quest’ultima a porre il veto su Marchini.
Non pervenute, ancora, le candidature del Movimento 5 stelle, che a Roma parte favorito grazie alle conseguenze dello scandalo di Mafia capitale. I grillini sono ancora in pieno tormento dopo la decisione di Casaleggio di scegliere la libertà di coscienza per il voto sulla stepchild adoption. Ma c’è chi comincia a chiedersi se alla fine Casaleggio la partita della Capitale voglia giocarla davvero oppure no. 

Milano, nella sinistra sconfitta spunta una lista civica anti Sala
Il vincitore: “Tutti legati a un patto di lealtà”. Ma si studia un piano per ripetere lo scenario ligure. Offerta la candidatura a Dalla Chiesa di Fabio Poletti La Stampa 9.2.16
Le «belle primarie» del centrosinistra milanese sono finite. Adesso è il momento delle grandi manovre della sinistra dentro e fuori il Pd, che non si riconosce in Giuseppe Sala che ha vinto ma non stravinto la corsa verso palazzo Marino. L’ex commissario di Expo chiama a raccolta tutte le forze: «Dobbiamo arrivare insieme al risultato finale. Bisogna continuare nel solco dell’amministrazione uscente». È un invito diretto a Giuliano Pisapia ma Giuseppe Sala sa che c’è chi rema contro: «Siamo tutti legati a un patto di lealtà al centrosinistra ma qualcuno potrebbe cambiare strada». Che qualcuno abbia già messo la freccia a sinistra lo ammette il sociologo Nando Della Chiesa, uno dei firmatari dell’appello per Francesca Balzani, sponsorizzata dal sindaco Pisapia: «Non credo che la situazione rimarrà così. C’è un grande disagio dopo le primarie. Mi hanno già chiesto se ero disponibile a guidare una lista civica per correre contro Sala. Io ho detto di no ma lo stanno chiedendo anche ad altri».
Il timore di Beppe Sala e del Pd milanese è che si possa ripetere il terremoto ligure quando Sergio Cofferati dopo aver perso le primarie si smarcò dalla renziana Raffaella Paita arrivata prima. Se possa ripetersi lo stesso scenario è troppo presto per dirlo. Tutti i candidati che hanno perso le primarie giurano di voler correre per Beppe Sala. Il Pd milanese punta a una riunione di coalizione temendo che Sel possa sfilarsi remando contro. Ma il mal di pancia c’è. Lo si vedeva domenica sera nel teatro dove è stato proclamato il vincitore. Lo si sente nelle parole di Nando Dalla Chiesa: «Voglio capire che campagna elettorale vuole fare ma a me rimangono in testa le parole di Silvio Berlusconi quando disse: “Beppe è uno di noi”. E poi non mi sono piaciuti nè il sistema con cui i vertici del Pd hanno giocato durante le primarie nè i media tutti schierati con Sala. Se deve essere così non lo voto. Non è uno di centrosinistra».
Se e quando avverrà lo strappo non si sa. Nicola Fratoianni coordinatore nazionale di Sel guarda avanti: «Con Sala si conclude l’esperienza arancione di Giuliano Pisapia. Adesso ci vuole una riflessione. Una candidatura alternativa? È sempre difficile escludere cose che non sono di fronte a noi».
Paolo Ferrero segretario nazionale di Rifondazione va oltre: «Con Sala nasce il partito della nazione. Al via una lista alternativa». Basilio Rizzo della Federazione della sinistra e presidente del Consiglio comunale di Milano giura che si può fare: «C’è spazio per chi non voterà Sala o Parisi, due direttori generali di giunte di centrodestra». Da qui a giugno per Giuseppe Sala sarà un percorso di guerra. Sapendo che se non dovesse passare al primo turno, cosa mai successa a Milano, avrà bisogno di tutti per sedere a palazzo Marino. 

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