La sinistra E spunta anche l’ipotesi di una candidatura di Giuseppe Civati cui la sinistra radicale difficilmente potrà dire no
Sel non chiude le porte “Nessuno vuole sfilarsi ma i nostri voti pesano”
di Giovanna Casadio Repubblica 9.2.16
ROMA
«Nessuno di noi ha mai detto che ci sfiliamo. Ma il vincitore Sala deve
essere consapevole che la sinistra ha avuto un risultato
importantissimo perché Francesca Balzani e Pierfrancesco Majorino
insieme hanno ottenuto il 58% dei voti alle primarie. Un pacchetto
pesante, che deve contare». Tempo di resa dei conti nella Sinistra il
giorno dopo le primarie di Milano. E anche di maldipancia, di
lacerazioni, di incertezze, di ripensamenti. Arturo Scotto, il
capogruppo di Sel alla Camera, è però convinto che ci sarà una
riflessione e che il risultato non è quello di una diaspora, di correre
alle amministrative di giugno con un proprio candidato. Nicola
Fratoianni, l’altro leader vendoliano, è meno ottimista. Ha confessato a
botta calda che Sala «non è adeguato» e che l’esperienza della giunta
Pisapia e la «stagione arancione» sono inevitabilmente archiviate.
Ammette
l’amarezza, Fratoianni. Però rinvia a sua volta alla riflessione che va
fatta soprattutto con i compagni milanesi. Nessuno nella Sinistra
italiana vuole davvero strappare, rischiando di consegnare Milano, la
città-gioiello di Pisapia, il laboratorio della sinistra vincente, alla
destra unita di Berlusconi e Salvini. A meno che non si presenti Pippo
Civati. I vendoliani si sottraggono alla domanda: e se si presenta
Civati, il leader di “Possibile”, che non ha partecipato in alcun modo
alle primarie? «Allora sarebbe diverso...», rispondono, riconoscendo che
la tentazione di appoggiarlo sarebbe forte, abbandonando Sala. «Non c’è
una candidatura di Civati, quindi il punto non si pone», taglia corto
Scotto. Mentre Massimiliano Smeriglio, vice di Nicola Zingaretti in
Regione Lazio, e nella segreteria di Sel, è di più chiaro avviso: non si
può essere sleali con Sala, come hanno peraltro detto sia Balzani che
Majorino. «I milanesi si sono espressi con le primarie a cui hanno
partecipato decine di migliaia di elettori - ragiona Smeriglio - Non
possiamo ignorare la loro volontà e pensare che siccome il risultato non
è stato quello che auspicavamo, sia lecito far saltare il tavolo. In
ogni caso c’è un 60% che si è espresso in continuità con l’esperienza
Pisapia che noi dobbiamo valorizzare e organizzare, anche perché Sala ha
vinto ma non stravinto. Soprattutto dobbiamo tener conto della volontà
dei nostri iscritti milanesi».
Nichi Vendola, ieri di ritorno dal
Canada, si è raccomandato di non precipitare la situazione e di
rispettare le decisioni che spettano a livello locale: «Non c’è nessun
centralismo...». Molta preoccupazione, però. E amarezza. Scotto
riassume: «Per la sinistra è come essersi dati una martellata.
Devastante dividersi tra Balzani e Majorino. Sono i territori che devono
davvero valutare le alleanze e gli appoggi». Pisapia ha già detto la
sua, e cioè che si appoggia il vincitore. Sarebbe rassicurante per la
Sinistra un ticket Sala-Balzani? Creerebbe però malumori tra i
sostenitori di Majorino a quel punto più propensi a una libera uscita?
Domande sul tavolo. «Un ticket? Sala potrebbe proporlo», avanza
l’ipotesi Scotto, ma sempre battendo sullo stesso tasto, ovvero che
l’autonomia del partito milanese viene prima di tutto. Riunioni, vertici
e confronti sono già fissati con un fitto calendario nei prossimi
giorni.
Civati: «Io candidato anti-Sala? Un processo tutto da costruire»
Intervista.
L'ex pd: me lo chiedono in tanti, cerchiamo un nome che unisca. Anche a
Roma unifichiamo la corsa di Marino e Fassina
di Laura Matteucci il manifesto 9.2.16
MILANO
Benvenuti in Italia. Purtroppo le cose sono finite come si sapeva che
sarebbero finite, con uno sbilanciamento verso il centro e la destra che
toglie a Milano quell’eccezionalità in cui aveva vissuto negli ultimi
anni, peraltro ormai già ridotta al lumicino. Il Partito della Nazione è
approdato anche qui».
Pippo Civati, leader di Possibile, le
primarie di Milano le ha osservate dalla finestra. Il momento di entrare
in campo, per lui, arriva ora.
Che farà adesso, si candida?
Da
domenica sera me lo stanno chiedendo in molti, ma io credo in una
candidatura civica più che puramente politica, di qualcuno che faccia
parte della società milanese e sia capace di unire mondi diversi, al di
là delle sigle di appartenenza. Nomi ne circolano già (da Vittorio
Agnoletto all’attuale presidente del Consiglio comunale Basilio Rizzo a
Marco Mori, coordinatore di Possibile in città ed ex presidente di
Arcigay Milano, ndr), ma è un processo tutto da costruire, insieme ai
Socialisti, a Rifondazione, alla miriade di pezzi di società che non si
riconoscono nell’offerta presentata fin qui, per il quale ora vanno
accelerati i tempi. Entro febbraio dobbiamo mettere in campo una
proposta alternativa in grado di intercettare il consenso più ampio
possibile. A Roma partiremo sabato con un’assemblea che diverrà
permanente: l’idea per le amministrative romane è di conciliare le
componenti e le candidature, quella di Stefano Fassina e quella, che sta
emergendo, di Ignazio Marino. Un processo analogo deve iniziare a ruota
a Milano. Del resto, ci stiamo pensando da tempo: per noi l’esito delle
primarie era scontato, nessuna sorpresa e nessun cambio di scena.
Qualcosa è cambiato, però: la vittoria di Sala potrebbe aprire grandi spazi a sinistra.
Sicuro.
Il travaglio è già iniziato per tanti. Renzi ha chiarito la sua volontà
di prendere voti da qualsiasi parte arrivino, sostenendo che non si
debba fare gli schizzinosi. Ecco, noi vogliamo prendere tutti i voti
degli schizzinosi. Ma, ripeto, la nostra proposta va costruita con la
comunità locale, e inizieremo fin dai prossimi giorni. Inizia una storia
diversa, non nel senso inteso l’altra sera da Majorino, che archiviate
le primarie sosterrà Sala: inizia il lavoro per far nascere un progetto
nuovo. Chiunque di noi potrà essere chiamato a candidarsi o comunque a
ricoprire un ruolo, non ci sono automatismi.
Come giudica quanto accaduto a Milano?
Un
enorme pasticcio, un notevole problema gestionale con un solo possibile
esito chiaro fin dall’inizio. Infatti, io ne sono rimasto fuori, per
netta scelta politica.
Di chi sono le maggiori responsabilità?
La
responsabilità politica di Pisapia è oggettiva. E sta, di fondo, nel
non aver preparato la sua successione in questo cambiamento di schema
nazionale così clamoroso. Non voglio buttargli la croce addosso, però è
proprio questo che più mi ha deluso di lui: il basso profilo che ha
tenuto nei confronti di Renzi, il fatto di non essere mai critico, mai
incalzante rispetto alle scelte del governo. Del resto, la sua posizione
è quella che di recente ha sottoscritto insieme ai sindaci Doria e
Zedda con l’appello pubblico per il centrosinistra, che prevede
un’alleanza organica col Pd. Noi invece pensiamo a ricostruire la
sinistra in alternativa al Pd. Ora lui sosterrà Sala, come
prevedibilmente faranno tutti i soggetti coinvolti nelle primarie,
compresa Sel o gran parte di essa.
Era credibile pensare che Pisapia avrebbe rotto con il Pd?
È
chiaro che sarebbe stata una scelta molto pesante. La verità è che il
modello che lui ha incarnato a Milano non esiste più, non c’è più
quell’afflato che nel 2011 l’ha portato alla vittoria.
E dei due contendenti a sinistra, Majorino e Balzani, che dice?
Li
stimo molto entrambi, ma penso che non avrebbero dovuto giocare la
partita delle primarie così concepite, una volta capito che cos’è oggi
il Pd.
Avrebbero dovuto lasciare il partito?
Non
necessariamente. Ma credo che Majorino, in particolare, avrebbe potuto
candidarsi già a maggio in modo indipendente. Ecco, quella sarebbe stata
una chiave possibile che avrebbe potuto incontrare il nostro
gradimento.
Nel laboratorio di Milano si decide anche la strategia di Renzi
L’ipotesi di due liste per affiancare il candidato dal centro e dalla sinistra
L’obiettivo
del premier è fare del Pd un nuovo grande partito dei moderati Il
referendum sulle riforme sarà l’occasione per rimescolare le carte
di Stefano Folli Repubblica 9.2.16
AL
di là della polemica esagerata e pretestuosa sul voto dei cinesi, la
vittoria di Sala nelle primarie milanesi cambia lo scenario del
centrosinistra, forse anche su scala nazionale. Quel che è certo,
comincia una partita complessa, degna di quel “laboratorio politico” che
la città è sempre stata. In sintesi, l’ex commissario dell’Expo - ed ex
collaboratore di Letizia Moratti ha la possibilità di conquistare
segmenti importanti di elettorato di centrodestra (quindi ex
berlusconiani, ma in parte forse anche leghisti) riunendoli dietro di sé
in un amalgama mai sperimentato con il tradizionale mondo del
centrosinistra.
Si è già detto che questa è l’elezione in cui sono
protagonisti i “city manager” o comunque personaggi delle professioni
lontani dalla politica e soprattutto dai partiti: oltre a Sala c’è la
probabile candidatura di Stefano Parisi per l’asse Berlusconi- Salvini,
oltre a quella già in campo di Corrado Passera. Ma il candidato
“renziano” vincitore delle primarie è espressione di una logica che va
al di là della vita cittadina, anche se è a Milano, nella contesa per
Palazzo Marino, che tutto si decide. Non si tratta di citare il “partito
della nazione” ripudiato da Renzi e dallo stesso candidato. Tuttavia la
missione di questi non potrebbe essere più chiara. Essa poggia su due
interrogativi: primo, è in grado il vincitore delle primarie di
diventare il punto di riferimento della Milano moderata dopo gli anni
“arancioni” della giunta Pisapia, espressione di una borghesia di
sinistra peraltro molto forte e radicata? È lo stesso obiettivo
perseguito da Renzi sul piano nazionale: fare del Pd, ricostruito a
immagine del premier-segretario, il nuovo grande partito moderato
italiano. Finora questo sfondamento al centro, anzi al centrodestra, non
si è verificato: salvo in quel “test” particolare e poco attendibile
che è il voto europeo.
È chiaro che Renzi attende il referendum di
ottobre sulla riforma costituzionale per riproporsi come il leader che
rimescola tutte le vecchie appartenenze. Intanto però il laboratorio
milanese può offrire preziose indicazioni. Se il candidato Sala, che non
appartiene alla storia del Pd tradizionale, riesce a conquistare i ceti
moderati, Renzi ne potrà ricavare buoni auspici in prospettiva
nazionale.
Ma il cammino non sarà una passeggiata. I due candidati
della sinistra, Balzani e Majorino, hanno dimostrato di avere un
seguito, coincidente con l’influenza esercitata dal sindaco uscente.
Non
sembra credibile, a questo punto, che nasca una lista di sinistra
contro Sala guidata da un candidato sconfitto alle primarie. Il “patto
di lealtà” richiamato da tutti più volte a qualcosa servirà. Ci sarà una
lista minore, probabilmente gestita da Civati, ma avrà un peso
limitato. Il vero problema di Sala sarà tenersi stretto l’elettorato di
Pisapia (e quindi della Balzani e di Majorino).
Questa è la sfida
sostanziale: perdere il meno possibile a sinistra riuscendo, al
contempo, a entrare nell’opinione di centrodestra. È plausibile allora
che il sindaco uscente organizzi una sua lista: non per contrastare
Sala, bensì per affiancarlo, sostenerlo e condizionarlo. Questo
spiegherebbe la frase di Pisapia ieri: “mi sento vincitore”.
SE
così fosse, prenderebbe forma una sinistra ex arancione interna alla
logica renziana così come si riflette nella candidatura principale. Non
solo a Milano: Pisapia potrebbe ambire a svolgere un ruolo nazionale,
riorganizzando la sinistra Pd e oltre. Non entrerebbe in urto frontale
con il premier, non alimenterebbe mini-scissioni. Ma si terrebbe le mani
libere in vista di futuri, possibili incidenti politici del presidente
del Consiglio.
Allo stesso modo, potrebbe nascere a Milano una
lista civica di centro. Anch’essa affiancherebbe Sala, testimone del Pd,
e lo aiuterebbe a compiere la sua missione principale: appunto la
conquista degli ex berlusconiani e la disarticolazione della vecchia
destra. In chiave nazionale, questa soluzione offrirebbe una ragione
d’essere ai centristi, a patto che siano capaci di rinnovarsi. A favore
di Renzi, ma soprattutto di se stessi: con o senza l’Italicum.
Tra i due litiganti Sala gode, sipario sull’esperienza arancione
La
commedia delle primarie del Pd più belle d'Italia ha rispettato il
copione. La vittoria del manager di Expo, con la complicità dei due
comprimari Majorino e Balzani che si sono divisi il voto di sinistra,
consegna la città del sindaco Giuliano Pisapia al partito della nazione.
A sinistra si apre uno spazio politico per tutti coloro che considerano
Beppe Sala un corpo estraneo
di Luca Fazio il manifesto 9.2.16
MILANO
E vissero tutti felici e contenti. Evviva il centrosinistra milanese,
dicono proprio così, e non c’è niente da ridere. Fine della commedia.
Forse sarebbe stato più rispettoso per il pubblico pagante se la messa
in scena delle primarie del Pd si fosse conclusa con un simpatico colpo
di scena, magari con i tre candidati sorridenti a fare cippirimerlo ai
cittadini che ci hanno creduto. Il lieto fine era scritto, è vero, però i
salamelecchi del giorno dopo suonano ugualmente un po’ irritanti,
soprattutto per quei 33.645 votanti che hanno pagato il biglietto per
veder perdere i loro candidati non protagonisti contro Mr Expo. Come da
copione, è Giuseppe Sala il candidato sindaco del partito della nazione.
Ha preso 24.961 voti (42,3%), non tantissimi ma sufficienti. Hanno
votato 60.900 persone, 6 mila in meno rispetto al 2010.
Sono tutti
euforici, dicono di aver vinto. Nessuno gli ha ancora detto che la
festa è finita. Pierfrancesco Majorino (ha perso con il 23% dei voti) se
la canta e se la suona rivendicando la sua radicalità mentre scorrono i
titoli di coda sulla defunta esperienza arancione. Starà con Beppe
Sala, naturalmente: “Ora il cammino continua, leali nel centrosinistra”.
Ma i conti poco chiari di Expo? E il sostegno di Cl e dei salotti?
Acqua passata. Francesca Balzani (ha perso con il 33,9% dei voti) è
furibonda ma il copione le impone di continuare la recita: “Questo voto
mostra che Milano vuole il centrosinistra, una sinistra responsabile,
costruttiva, di governo ed è solo riunendoci che questo elettorato si
ritroverà compatto per vincere a giugno le elezioni”. E il voto dei
cinesi? Macché, “polemiche sterili”. Viva Beppe.
La considerazione
più sconcertante tocca però al regista dell’operazione, Giuliano
Pisapia, l’unico grande perdente di questa partita incomprensibile che
spalanca le porte di Palazzo Marino all’ex city manager di Letizia
Moratti, l’uomo più adatto a portare avanti il disegno del presidente
del Consiglio. Il sindaco di Milano non solo non si sente sconfitto ma
rilancia: “No, sono vincente”. Qualunque osservatore sa invece che
domenica scorsa è calato per sempre il sipario sulla sua esperienza
politica, semplicemente perché pur giocando in casa è stato battuto da
Matteo Renzi. In cinque anni Pisapia non è riuscito a creare una
comunità politica in grado di ereditare l’iniziale forza d’urto
dell’esperienza arancione. Era questa l’unica strada, a Milano, per dare
vita a un’alternativa credibile al renzismo (i suoi assessori del resto
da subito hanno scelto Sala). Lui non ha voluto o potuto perseguirla.
Sembra
strano, ma questo è già il passato. Anche se largamente previste e
prevedibili, le cose poi accadono e producono effetti non scontati. E
immediati. I Sala-boys (Majorino e Balzani compresi) già sanno che
l’esito delle primarie apre scenari per nulla rassicuranti. Non tutte le
elezioni sono ritagliate su misura per far vincere facile l’ex manager
di Expo. Lo dicono la matematica e il buon senso: una parte consistente
di quel 56,9% del “popolo di sinistra” che domenica ha scelto di non
votare Beppe Sala potrebbe non votarlo nemmeno il prossimo giugno. Molti
lo considerano un corpo estraneo. Questo fatto nelle prossime settimane
produrrà smottamenti (e psicodrammi e clamorose resurrezioni) nel campo
piuttosto desolato della sinistra. Ma l’occasione è troppo ghiotta e
non capita da anni.
La domanda è: come soddisfare questo bisogno
di sinistra emerso dalle primarie? Il dilemma riguarda prima di tutto
Sel, e più o meno è lo stesso che lacera il partito che da mesi finge di
credere nel centrosinistra milanese. Starci dentro o guardare altrove?
Onorare i patti e stare con Sala fino a giugno sarebbe doveroso ma
suicida, nascondersi dietro una ipotetica lista Balzani per salvare la
faccia sarebbe poco credibile, così come sarebbe un azzardo abbandonare
la partita dopo aver perso per riallacciare rapporti mai così
deteriorati con tutto ciò che si agita a sinistra del Pd. “Stiamo
riflettendo, questo voto ci interroga nel profondo”. Benvenuti e tanti
auguri.
Sembrerebbe più agevole, ma è altrettanto complicato, il
compito della sinistra-sinistra che da mesi è in attesa di muovere i
suoi primi passi (Prc, Lista Tsipras, Possibile e pezzi di Sel in libera
uscita). Si parlano, fervono le trattative, è un bisbiglio che arriva
alle orecchie. Ma c’è poco da girarci attorno. Ci vuole una lista.
Bisogna tirare fuori un nome. Dicono che accadrà entro febbraio.
Servirebbe un volto nuovo ma conosciuto e affidabile, con un progetto
credibile e insieme visionario, dal linguaggio non paludato ma
riconoscibile, e possibilmente in grado di sbarazzarsi delle solite
liturgie. Praticamente un miracolo. Come dicono alcune vecchie volpi
della politica milanese già al lavoro, a sinistra si è creato uno spazio
e in politica gli spazi si riempiono sempre. Il problema è renderli
accoglienti (e votabili).
Divisi e perdenti Dopo il risultato delle primarie di Milano
di Norma Rangeri il manifesto 9.2.16
I
miracoli a Milano non si ripetono. La politica esce sconfitta e la
sinistra resta ai margini. Sono queste le tre conseguenze principali che
l’esito del voto per le primarie milanesi ci consegna. E non ci voleva
un premio nobel per prevederlo.
Il candidato sindaco di Milano è
Giuseppe Sala. Francesca Balzani, pur sponsorizzata dall’attuale
sindaco, ha perso e con lei dalla sfida dei seggi esce perdente anche
l’altro nome della sinistra milanese, Pierfrancesco Majorino.
Volevano battere Sala, è successo esattamente il contrario.
Si
tratta di un esito abbastanza scontato, assistiamo a una scena
purtroppo già vista mille volte: la sinistra si divide e deve
accontentarsi di giocare un ruolo secondario, di portabandiera ai
margini del campo. Se ci fosse stata una candidatura unitaria, con
l’ambizione di fare del modello-Pisapia uno spartiacque anche per la
politica nazionale, un’alternativa al partito pigliatutto di Renzi,
probabilmente avrebbe persino rischiato di vincere. Perché i voti di
Balzani e Majorino arrivano al 57% e quelli per Sala si fermano al 42%. E
se è pur vero che è sempre difficile sommare le preferenze, è
altrettanto evidente che partire divisi è già abbonarsi alla sconfitta.
Alla condizione di debolezza della sinistra ha in parte contribuito proprio lo stesso Pisapia.
Dopo
aver lanciato il fulmine annunciando la sua indisponibilità a rinnovare
l’incarico, per lunghi mesi non ha incentivato la costruzione di una
candidatura unitaria della sinistra, e solo all’ultimo ha designato
l’erede mentre il presidente del consiglio bruciava i tempi puntando
dritto sull’uomo di Expo.
Oltretutto, Sala ha mancato quello
sfondamento oltre il perimetro del centrosinistra, come l’affluenza
degli elettori, inferiore a quella del 2010, conferma. Un nome che non
piace a più della metà degli elettori del centrosinistra sarà difficile
che venga votato con entusiasmo da quest’area politica. Specialmente se,
a sinistra, si dovesse configurare una nuova coalizione, tra quelli che
non hanno condiviso la scelta delle primarie e che ora pensano a una
lista elettorale con il nome di Civati.
Certo è complicato, per
esempio per una forza come Sel, che si è molto divisa sulla
partecipazione a uno schieramento guidato dall’uomo di Expo, ora
rinnegare il patto di fedeltà siglato dalle primarie.
Il secondo
messaggio che arriva dall’ex capitale morale d’Italia è che alle
elezioni vere e proprie se la vedranno tre figure analoghe: oltre a Sala
si scaldano ai blocchi di partenza Corrado Passera e l’ex direttore
generale di Confindustria, Stefano Parisi.
Così quella che
dovrebbe essere una sfida politica diventa una competizione tra uomini
d’affari, tra manager di riferimento per il mondo della finanza.
Più
che i competitori per l’elezione di un sindaco sembrano capicordata
impegnati in una battaglia su chi dovrà essere nominato come
amministratore delegato. Difficile vederci una continuità con il modello
Pisapia, difficile considerare il manager Sala erede di quella
coalizione arancione che, dopo vent’anni, riuscì a sconfiggere il
centrodestra nel bastione del leghismo e del berlusconismo.
E
allora dove vivrà la spinta che fece il miracolo arancione, chi
esprimerà l’anima della città che scelse il cambiamento? E’ Sala l’erede
di Pisapia?
Verso le amministrative Il Pd e i rischi della «rottura» del centrosinistra
Anche
a Milano, dopo i risultati delle primarie, possibile una candidatura
alternativa di Sel - Fratoianni: «Una stagione è finita, in corso
riflessione»
di Emilia Patta Il Sole 9.2.16
Non c’è dubbio che
la vittoria di Giuseppe Sala alle primarie milanesi è un successo
politico per Matteo Renzi,che non ha mai nascosto di puntare sull’ex
presidente Expo per mantenere nelle mani del Pd e del centrosinistra il
timone di Palazzo Marino. Una personalità, quella di Sala, che guarda
evidentemente all’elettorato moderato e che proprio per questo appare
sulla carta vincente alle urne “vere” di giugno. Eppure, appena messa in
qualche modo in sicurezza Milano quando invece la partita a Roma e a
Napoli si presenta tutta in salita per il Pd, la vittoria di Sala ai
gazebo di sabato e domenica rischia di essere la spallata finale a quel
che resta del centrosinistra inteso come coalizione “classica”. Tanto
che a sinistra del Pd non si esclude un possibile candidato anti-Sala.
Con l’incubo, per il Pd, di ripetere l’esperienza ligure dove la
candidatura cofferatian-civatiana di Pastorino ha contribuito alla
vittoria del forzista Giovanni Toti.
«È evidente che una stagione è
finita», dice il coordinatore di Sel Nicola Fratoianni commentando il
voto milanese. Fratoianni è, nel partito fondato da Nichi Vendola, uno
dei più critici verso il Pd di Renzi. Ma i vendoliani a Milano sono
stati per così dire lasciati liberi di partecipare alle primarie
dividendosi tra Francesca Balzani (che ha ottenuto il 33,8%) e
Pierfrancesco Majorino (22,9%). Insieme i due candidati anti-Sala fanno
56,7 per cento. Ma anche Fratoianni ammette che in politica la
matematica vive di leggi diverse e che i voti non si possono
semplicemente sommare. «Ma certo la divisione a sinistra ha reso ancora
più improbabile la sconfitta di Sala». Niente di personale,
naturalmente, ma per caratteristiche e provenienza del personaggio «con
Sala si chiude la stagione arancione di Giuliano Pisapia». Che fare,
dunque? Si scappa con il pallone? «Dico solo che la chiusura di una
stagione politica impone una riflessione», rimarca Fratoianni.
Eppure
proprio il sindaco uscente Pisapia, di provenienza vendoliana ma
convinto “coalizionista”, ha lavorato con impegno e convinzione per
mantenere largo il perimetro del centrosinistra e a salvaguardare il
senso politico della stagione che nei prossimi giorni potrebbe
chiudersi. D’altra parte, nella geografia nazionale la coalizione di
centrosinistra così come l’abbiamo conosciuta negli ultimi 20 anni
appare ormai sempre più rara, e nelle grandi città resta in piedi solo a
Trieste per la conferma di Cosolino e a Cagliari per la conferma di
Zedda: le candidature della sinistra autonome dal Pd prevalgono.
Il
dato di fatto è che il quadro politico dalle ultime comunali, dopo le
elezioni del 2013 “non vinte” dal Pd di Bersani, è completamente
cambiato: è la prima volta negli ultimi vent’anni - quelli della
stagione Prodi-Amato-D’Alema, se si eccettua la divisione del Prc in
corso di legislatura del 1998 - che la sinistra cosiddetta radicale si
trova all’opposizione di un governo guidato dal leader della sinistra
riformista. Quando Fratoianni proclama «il Pd è nostro avversario» in
fondo fotografa una realtà. Pd e sinistra sono poi su opposti fronti in
vista del referendum confermativo d’autunno sulla riforma costituzionale
del Senato e del Titolo V. E lo stesso Italicum voluto dal premier e
segretario del Pd, con il premio alla lista e non più alla coalizione, è
il trionfo della vocazione maggioritaria di veltroniana memoria e la
certificazione della morte delle coalizioni a livello nazionale.
I
motivi politici della separazione tra Pd e sinistra sono insomma più di
uno, ma a livello locale il rischio è una debacle per il partito del
premier: se un 5-6% è inutile per vincere, può essere utile per far
perdere i candidati del Pd. Perché le leggi elettorali per i Comuni
prevedono le coalizioni, e il fiorire di candidature a sinistra del Pd
(a cominciare da Roma, dove l’ex dem Stefano Fassina è già in pista e
punta all’asse con il defenestrato Ignazio Marino) evoca il rischio di
un effetto-Pastorino moltiplicato per le tante città al voto. Per questo
l’esito della vicenda milanese nei prossimi giorni è di particolare
importanza.
Partita a scacchi tra variabili impazzite e veti incrociati
di Marcello Sorgi La Stampa 9.2.16
La
vittoria di Sala a Milano ha aperto un problema a sinistra, dentro e
fuori il Pd, e ha fatto da detonatore alle contraddizioni del
centrodestra, in ritardo nella scelta dei propri candidati per le
amministrative di primavera.
La turbolenza a sinistra del Pd è
data dai numeri delle primarie: i voti raccolti dalla vice sindaca
Balzani e da Maiorino, se sommati a favore di un’unica candidatura,
avrebbero largamente consentito di superare il manager dell’Expo messo
in pista da Renzi. Logico che le spinte a favore di un candidato
alternativo al Comune, forse Civati, continuino. Le stesse dichiarazioni
della Balzani, che ha accettato il risultato, puntano a ricevere da
Sala rassicurazioni appunto per il largo elettorato di sinistra che non
ha votato per lui.
Quanto al centrodestra, le maggiori difficoltà
sono per Roma, più che per Milano, dove alla fine la sfida dovrebbe
essere tra due ex-city manager, Parisi contro Sala. Il successo del
candidato moderato a sinistra ha tolto di mezzo le ipotesi di schierare
personalità più forti, come Del Debbio e Sallusti. Ma nella Capitale
crescono le pressioni di parte di Forza Italia per convincere Berlusconi
ad accettare di schierare il centrodestra con Alfio Marchini, il
candidato civico che se sostenuto da una larga coalizione avrebbe la
possibilità di arrivare al ballottaggio e forse anche di vincere. Contro
Marchini, tuttavia, ci sono anche forti resistenze: di Fratelli
d’Italia, principalmente, che aveva nella propria leader Giorgia Meloni,
che ha rinunciato dopo l’annuncio della gravidanza al Family day, un
nome molto forte per competere, e difficilmente potrebbe far convergere i
propri voti su un candidato che, pur avendo assunto un profilo
scolorito, viene da una famiglia di sinistra e aveva un nonno
costruttore legato al Pci. E anche dall’interno di Forza Italia, in cui
il timore è che Marchini, se eletto sindaco, possa entrare nel
complicato gioco della successione all’ex-Cavaliere, usando l’eventuale
vittoria per il Campidoglio come trampolino di lancio. Al vertice di
ieri con Berlusconi, Salvini e Meloni è stata quest’ultima a porre il
veto su Marchini.
Non pervenute, ancora, le candidature del
Movimento 5 stelle, che a Roma parte favorito grazie alle conseguenze
dello scandalo di Mafia capitale. I grillini sono ancora in pieno
tormento dopo la decisione di Casaleggio di scegliere la libertà di
coscienza per il voto sulla stepchild adoption. Ma c’è chi comincia a
chiedersi se alla fine Casaleggio la partita della Capitale voglia
giocarla davvero oppure no.
Milano, nella sinistra sconfitta spunta una lista civica anti Sala
Il
vincitore: “Tutti legati a un patto di lealtà”. Ma si studia un piano
per ripetere lo scenario ligure. Offerta la candidatura a Dalla Chiesa
di Fabio Poletti La Stampa 9.2.16
Le
«belle primarie» del centrosinistra milanese sono finite. Adesso è il
momento delle grandi manovre della sinistra dentro e fuori il Pd, che
non si riconosce in Giuseppe Sala che ha vinto ma non stravinto la corsa
verso palazzo Marino. L’ex commissario di Expo chiama a raccolta tutte
le forze: «Dobbiamo arrivare insieme al risultato finale. Bisogna
continuare nel solco dell’amministrazione uscente». È un invito diretto a
Giuliano Pisapia ma Giuseppe Sala sa che c’è chi rema contro: «Siamo
tutti legati a un patto di lealtà al centrosinistra ma qualcuno potrebbe
cambiare strada». Che qualcuno abbia già messo la freccia a sinistra lo
ammette il sociologo Nando Della Chiesa, uno dei firmatari dell’appello
per Francesca Balzani, sponsorizzata dal sindaco Pisapia: «Non credo
che la situazione rimarrà così. C’è un grande disagio dopo le primarie.
Mi hanno già chiesto se ero disponibile a guidare una lista civica per
correre contro Sala. Io ho detto di no ma lo stanno chiedendo anche ad
altri».
Il timore di Beppe Sala e del Pd milanese è che si possa
ripetere il terremoto ligure quando Sergio Cofferati dopo aver perso le
primarie si smarcò dalla renziana Raffaella Paita arrivata prima. Se
possa ripetersi lo stesso scenario è troppo presto per dirlo. Tutti i
candidati che hanno perso le primarie giurano di voler correre per Beppe
Sala. Il Pd milanese punta a una riunione di coalizione temendo che Sel
possa sfilarsi remando contro. Ma il mal di pancia c’è. Lo si vedeva
domenica sera nel teatro dove è stato proclamato il vincitore. Lo si
sente nelle parole di Nando Dalla Chiesa: «Voglio capire che campagna
elettorale vuole fare ma a me rimangono in testa le parole di Silvio
Berlusconi quando disse: “Beppe è uno di noi”. E poi non mi sono
piaciuti nè il sistema con cui i vertici del Pd hanno giocato durante le
primarie nè i media tutti schierati con Sala. Se deve essere così non
lo voto. Non è uno di centrosinistra».
Se e quando avverrà lo
strappo non si sa. Nicola Fratoianni coordinatore nazionale di Sel
guarda avanti: «Con Sala si conclude l’esperienza arancione di Giuliano
Pisapia. Adesso ci vuole una riflessione. Una candidatura alternativa? È
sempre difficile escludere cose che non sono di fronte a noi».
Paolo
Ferrero segretario nazionale di Rifondazione va oltre: «Con Sala nasce
il partito della nazione. Al via una lista alternativa». Basilio Rizzo
della Federazione della sinistra e presidente del Consiglio comunale di
Milano giura che si può fare: «C’è spazio per chi non voterà Sala o
Parisi, due direttori generali di giunte di centrodestra». Da qui a
giugno per Giuseppe Sala sarà un percorso di guerra. Sapendo che se non
dovesse passare al primo turno, cosa mai successa a Milano, avrà bisogno
di tutti per sedere a palazzo Marino.
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