martedì 9 febbraio 2016

Checco Varoufakis lancia la sua nuova Syriza con Toni Negri e Flavio Iglesias Sboròn. Siamo a posto

Risultati immagini per zalone varoufakisTutti gli “amici” di Yanis: dagli ex socialisti ad Assange
di Matteo Pucciarelli Repubblica 9.2.16
MILANO Cosa sarà il Diem (Democracy in Europe Movement) non lo sa bene ancora nessuno, neanche gli organizzatori. Se un movimento d’opinione, se un’aggregazione politica, chissà. Di certo oggi al Teatro del popolo di Berlino ci saranno due king maker di peso come Yanis Varoufakis e Julian Assange a spiegare la propria idea di Europa: democrazia, uguaglianza, trasparenza nei poteri decisionali e pluralismo, questi i valori di fondo.
«La nostra ambizione però è chiara — dice Lorenzo Marsili di Europe Alternatives, l’associazione promotrice dell’iniziativa — non fare un ennesimo appello ma produrre processi politici di cambiamento su scala europea, contro questo status quo e i nazionalismi». Il progetto di Varoufakis non ha rappresentanti politici in Italia, ma solo esponenti del mondo della cultura. Come Toni Negri, ancora oggi soprattutto all’estero considerato un teorico di primo livello; Sandro Mezzadra, professore a Bologna che collaborò con il leader di Podemos Pablo Iglesias; Ugo Mattei, tra i promotori del referendum per l’acqua pubblica.
L’area no-euro vicina a Stefano Fassina invece no, non è stata coinvolta. Proprio perché negli ultimi tempi l’ex ministro greco ha abbandonato la linea “sovranista” di Jean-Luc Mélenchon (Front de Gauche) e Oskar Lafontaine (Die Linke) per abbracciarne una più simil-Tsipras, ma quella prima della capitolazione.
Sono fertilissimi, invece, i collegamenti con Podemos, specie con la sua componente più di sinistra e di movimento. Dovrebbe esserci la sindaca di Barcellona Ada Colau, in Spagna diventata nota e contesa quanto lo stesso Iglesias. «L’esperienza spagnola — ragiona Marsili — è un ottimo esempio di politicizzazione di massa».
Oltre ad Assange, che interverrà in videoconferenza dall’ambasciata dell’Ecuador a Londra, parteciperà il musicista Brian Eno, che dalla sua ha un comprovato pedigree radical. E poi un ministro ombra del Labour di Jeremy Corbyn (John Mc-Donnel), una ex ministra di Francois Hollande (Cecile Duflot), la presidente della tedesca Linke Katja Kipping e Marisa Matias, leader del Bloco de Esquerda portoghese, che sostiene il governo anti-austerity del socialista António Costa. Un altro paese “Pigs” neo-ribelle che comincia a far preoccupare Angela Merkel. Mancano voci di Syriza: una storia che ancora brucia a sinistra.

Varoufakis “La mia battaglia parte dal basso cambiamo le regole per salvare l’Europa”
Lancia Diem 25: “Sarà un movimento, non un partito. La svolta di Renzi? Chiedere maggiore flessibilità per aggirare le direttive Ue è controproducente con i tedeschi”

intervista di Ettore Livini Repubblica 9.2.16
BERLINO. «La svolta anti-austerità di Renzi? Sono d’accordo con quasi tutto quello che dice. Ma chiedere più flessibilità per aggirare le regole dell’Europa è un’idea stupida. E controproducente con i tedeschi. Se ognuno nella Ue decide di fare ciò che vuole, l’Unione è finita. La vera battaglia oggi nella Ue è cambiare le regole». Yanis Varoufakis,
more solito,
non le manda a dire. Chiusa la turbolenta esperienza con il governo Tsipras, il nemico pubblico numero uno di Troika e austerity cala il jolly sul palcoscenico continentale. Lanciando oggi a Berlino — location tutt’altro che casuale — Diem25, un movimento («mi raccomando non scriva che è un partito») trasversale per «democratizzare l’Europa prima che si disintegri».
Serve davvero un nuovo movimento?
Syriza governa in Grecia. La sinistra è al potere in Portogallo. Podemos e Psoe potrebbero allearsi in Spagna. Non crede che gli elettori abbiano già iniziato a ridisegnare il continente?
«Prego di sbagliarmi, ma temo che non cambierà niente. L’Europa è un edificio costruito male, dove un processo decisionale opaco presentato dalla burocrazia comunitaria come “apolitico e tecnico” sta rubando la democrazia al popolo. Guardi Tsipras. La primavera del 2015 di Atene è stata soffocata e il suo governo è stato costretto ad accettare ciò che era stato eletto per combattere. Oggi gli unici che difendono le pensioni sono i fascisti. Un disastro. Sono contento che il voto di Lisbona abbia affondato la favola del successo dell’austerity. Ma il nuovo esecutivo portoghese ha potuto giurare solo dopo aver accettato la ricetta d’austerità precotta dalla Ue. Si governa il proprio paese ma non si ha potere in Europa. È un problema serio perché la delusione genera apatia e depressione. E gli unici a beneficiarne sono i movimenti nazionalisti e i nostalgici della dittatura».
Renzi spinge per un fronte anti-austerità delle forze socialiste. Interessa?
«Ha ragione a chiederlo. Ma quando lo scorso luglio la Grecia è stata davanti a quel baratro, lui si è schierato con chi ci ha asfissiato. Doveva saperlo che quel che imponevano a noi allora, sarebbe arrivato anche in Italia. La Troika ha colpito Atene per dare un messaggio a Roma, Madrid e soprattutto a Parigi».
La Troika arriveràin Italia?
«È chiaro a tutti che la situazione italiana è difficilmente sostenibile. Ma, come la Grecia, il vostro paese è solo una vittima collaterale della guerra tra Germania e Francia. Schauble vuole portare la Troika a Parigi. E se non riportiamo il popolo al centro della democrazia nel vecchio continente, rischiamo di rivivere il disastro del 1930-31 quando alla crisi economica si rispose con il dumping del lavoro e mettendo i paesi europei uno contro l’altro, circolo vizioso che generò solo xenofobia. Non dobbiamo ripetere quegli errori».
Come giudica la risposta di Bruxelles alla crisi dei migranti e l’idea di tagliare la Grecia fuori da Schengen?
«L’unica persona che mi ha reso orgoglioso di essere europeo, anche se a tratti, su questo fronte è stata Angela Merkel. Il resto è una tragedia. Trattare il tema dei migranti come questione italiana o ellenica oppure, ancora peggio, trasformare la Grecia in un campo di concentramento mentre le chiedi ulteriore austerity è l’inizio della fine dell’Europa. Siamo a Berlino, cito Hegel: nessuno è libero nella Ue se c’è solo una persona che non è libera».
Tsipras riuscirà a salvare la Grecia?
«Temo di no se non cambia qualcosa. Il paese continua a perdere reddito dal 2009. Hanno chiuso le banche e poi ci hanno chiesto di alzare le tasse a persone e imprese. È il modo migliore per uccidere un paese, non per salvarlo».
Colpa anche di Mario Draghi?
«Draghi è una persona saggia e competente. Ha fatto quello che poteva nelle condizioni difficili in cui si trovava. È riuscito a imporre il quantitative easing. Ma poi deve comprare soprattutto titoli tedeschi. Aiuta chi non ha bisogno. Perché? Perché la Banca centrale europea non è indipendente. Io sono certo che, se fosse stato per lui, alla Grecia non sarebbero stati imposti i controlli di capitale».
Oggi lancia il suo movimento: scopi?
«Riportare il demos a essere protagonista della democrazia. Abbiamo depoliticizzato i processi decisionali della Ue. Sul tavolo sembrano esserci solo due alternative: rassegnarsi a questa situazione o tornare alla bambagia dello Stato Nazione. Invece c’è una terza via: combattere dal basso e a livello sovra-nazionale per ridare voce a chi non ce l’ha e restituire alla gente il potere di decidere cosa fare del suo futuro. Lo faremo con tanti incontri nazionali fino a un’assemblea costituente che concluda il suo lavoro nel 2025. Un’utopia, certo. Ma lo era anche il sogno dell’Europa unita. E meno utopico che tenere in piedi il sistema anti-democratico e divisivo con cui è governata oggi».

Atene, riaffiora lo spettro di Grexit
Proteste di piazza, riforma delle pensioni ancora bloccata: la Borsa crolla del 7,8% di Vittorio Da Rold Il Sole 9.2.16
La contestata riforma delle pensioni torna ad alzare la tensione sulla Grecia. E come sempre anche sui mercati. Malgrado l’aumento del rating di Atene annunciato da S&P’s, la Borsa greca ha perso il 7,87% con una pioggia di vendite che ha colpito soprattutto i maggiori titoli bancari, i cui prezzi si sono dimezzati da inizio anno. Ieri il crollo di Alpha Bank, Banca del Pireo, Banca nazionale e Eurobank ha provocato un tonfo dell’indice settoriale, che ha chiuso con un -23,4%. Ad appena 464,23 punti, l’indice composito di riferimento della Borsa ateniese, sismografo della ennesima crisi, ha segnato il valore di chiusura più basso da 25 anni a questa parte. Un tracollo.
Tutto è iniziato giovedì scorso. Mentre la troika in rappresentanza dei creditori incontrava i ministri greci al ministero delle Finanze ad Atene per discutere della controversa riforma previdenziale che dovrebbe traghettare definitivamente il Paese mediterraneo fuori dalla secche, si svolgeva in contemporanea uno sciopero generale di oltre 50mila persone nel centro di Atene, proprio in piazza Syntagma davanti al Parlamento.
È stata la prima protesta di massa di queste dimensioni a sfidare il primo ministro Alexis Tsipras, che rischia di rimanere stritolato da questo ennesimo braccio di ferro con i creditori e dalle resistenze della piazza. A protestare c’erano questa volta agricoltori, pompieri, poliziotti, guardia costiera, dipendenti del settore pubblico in generale, medici, avvocati e altri professionisti autonomi che raramente scendono in piazza. La maggior parte dei negozi e ristoranti nel centro di Atene è rimasta chiusa.
A mobilitare ancora una volta la piazza è stata l’annunciata riforma del governo sulle pensioni, l’ennesima riduzione delle prestazioni con l’aggiunta dell’aumento dei prelievi. Tsipras ha cercato di aumentare i contributi dei nuovi assunti per scaricare il peso della riforma sulle nuove generazioni. Ma la troika (in primis la Germania) non ha accettato la mossa diversiva e ha messo alle corde la risicata maggioranza di Syriza-Anel che ora rischia di scontentare i greci e di spaccarsi in Parlamento. La riforma delle pensioni annunciata a gennaio prevede un ulteriore taglio medio del 15% delle prestazioni, l’accorpamento dei fondi di gestione, la riduzione a 2.300 euro dell’ammontare mensile massimo (da 2.700) e una pensione minima con almeno 15 anni di contributi ridotta a 384 euro. Una misura complessiva da 1,8 miliardi di nuovi tagli previdenziali, pari all’1% del Pil che nel frattempo si è ridotto del 25 per cento. Insomma ancora una dose di austerity sulle pensioni, un tema delicato socialmente poiché il 50% dei greci ha come principale fonte di reddito proprio l’assegno previdenziale, con un tasso di disoccupazione del 25,1 per cento e nessuna forma di indennità per i senza lavoro prevista sul terreno.
Poi la troika ha chiesto di varare alcune misure sui prestiti in sofferenza che dovrebbero consentire alle banche di mettere sul mercato con più facilità gli immobili ipotecati, una misura però molto contestata dai sindacati e dai partiti di opposizione. Gli ennesimi sacrifici fanno parte del piano richiesto dalla troika (Ue, Fmi e Bce) in cambio del nuovo pacchetto di aiuti da 86 miliardi di euro, negoziato a luglio. Un piano che si aggiunge ai 240 miliardi di euro già erogati dai creditori nei precedenti due piani di salvataggio, rispettivamente da 110 e 130 miliardi di euro. Una pioggia di miliardi che sono solo transitati da Atene per ritornare con una partita di giro nelle casse dei creditori.
Atene proprio a luglio dovrà far fronte al pagamento di 3,5 miliardi di euro di prestiti in scadenza. Senza i soldi della troika la tragedia greca rischia di ripartire ancora un volta, proprio adesso che Atene sperava di poter accedere al Quantitave easing della Bce, cioè l’acquisto di 60 miliardi di euro mensili di bond da cui la Grecia è ancora esclusa.
L’Fmi continua a spingere i greci - e gli europei - ad accettare i tagli più onerosi e immediati delle pensioni per poi discutere della riduzione del debito che viaggia al 185% del Pil, secondo una traiettoria di insostenibilità.
Inoltre c’è sullo sfondo la crisi dei migranti dove la Commissione Ue ha dato tre mesi di tempo ad Atene per costruire i punti di riconoscimento, ma le autorità delle isole greche si ribellano alla costruzione degli hotspot temendo che questi centri di accoglienza facciano fuggire i turisti e mandare in crisi la maggiore fonte di reddito dell’economia.
Anche il maggior partito di opposizione, Nea Dimokratia, guidato ora da Kyriakos Mitsotakis, che lo ha spostato al centro e su posizioni neoliberiste, non è più disposto a sostenere l’esecutivo sul varo della indigesta riforma previdenziale. Tutto questo rende il passaggio delle riforme molto difficile in aula. Mujtaba Rahman, esperto di Eurasia, ritiene che il governo Tsipras alla fine riuscirà a far passare la modifica delle pensioni e la riforma fiscale con la propria maggioranza entro fine marzo, ma non si può negare che i rischi per questo scenario siano in crescita, e un peggioramento della crisi dei rifugiati potrebbe diventare l’ago della bilancia e scatenare ancora una volta la tempesta perfetta su Atene, l’anello debole di Eurolandia.

La costituente di Varoufakis sociale e non sovranista
Berlino. Presentato alla Volksbühne il movimento «Democracy in Europe Movement 2025» (DiEM) Lo stile post-ideologico dell’economista greco: il suo appello rivolto ai radicali, democratici, verdi, alla sinistra
di Marco Bascetta, Sandro Mezzadra il manifesto 10.2.16
BERLINO L’attenzione mediatica per l’avventura di Yanis Varoufakis a Berlino non è certo mancata. Sala strapiena, giornalisti in coda, domande a raffica: così la conferenza stampa che ha aperto il meeting organizzato alla Volksbühne di Berlino per la presentazione del manifesto di DiEM 2025 («Democracy in Europe Movement 2025»). È un testo che ha l’ambizione di aggregare intorno a un programma pluriennale di democratizzazione dell’Unione Europea movimenti sociali, forze politiche, circoli intellettuali, associazioni, lavoratori della conoscenza, e artisti attivi sulla scena continentale.
Le risposte di Varoufakis sono state di estrema chiarezza ed efficacia soprattutto su un punto che figurava tra i più delicati: ovvero il rapporto tra la sua iniziativa e le posizioni che in diversi Paesi europei di fronte alla gestione neoliberale della crisi puntano a un recupero della sovranità e della moneta nazionale. Si tratta di posizioni condivise anche da diverse forze della sinistra, tradizionale e non. Per fare i nomi più noti che sostengono simili punti di vista si possono ricordare Oskar Lafontaine in Germania e Jean-Luc Mélenchon in Francia. La posizione dell’ex ministro delle finanze greco su questo punto è stata di inequivocabile rifiuto. Al centro della sua iniziativa c’è l’obiettivo di una ripoliticizzazione dello spazio e delle istituzioni europee, come antidoto alle tendenze alla frammentazione, alla chiusura e alla competizione. In poche parole come antidoto alla deriva verso una riedizione “post-moderna” degli scenari degli anni Trenta, un rischio su cui ha spesso insistito. Del discorso nazionale non possono che avvantaggiarsi le destre più o meno estreme, come del resto gli orientamenti elettorali in Europa ci stanno ripetutamente dimostrando.
La giornata di presentazione di DiEM alla Volksbühne si è articolata in lunghe conversazioni tematiche, secondo il modello di una jam session a cui hanno partecipato attivisti e intellettuali, operatori dei media, sindacalisti ed esponenti di innovative esperienze municipali, a partire da quella di Barcellona. Nessuno in rappresentanza di organizzazioni o gruppi, ma tutti provenienti da una pluralità di esperienze collettive. La discussione ha preso le mosse da una «mappatura cognitiva» della crisi europea, per poi concentrarsi su un’analisi più specifica della situazione economica e su quello che potrà essere nei prossimi mesi il ruolo di DiEM. La giornata si è conclusa con l’effettivo lancio del manifesto, in una sala affollata da centinaia di persone, con schermi allestiti all’esterno per coloro che non hanno trovato posto. Ne parleremo domani.
Durante la conferenza stampa, così come durante «talk real» (il talk show organizzato da Europan Alternatives, a cui ha partecipato lunedì sera), Varoufakis ha adottato uno stile marcatamente «post-ideologico», quasi da liberal di oltre Oceano. Non ha certo taciuto la sua militanza nella sinistra, ma si è rivolto a «tutti i democratici, liberali, verdi o radicali che siano». Poiché la questione al centro della governance europea, ha insistito Varoufakis, è un plateale svuotamento della democrazia, con la totale esclusione dei cittadini – del demos – dai processi decisionali. In quest’ottica l’esperienza dell’anno 2015 in Europa è stata illuminante, tanto per lo scontro tra il governo greco e la troika dei creditori quanto per la cosiddetta «crisi dei migranti» e i suoi riflessi sui rapporti tra i Paesi membri dell’Unione: l’acuirsi della frattura tra Est e Ovest, che si aggiunge a quella tra Nord e Sud, le crepe sempre più vistose all’interno dello spazio di Schengen. Quanto ai movimenti di profughi e migranti verso l’Europa, Varoufakis ha espresso ancora una volta posizioni molto chiare: di fronte a chi fugge dalla guerra e dalla povertà «non si possono fare calcoli costi-benefici» e l’Europa non può sottrarsi al dovere di fare i conti con la propria storia. Una storia che attraverso il colonialismo ha cambiato irreversibilmente gli equilibri mondiali.
L’ambizione che caratterizza il progetto di DiEM non è affatto modesta. Non si tratta infatti di un semplice appello alla difesa delle forme e delle procedure democratiche. Al contrario, è il contenuto sociale del processo quello che sostanzia politicamente la democrazia europea di cui qui si parla. A questo scopo la sinistra, così come la conosciamo e a maggior ragione dopo le numerose sconfitte subite in questi anni, non ha forza sufficiente. Ciò di cui c’è bisogno è una radicale innovazione politica, capace di costruire materialmente una democrazia che non esiste su scala continentale e appare radicalmente svuotata di legittimità e contenuti su scala nazionale.
Da questo punto di vista, Varoufakis ha sottolineato la rilevanza essenziale – all’interno di un processo che si qualifica come «costituente» – dell’azione autonoma dei movimenti e delle lotte sociali. Non a caso, il suo soggiorno a Berlino è cominciato domenica, con un intervento all’assemblea di Blockupy, la coalizione che ha organizzato l’assedio dell’Eurotower a Francoforte lo scorso 18 marzo.
Un movimento per la democrazia in Europa continua ad avere numerosi ostacoli sulla sua strada sebbene se ne colga appieno l’urgenza. Ed è inevitabile che questo stato embrionale del movimento si rispecchi nel carattere ancora generico e indefinito della stessa rivendicazione di democrazia su scala europea. Di questo risente naturalmente allo stato attuale anche il progetto DiEM. E tuttavia la ricchezza della discussione che si è aperta a Berlino, l’eterogeneità dei partecipanti e dei linguaggi, la tensione e perfino l’entusiasmo che l’hanno caratterizzata indicano chiaramente l’apertura di una possibilità politica realmente nuova. Saranno i prossimi mesi a dirci quanto efficace. 

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