venerdì 12 febbraio 2016

Onda su onda


Einstein vince 100 anni dopo
di Giovanni Bignami Repubblica 12.2.16
L’AFFASCINANTE paradosso dell’Universo è che è tenuto insieme, anzi dominato, dalla forza più debole che ci sia: la gravità.
È QUELLA che fa cadere i sassi, tiene legata la Luna alla Terra, fa girare le stelle nella Galassia e le galassie nell’Universo. È anche quella che ci fa soffiare quando portiamo il sacco in salita (e allora non ci sembra così debole…). Insomma, dai tempi di Newton pensavamo di conoscerla bene. Poi venne Einstein un secolo fa e cambiò tutto. Capì che il mondo in cui viviamo è un continuo spazio-temporale, dove il tempo è una dimensione come lo spazio. E la gravità influenza in modo palpabile il nostro mondo: stando in riva al mare vediamo salire la marea, cioè la prova che gli oggetti celesti si influenzano a vicenda attraverso la gravità.
Adesso abbiamo finalmente l’evidenza dello tsunami gravitazionale: quando in cielo avviene una perturbazione abbastanza forte dello spazio tempo, Einstein disse, partono delle onde, appunto di gravità, che si propagano alla velocità della luce e causano deformazioni misurabili (appena appena). Abbiamo aspettato un bel po’, ma il gruppo Usa (in realtà di 25 nazioni) di Ligo ieri ha annunciato di averle misurate. Complimenti, a loro e ad Einstein… Il punto centrale, adesso, è capire da dove provengono. Perché sono un fenomeno astronomico, prima di tutto. Secondo gli autori, gli oggetti responsabili erano due, diventati uno: due buchi neri pesanti circa 30 volte il Sole che si sono fusi in uno solo, stiracchiando in modo evidente lo spazio intorno a loro e poi via via fino a noi, alla velocità della luce.
A prima vista, ci vuole fortuna. Perché buchi neri di quella massa, nella storia della astronomia, non erano mai stati osservati. Né tantomeno un sistema binario di due buchi neri così, ancora più raro. Osservarlo poi proprio nel momento finale della sua vita, è ancora più raro. E che questo succeda appena hai acceso il tuo rivelatore nuovo di zecca… Ma la fortuna aiuta gli audaci, si sa, e quelli di Ligo sono proprio bravi e hanno lavorato bene. Hanno visto le onde gravitazionali, ma anche dimostrato l’esistenza di oggetti celesti sconosciuti.
La rivelazione apre una nuova astronomia, su un nuovo Universo, perché non è basata su onde elettromagnetiche (vedi la luce), come l’astronomia tradizionale. Proprio qui nascono le difficoltà. Le onde gravitazionali passano e non tornano più, sono come il gatto che sorride in Alice nel Paese delle Meraviglie. Per una conferma, che nella scienza non guasta mai, bisognerebbe trovare il gatto, o quel che ne resta, che pure deve essere nascosto da qualche parte. Ma il pezzo di cielo dal quale le onde sembrano provenire è enorme, e andrebbe scandagliato a fondo: un po’ come cercare un ago in un grosso pagliaio, guardandolo attraverso una cannuccia da bibite. Gli astronomi hanno una lunga esperienza di ricerche un po’ folli, e sono già al lavoro.
Eppure le onde gravitazionali avevano ereditato una enorme energia dall’abbraccio mortale dei due buchi neri: 50 volte quella di tutte le stelle dell’Universo, anche se solo per un cinquantesimo di secondo. Al loro arrivo sulla Terra, dopo un viaggio di più di un miliardo di anni, è bastata per deformare, anche se di pochissimo, i due rivelatori di Ligo, uno in Louisiana e una nello Stato di Washington. Tra l’altro, il tempo intercorso tra le due rivelazioni è giusto il tempo che ci vuole a traversare gli Usa alla velocità della luce.
Una nuova astronomia, dunque, nata anche grazie alla fortuna. Speriamo ci siano presto altre rivelazioni, che aiuterebbero molto a credere a fondo nella prima. A parte Ligo, altri rivelatori, in Italia (Virgo, in collaborazione con la Francia) come in Giappone e in Australia, saranno presto in azione, e poi l’Esa andrà a cercarle nello spazio, con la missione Lisa. Ieri abbiamo forse visto la decisione su un premio Nobel in diretta (sono stati attenti a dire che i padri della scoperta erano giusto tre…) e comunque abbiamo vissuto un momento storico per l’astronomia e per la scienza.
Presidente dell’Istituto nazionale di astrofisica fino al 2015, è membro dell’Accademia dei Lincei. Il suo ultimo libro è “ Oro dagli asteroidi e asparagi da Marte”, edito da Mondadori 

Le onde gravitazionali travolgono l’audience 
Scienza. In una doppia conferenza stampa, da Washington e da Cascina (Pisa), con modalità di comunicazione pop, l'annuncio che Einstein aveva ragione: le onde esistono. All'esperimento Ligo ha lavorato anche un osservatorio europeo, finanziato da Italia e Francia 
Andrea Capocci Manifesto 12.2.2016, 0:04 
Einstein aveva ragione: le onde gravitazionali esistono. Lo hanno confermato i risultati dell’esperimento Ligo (sta per Large Interferometer Gravitational-Waves Observatory) in cui per la prima volta sono state osservate le increspature dello spazio-tempo previste proprio cento anni fa dal fisico tedesco. La scoperta è stata annunciata ieri da Washington e da Cascina (Pisa), durante una doppia conferenza stampa seguita via internet nei laboratori di tutto il mondo. Ma già da diverse settimane voci e indiscrezioni si inseguivano sui social network, in un inedito caso di «gossip» scientifico.
L’esistenza delle onde gravitazionali è un’ulteriore conferma per la teoria della relatività generale. Secondo le sue previsioni, la massa dei corpi curva lo spazio, un po’ come l’avvallamento provocato dal peso di un oggetto su un telo teso. Nel 1916, Einstein avanzò un’ipotesi ancora più suggestiva: quando una massa accelera, essa dovrebbe provocare una perturbazione della curvatura che si propaga nello spazio, cioè un’onda gravitazionale. Le dimensioni di un oggetto investito dall’onda dovrebbero subire delle variazioni. Ma esse sono così piccole che rilevarle è stato finora impossibile. L’«interferometro» che è ora riuscito a individuare le onde ha dimensioni notevoli, proprio per amplificare la perturbazione. Ligo è costituito da due tunnel lunghi quattro chilometri e perpendicolari tra loro. Nei tunnel vengono inviati due raggi laser che, dopo molti rimbalzi, si sovrappongono in un segnale unico. Il passaggio di un’onda dovrebbe variare la lunghezza dei due bracci in modo diverso e modificare il segnale risultante. 
La fusione di due buchi neri
Gli interferometri di Ligo sono due, entrambi negli Usa (in Louisiana e nello stato di Washington) e la loro costruzione è costata oltre 600 milioni di dollari. Lo stesso segnale è stato osservato in entrambi gli strumenti americani il 14 settembre 2015, e per gli scienziati ciò è una prova del passaggio di un’onda gravitazionale.
Sulla base della sua forma, essa sarebbe stata generata dalla fusione tra due buchi neri avvenuta 1.3 miliardi di anni fa.Un terzo osservatorio dello stesso tipo di Ligo si trova a Cascina, ma non ha potuto corroborare la scoperta con ulteriori dati. Lo strumento, finanziato da Italia e Francia, tornerà operativo solo in estate dopo un aggiornamento della strumentazione. Anche i ricercatori del laboratorio europeo, però, ha raccontato nella conferenza il fisico italiano Fulvio Ricci, hanno collaborato alla scoperta delle onde gravitazionali.
Dell’esistenza delle onde gravitazionali vi erano già indizi. Una prova indiretta esiste sin dal 1974, quando gli astronomi e premi Nobel Russell Hulse e Joseph Taylor individuarono una pulsar (cioè un sistema rotante di due stelle) la cui energia diminuiva nel tempo. L’energia mancante corrispondeva esattamente a quella trasportata via dalle onde gravitazionali secondo la teoria di Einstein. Ma molti altri scienziati hanno creduto invano di osservare le onde. 
Big Science o Big Show?
Nel 2014, usando il telescopio Bicep2, un team internazionale di cosmologi annunciò di aver individuato quelle sprigionatesi dal Big Bang, ma dovettero ritrattare perché non avevano tenuto conto della polvere galattica. E già nel 2011, la presunta osservazione delle onde gravitazionali si era rivelato solo un test organizzato dal gruppo direttivo di Ligo all’insaputa del resto del team. È una pratica consueta negli esperimenti di grandi dimensioni, per verificare il funzionamento del lungo processo che porta dalle misure all’analisi dei dati e alla loro pubblicazione. Che si trattasse di uno «scherzo», però, i ricercatori scoprirono solo durante una conferenza convocata all’ultimo momento, con i comunicati stampa trionfali già pronti.
Le incertezze intorno a una scoperta così rilevante, dunque, sono numerose e hanno generato un notevole chiacchiericcio ancor prima dell’annuncio ufficiale, con indiscrezioni sfuggite ai laboratori o create ad arte. Attraverso Twitter, anche scienziati e divulgatori hanno partecipato a questo inedito episodio di pettegolezzo scientifico. Riviste rispettate come il New Scientist hanno realizzato vere e proprie inchieste giornalistiche pur di anticipare di qualche giorno i risultati. 
Comunicazione pop
È una novità rilevante per la comunicazione scientifica. Le scoperte vengono annunciate tradizionalmente attraverso articoli su riviste austere come Nature o Science dopo la revisione di altri esperti. È un iter lungo e assai poco spettacolare. Nel caso delle onde gravitazionali, e avviene sempre più spesso, questo metodo è saltato.
I canali di comunicazione scientifica si sono sdoppiati in modo quasi incomprensibile: che senso ha bruciare sul tempo di pochi giorni con indiscrezioni poco accurate un annuncio che sarebbe avvenuto comunque con dovizia di particolari? A differenza delle news quotidiane, l’impatto delle scoperte scientifiche si misura sulla scala dei decenni. Ma la «Big Science», un tempo respingente per il grande pubblico, attraverso i social network ha saputo trasformarsi in «Big Show». 
Sono state così conquistare nuove fette di audience, politicamente preziose per difendersi dai tagli ai finanziamenti pubblici. Le grandi organizzazioni di ricerca, come la Nasa e il Cern, ne sono consapevoli e alimentano lo spettacolo con una comunicazione «pop» che fa storcere il naso a qualcuno, ma funziona. Contro l’austerity, cavalcare l’onda è una questione di sopravvivenza.

Materia oscura e gravità quantistica le prossime sfide
di Giovanni Amelino-Camelia Repubblica 12.2.16
Dopo il bosone, ecco le onde gravitazionali: due scoperte che ci aiutano a capire le nostre leggi della natura. Questi ultimi anni sono stati molto fortunati per la fisica: se la particella di Higgs era uno dei tasselli mancanti del formidabile “modello standard” (che descrive le interazioni non gravitazionali tra particelle), queste onde erano, fino a ieri, il tassello mancante nella nostra descrizione dei fenomeni gravitazionali, che con Einstein abbiamo imparato a basare sulla relatività generale. Le aspettavamo da un secolo esatto: la loro esistenza era stata infatti una delle prime predizioni ottenute lavorando con la relatività generale. Einstein aveva completato la formulazione matematica della sua celebre teoria alla fine del 1915 e tra le ipotesi che ricavò pochi mesi dopo c’era già quella delle onde gravitazionali.
Per illustrare intuitivamente quanto è centrale il ruolo che hanno nella struttura logica della relatività generale uso un’analogia già proposta su queste pagine. Fino a quel 1915 lo spazio e il tempo erano visti come un’entità statica: con la relatività generale si capisce, invece, che lo spaziotempo ha una sua dinamica ed in particolare che la materia curva lo spaziotempo. Questo aspetto dei fenomeni gravitazionali è analogo al caso in cui si tiene ben teso un telo piuttosto grande e si gioca a piazzare delle sferette sul telo. Se si posizionano due sferette sul telo, una magari molto leggera, l’altra più pesante, si nota con facilità che quella più pesante curva il telo (in realtà anche quella meno pensante curva un pò il telo ma in maniera non apprezzabile). La sferetta meno pesante “cade” su quella più pesante proprio a causa di come quella pesante ha deformato il telo. Le onde gravitazionali hanno un ruolo centrale nel confermare la struttura matematica della relatività generale : se davvero lo spaziotempo è come un telo deformabile, allora, in determinate condizioni, si dovranno produrre delle onde di spaziotempo, proprio come giocando con un telo non è difficile produrre delle onde che lo attraversano. La sfida di verificare questa fondamentale predizione è stata la sfida più grande che la scienza abbia affrontato con successo, anche se ci ha impiegato un secolo. Ed è stata così ardua perché la “tensione del telo spaziotemporale” è elevatissima, molto più grande di quanto la nostra immaginazione possa contemplare. La matematica della relatività generale predice queste onde ma predice pure che la loro intensità sia bassissima, anche quando la materia che le produce è molto pesante ed in brusca evoluzione, come nel caso della furiosa danza finale che si verifica quando due buchi neri collassano l’uno sull’altro. Ce l’abbiamo fatta grazie alle migliori tecnologie finora disponibili, grazie a un apparato di misura che essenzialmente si sviluppa su due tubi, ciascuno lungo 4 chilometri, e grazie alla dedizione di un migliaio di fisici di tanti paesi, con un ruolo molto importante per quelli italiani.
La particella di Higgs e le onde gravitazionali sono due importantissime “scoperte attese”: non ci hanno sorpreso ma averle finalmente raggiunte ci rassicura che le teorie che stiamo utilizzando siano davvero un punto di partenza affidabile per le sfide future della fisica. Per rendere straordinario questo periodo ci vorrebbe adesso una “scoperta inattesa”, un nuovo fatto sperimentale che allo stesso tempo ci sorprenda e ci indichi la strada da seguire per andare oltre i modelli teorici che stiamo utilizzando. Qualcosa che ci avvicini alla risposta delle grandi questioni irrisolte, come la materia oscura e la gravità quantistica.
L’autore è un fisico. Insegna all’Università La Sapienza di Roma

Ora nasce la Nuova Astronomia “Sveleremo i misteri dei buchi neri”
di Barbara Gallavotti La Stampa 12.2.16
Parlano due protagonisti: Angelo Scribano, «padre» dello European Gravitational Observatory che gestisce «Virgo», e Stefano Vitale dell’Università di Trento, coordinatore scientifico della missione «Lisa Pathfinder», che serve da apripista per il sofisticatissimo «eLisa», previsto in orbita intorno alla Terra dal 2034.
Che cosa sono le onde gravitazionali?
Scribano: «Sono deformazioni dello spazio-tempo che si producono come conseguenza del movimento accelerato di corpi dotati di massa. In genere si tratta di segnali debolissimi: solo se i corpi che li generano sono molto grandi possiamo rilevarli con i nostri strumenti. A seconda delle masse dei corpi e del tipo di movimento, le onde che ne derivano hanno caratteristiche diverse. Poiché, secondo Einstein, energia e massa si equivalgono, anche le grandi variazioni di energia possono generare onde gravitazionali e un giorno forse potremo addirittura misurare quelle prodotte nei primi istanti dopo il Big Bang».
La scoperta apre una nuova epoca?
Vitale: «Oggi, dopo un secolo d’attesa, si celebra finalmente il primo giorno di vita dell’astronomia gravitazionale: proprio attraverso lo studio approfondito delle onde gravitazionali d’ora in poi potremo indagare l’Universo come mai avremmo potuto prima. È come se, dopo aver esplorato una foresta con gli occhi, da oggi potessimo per la prima volta “mettere in funzione” le orecchie. Con “Virgo” e “Ligo” prima, e con “eLisa” poi, potremo ascoltare questo “sonoro” in sempre maggiore dettaglio e percepire il cosmo in modo completamente diverso».
Come cambia la nostra visione dell’Universo?
Scribano: «È una conferma importante, perché finora avevamo solo prove indirette della loro esistenza. Ora che sono state osservate non solo è stato verificato un aspetto cruciale della Relatività, ma possiamo avere più fiducia nell’esattezza dei calcoli che indicano in quali occasioni si producono le onde gravitazionali».
Quale sarà ora il prossimo passo?
Scribano: «Sia “Virgo” sia “Lisa” escono ora da lavori di miglioramento e quindi fin da subito conosceremo nuovi particolari dell’Universo. Credo che presto avremo informazioni interessanti sul comportamento di stelle binarie in procinto di collassare l’una sull’altra: un fenomeno che può produrre onde gravitazionali rilevabili per settimane».
Vitale: «Credo che non ci sia limite alle sorprese che può riservarci l’Universo. ora che possiamo esplorarlo con “un nuovo organo di senso”. Possiamo ipotizzare che ci siamo molti “corpi oscuri”, di cui ignoriamo l’esistenza, perché non emettono luce né radiazione. Ma d’ora in poi saranno individuabili perché producono onde gravitazionali».
Cambierà anche l’idea di gravità?
Vitale: «Potremo anche studiare situazioni in cui la gravità è estremamente forte e domina sulle altre forze, come avviene in prossimità dei giganteschi buchi neri al centro delle galassie. Queste condizioni ci sono particolarmente estranee, perché, contrariamente a quanto potremmo pensare, “nel nostro mondo” la forza di gravità è debolissima, molto più debole della forza elettromagnetica».
Le onde «illumineranno» i buchi neri?
Scribano: «Sicuramente sì. I buchi neri sono il perfetto esempio di oggetto che può essere studiato approfonditamente solo attraverso le onde gravitazionali che genera. E già questa scoperta riguarda proprio due buchi neri».
Vitale: «Quando “eLisa” sarà operativa, nel 2034, potremo capire se esiste il cosiddetto “orizzonte degli eventi”, la zona di confine oltre alla quale non ci sono più né lo spazio né il tempo, perché tutto è risucchiato dal buco nero. Lo capiremo perché potremo osservare come un piccolo buco nero viene inghiottito da un buco nero galattico e misurare il momento un cui persino le onde gravitazionali smettono di essere emesse».
Decifreremo misteri come materia ed energia?
Vitale: «Conosciamo appena il 5% di ciò che esiste nell’Universo ed è ciò che chiamiamo materia. Il restante 95% è rappresentato da materia oscura ed energia oscura. Almeno una parte di queste componenti misteriose potrebbe essere costituita da un qualcosa che, essendo dotato di massa, produce onde gravitazionali: in questo caso “eLisa” potrà individuarlo».

La gravità non fa quasi rumore
di Massimo Cerdonio La Stampa 12.2.16
La gravitazione universale di Newton proponeva un’azione istantanea a distanza, che ha ben giustificato il moto dei pianeti così come il nostro peso sulla Terra. Ma il fatto che nulla potesse propagarsi più velocemente della luce ha reso necessaria una teoria che la superasse e il genio di Einsten l’ha proposta - superando la teoria di Newton, ma contenendola come prima approssimazione - e ci dice che l’azione gravitazionale si propaga a velocità della luce: onde gravitazionali devono propagarla fra masse in moto relativo accelerato (un po’ come le onde elettromagnetiche - la luce - propagano interazioni tra cariche elettriche).
La Relatività Generale è la teoria della gravitazione ed è entrata nella nostra quotidianità: il Gps non funzionerebbe se non fosse costruito secondo i suoi dettami. Su scala del cosmo la gravità è il vero motore: dall’espansione dell’Universo alla formazione delle galassie e all’evoluzione delle stelle, che porta alla formazione di pianeti come il nostro, e quindi al nostro essere qui, la gravità ha il ruolo determinate. Noi, finora, siamo stati sordi ai messaggi che i moti di massa nel cosmo ci inviano e non abbiamo potuto studiare i rivolgimenti in atto, altro che osservando gli effetti, per così dire secondari, trasmessi da onde elettromagnetiche, raggi gamma e raggi X, luce visibile, microonde, onde radio. Ma che esistano è cosa acquisita. Negli Anni 80 Hulse e Taylor - Nobel per questo - studiarono come «spiralizzavano» l’una sull’altra una coppia di stelle di neutroni (di cui una è una pulsar), raggiungendo la conclusione che perdevano energia a causa di un meccanismo che non poteva essere altro che l’emissione di onde gravitazionali.
Costruire strumenti che forniscano una rivelazione «diretta», nel senso che si possano studiare tante diverse sorgenti, cioè far nascere una nuova astronomia delle onde gravitazionali, è stato uno sforzo di creatività in fisica e tecnologia durato mezzo secolo. Restiamo alla sforzo più recente - sviluppatosi dagli Anni 90 - in quanto ha portato alla «prima rivelazione». L’idea è semplice, ma realizzarla è stato uno sforzo da giganti. L’onda gravitazionale è generata da movimenti di masse e quindi è intuitivo che, per converso, mette in movimento le masse che questa raggiunge. I moti indotti possono essere «letti» scambiando tra le masse di prova fasci di luce laser e portandoli ad interferire opportunamente, per poi rivelare il moto relativo. L’ampiezza dell’onda gravitazionale incidente è direttamente legata allo spostamento relativo percentuale tra le masse di prova.
Il problema è che perfino i movimenti di massa più violenti, come lo scontro di buchi neri e di stelle di neutroni e lo scoppio di supernovae, inducono su masse di laboratorio dei movimenti di ampiezza sub-atomica. In soldoni, per avere qualche possibiltà di rivelazione a Terra, bisogna misurare spostamenti relativi - vicini al limite quantico del principio di Heisenberg - tra specchi di qualche decina di kg, messi a distanza di qualche km.
Questa tecnologia è stata finora messa in atto in due fasi negli Usa e in Italia, con «Ligo» e «Virgo», realizzato dall’Infn con il Cnrs francese. Ma nel 2020, con una serie di nuove strutture, in Giappone e in India, avremo un osservatorio completo: un ulteriore passo per indagare le onde gravitazionali.
Il ”cervello in fuga” Marco Drago ha creato l’algoritmo per misurare il fenomeno di Emanuele Perugini La Stampa 12.2.16
È un giovane italiano il ricercatore che per primo ha osservato le onde gravitazionali. Si chiama Marco Drago, ha 33 anni. Laurea a Padova, ora lavora al centro di calcolo «Atlas» del Max Planck Institute a Hannover: qui analizza alcuni dei dati in arrivo dalle due grandi antenne di «Ligo». È questo «cervello in fuga» che ha ricevuto, lo scorso 14 settembre, la mail d’«allerta» con i dati della scoperta destinata a diventare storica. «Era poco prima di pranzo, quando ho aperto la mail che il nostro sistema invia in automatico e ho visto subito che c’era qualcosa di particolarmente interessante», racconta. Era il segnale tanto atteso e adesso Drago è tra le centinaia di ricercatori che hanno firmato il fondamentale studio pubblicato ieri su «Physical Review Letters».
Quanto è emozionato? Si rende conto che con questa scoperta rischia di vincere il prossimo Nobel per la Fisica?
«Certo. Ma presumo che il Nobel andrà ai pionieri che hanno ideato gli interferometri e iniziato il progetto di costruzione».
Come si è sentito quando ha visto i dati che potevano rivelarsi decisivi?
«Non so dire se, in quel momento, fosse più forte l’entusiasmo per la scoperta o lo scetticismo. Appena ho aperto la mail ho chiamato il mio collega Gabriele Vedovato dell’Infn di Padova. Non sapevamo bene se essere felici o se essere scettici. L’unica certezza era che stavolta eravamo di fronte a qualcosa di particolare».
La caccia alle onde gravitazionali coinvolge migliaia di ricercatori nel mondo. È stato un caso se la mail è arrivata proprio a lei?
«No. E ci tengo a precisarlo. Sono stato io, con i miei colleghi di Padova, Trento e Florida, ad aver messo a punto l’algoritmo che valuta i dati raccolti dall’interferometro e decide di inviare la mail di “alert”. In altre parole siamo stati noi a creare il sistema di allarme automatico attraverso il quale l’esperimento comunica i dati che vengono registrati dagli strumenti in tempo reale».
Come funziona il sistema?
«È molto complesso e raccoglie le misurazioni effettuate dagli strumenti. Parliamo di variazioni davvero piccole, dell’ordine del milionesimo di millimetro. È per questo che dobbiamo essere estremamente precisi. Abbiamo disegnato un algoritmo in grado di rilevare segnali consistenti con possibili onde gravitazionali nel ciclo di queste misurazioni. In questo caso l’algoritmo attiva un sistema che invia in automatico una mail a un gruppo di persone: sono loro ad avere il compito di interpretare l’anomalia riscontrata dal sistema».
Allora perchè lei e il suo collega eravate scettici?
«Temevamo di essere davanti a un semplice test: sono quelli eseguiti abitualmente per verificare lo stato di efficienza degli strumenti. Ma per fortuna non era così».
E qual è stato il ruolo dell’altro esperimento, quello che si trova vicino a Pisa, vale a dire «Virgo»?
«Per essere super-precisi avremmo dovuto poter contare anche su “Virgo”, l’osservatorio pisano. Questo, però, è in fase di potenziamento e non è ancora attivo».
Ha confidato a qualcuno il segreto di questa scoperta prima dell’annuncio ufficiale?
«Non mi è stato possibile riferire nulla, perché prima della conferenza stampa ufficiale siamo stati costretti a non dire niente a nessuno. Per i miei genitori ho fatto però una piccola eccezione e, ovviamente, sono molto orgogliosi. Non so se, davvero, se ne rendano ancora conto del tutto».
Adesso che è diventato uno dei «cervelli in fuga» più famosi del mondo ritornerebbe in Italia?
«Io vorrei tornare in Italia. Sono partito all’estero un po’ per fare esperienza e un po’ perché in Italia non mi è stata data la possibilità di rimanere all’interno del campo delle onde gravitazionali. Ma mi piacerebbe ritornare nel mio Paese».

Il lampo potente come 62 Soli che dà ragione a Einstein
Confermata la scoperta delle onde gravitazionali: l’Universo non sarà mai più lo stesso di Gabriele Beccaria La Stampa 12.2.16
«Finora eravamo abituati a osservare la struttura dello spazio-tempo come un oceano calmo. Adesso, invece, l’abbiamo visto in piena tempesta Per la prima volta».
Ieri, a Washington, Kip Thorne, il fisico diventato celebre come consulente del kolossal «Interstellar», era emozionato. E parlava a scatti. Spiegava che i «gossip» delle ultime settimane erano flash di verità: le onde gravitazionali esistono. E finalmente c’è la prova che il cosmo è percorso da elusive increspature generate dalla massa di corpi in accelerazione.
Il segnale è arrivato il 14 settembre scorso da una catastrofe cosmica, provocata dallo scontro di due oggetti che sono icone dei misteri racchiusi dall’Universo: due buchi neri, a un miliardo di anni luce da noi. Thorne ha provato a dare un’idea dell’evento - impossibile da immaginare per noi umani - con un’animazione 3D: vorticando su se stessi, i «black hole» si sono fusi in un’unica entità. E mentre divoravano materia, rallentavano il tempo, finché è scattata l’emissione decisiva, intercettata da una sofisticata macchina sulla Terra.
Lo strumento, noto come «Ligo», è un interferometro, una struttura composta da due bracci perpendicolari di 4 km ciascuno, in cui una serie di fasci laser va su e giù, finché - quando scatta il momento x, vale a dire arriva un’onda gravitazionale - si produce una variazione nella lunghezza dei bracci stessi. Piccolissima. Anche questa impensabile. Cento milioni di volte più piccola di un atomo. Eppure sufficiente a ottenere la prova che il fenomeno previsto da Einstein un secolo fa esiste davvero.
Mentre a Washington si spiegava e si applaudiva, un’altra conferenza stampa si svolgeva vicino a Pisa, a Cascina, dove è in funzione una struttura sorella di «Ligo», chiamata «Virgo», collaborazione italo-francese gestita dall’Infn, l’Istituto nazionale di fisica nucleare, e dal Cnrs francese. «L’onda è nata da un oggetto pari alla massa di 62 Soli», ha spiegato il portavoce del test Fulvio Ricci. Che, esaltando il lavoro in team di mille fisici e ingegneri in quattro continenti, ha contribuito all’euforia generale.
Da ieri è nata una Nuova Astronomia, non diversamente da come la scoperta del Bosone di Higgs, nel 2012, ha inaugurato una Nuova Fisica. E anche stavolta c’è molta Italia in questi studi estremi. A cominciare dal gruppo di Trento e Padova che ha elaborato l’algoritmo per leggere il segnale - il «pipeline» - e dal fisico, Marco Drago, che tre minuti dopo la mail decisiva inviata dai rilevatori ha identificato l’onda che ha fatto la storia. «Un’onda durata 20 millisecondi», ha sottolineato Thorne. Che ha concluso: «Ne cercheremo altre. Anche della durata di minuti, anni, miliardi di anni». E l’Universo non sarà più lo stesso.

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