mercoledì 17 febbraio 2016

Piero Buscaroli


Notevole musicologo e storico della musica, come polemista e nelle questioni politiche non si distaccò dalla macchietta rancorosa del nostalgico all'italiana, narcisista e dilettante [SGA].


Beethoven diventò sordo e la sua musica esplose
Pubblichiamo un brano dello storico della musica Piero Buscaroli morto lunedì scorso. È tratto dal suo libro più rivoluzionario


Intellettuale eretico, "fascista deluso", visse sempre dalla parte dei vinti. Litigando con tuttiCamillo Langone Giorrnale - Mar, 16/02/2016 -


Il grande musicologo confessa (senza amarezza) le proprie disillusioni e mena fendenti a destra e a sinistra. Da Benedetto Croce a Willy Brandt
Bruno Giurato Giornale - Dom, 03/02/2013

Fu al Borghese con Leo Longanesi, al Giornale con Indro Montanelli e Vittorio Feltri. Ma la la piccineria del mondo intellettuale non gli ha mai perdonato le posizioni di estrema destra
Alessandro Gnocchi Giornale - Gio, 18/02/2016

La guerra diPiero contro «l’Italia guelfa» 
Èmorto Buscaroli: fascista, inviato del «Borghese», biografo immenso di Beethoven Musicologo e detrattore di An, combattè la battaglia culturale contro il Belpaese «perduto» 

17 feb 2016  Libero RICCARDOPARADISI
«Non cercate più dove sia finita l’Italia. Quella che avete rimpianto e ancora sperato e aspettato, èmorta. Nonritornerà. La parola Fine non c’è perchéilComa semprepiùprofondo durerà decenni anzi secoli». Unanazione in coma ( Minerva edizioni, 2013)– chesichiude con questa lapide – è stato l’ultimo libro di Piero Buscaroli. 
Uno che non aveva mai smesso di disprezzare questo paese, le sue classi dirigenti, la sua gente: «Gli italiani buoni non sonomai esistiti. Omeglio, gli italianibuoninon parlano. E sono pochissimi». Buscaroli, che è morto l’altro ieri a Bologna a85 anni, è stato diverse cose: uno storico dellamusica – le sue biografie diMozart (Rizzoli, 2006) e Beethoven (Rizzoli, 2004) sono dei capolavori; un giornalista - è stato inviato del BorghesediLeoLonganesi, collaboratoredelGiornalediMontanelli e direttore del Roma di Achille Lauro - uno scrittore di potenza espressiva inaudita. Ma soprattutto Buscaroli è stato per sua definizione “un superstite della Repubblica sociale in territorio nemico”. 
È solo un adolescente quando i partigiani, in quell’Emilia dove ènatoe cresciuto, tentano ripetutamente di ammazzarlo a bastonate mentre hanno già annientatolasuafamiglia: quattro ziimorti e ilpadreCorso, insigne latinista, incriminato per un reato inesistente: «Da reggente del fascio di Imola non ebbe alcun ruolo nelle rappresaglie». Verràperò tenuto ingalera dalgiugno del 1945 al 1948. La detenzione gli sarà fatale: tre mesi dopo l’uscita dal carcere muore. Piero giura a se stesso che nessuna pacificazione sarà mai possibile. E dire che non eraunfascistanemmenonell’estate del ‘43, quando ha ancora solo 13 anni: «Odiavo il sabato fascista» dichiarerà a Stefano Lorenzetto in un’intervista «quelle gite assurde nel contado polveroso intorno a Imola, irreggimentati nelle nostre ridicole divise, la camicia nera col fazzolettoazzurro, lamedaglietta di Mussolini, tutte cose che mi facevanoschifo». Tuttaviaall’indomani dell’armistizio dell’8 settembre Piero resta l’unico balillamoschettiere, viene promosso avanguardista perché non c’è più nessuno. «Bisognerà chiarire che trattandosid’italiani non ci si possono aspettare esiti veloci in materie come l’onore nazionale e la morale» scriverà in quell’altro monumentale libro di memorie e di vendette che èDalla parte dei vinti ( Mondadori, 2010). 
Buscaroli, con questa Italia non vuole avere a che fare: la combatterà fino alla fine. Con zelo furioso. Come in un interminabile processo di Verona. Ma a differenza del neofascismo incolto tutto sentimenti e risentimenti lo farà armi della cultura alla mano. Non si rifugia nel revanscismo, nella retoricanostalgica, cercaivarchidove la guerra culturale possa essere ripresa e portata innanzi. Per l’editore Fògola cura la collanaLa Torre d’Avorio dove fa pubblicare libri come La guerra civile di Montherlant, che Adelphi scoprirà solo quarant’anni dopo. Ma per il presente Buscaroli non nutre speranza: perquestopaese avverteunaripugnanza quasi fisica: «È l’Italia che cessa di partecipare alla grande storia…l’Italia guelfa, clericale e comunista da sempre, che castiga le sueminoranze ghibelline, i suoi sognatori…persuasi, per antica esperienza, che l’Italia savia ecoipiedi per terra è l’Italia peggiore». Ma Buscaroli non risparmia nemmenoimostri sacridell’anticomunismo postbellico. A cominciare da IndroMontanelli che al Giornale gli impone lo pseudonimo ( Piero Santerno) per i pezzi politici. «La sola lezione che ho imparato da te» scriveBuscarolialvecchioCilindro «è che i ‘moderati’ sono più pericolosi degli estremisti». AnchesuGiorgioAlmirante facalare la ghigliottina di un giudizio inappellabile: «Il massimo infortunio che potesse toccare al popolo disperso dei fascisti dopoMussolini». 
E se ne aveva per «gli ambigui» Montanelli e Almirante – che un carattere l’avevano – figurarsi per figure minori come Gianfranco Fini. Sullo Stato, il settimanale diretto da MarcelloVeneziani –ameno diunlustro dalla svolta di Fiuggi - Buscaroli si rivolge così all’ex leaderdiAn: «ViadellaScrofa èl’indirizzo più adatto per te (...) Ti maledico a nome dei morti e deivivi (...) Tiaspetto seduto sullariva, tiaspettoadognipassaggio, di vergogna in vergogna, di sconfitta in sconfitta. In fondo alla tua casa c’è tutta la merda chemeriti». Equi il carismadellamaledizione si confonde con quello della profezia. 
Non era una persona facile Buscaroli: incline al litigio, non perdonava una disinvoltura, figurarsi uno sgarro o un tradimento. E querelava parecchio e volentieri. Ma la sua specialità era la sciabola. Restano indelebiliperla lorochirurgica violenza, i ritratti di Giorgio Bocca e Enzo Siciliano: delprimoenfatizzava ilrossoredel voltodovutoalbere, delsecondo – con cui ebbeunapolemica suunaquestione di plagi – un’espressione da mercante di suk sorpreso a rubare. 
Scriveva come seguendo uno spartito: divinamente. «A scrivere mi ha insegnato Leo Longanesi » dirà sempre con orgoglio. Uno dei pochi assieme a Giuseppe Prezzolini a cui riconosceva un magistero. Voleva essere ricordato come un buon padre di famiglia. Ma ancora meglio avrebbe voluto non essere ricordato affatto. Forse perché come italiano non sopportava nemmeno se stesso.


Piero Buscaroli, musicologo «dalla parte dei vinti» 

17 feb 2016  Corriere della Sera Di Pierluigi Panza
Era talmente controcorrente, volutamente dalla «parte sbagliata» della storia, fascista intransigente e ostile a ogni compromesso, che pochi hanno avuto e hanno il coraggio di scrivere sullo storico della musica, giornalista e scrittore Piero Buscaroli. Ora che è morto, a 85 anni, a Bologna (era nato a Imola il 21 agosto 1930), possiamo dire che ben si adatta a lui il passo di Brecht: «Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati». 
Sprezzante del potere e del conformismo, l’aspro Buscarli diede il meglio di sé come biografo di musicisti. Dopo aver studiato organo con Ireneo Fuser ed essersi laureato in Storia del diritto, insegnò nei conservatori di Torino, Venezia e Bologna e collaborò come giornalista al «Borghese» di Leo Longanesi. Negli anni Settanta fu direttore del quotidiano «Roma» di Napoli e, dal 1979, critico musicale del «Giornale», sia con Montanelli che con Feltri. 
I suoi libri più conosciuti sono quelli dedicati a Bach (Mondadori, 1985), il monumentale (1.400 pagine) Beethoven (Rizzoli, 2004) e La morte di Mozart (Rizzoli, 2006). Questi testi risultarono controversi per alcuni critici, il Bach anche per il musicologo Massimo Mila, in tutto l’opposto di Buscaroli. La morte di Mozart mi è sempre parso interessante. In dissonanza con molti biografi, Buscaroli spogliò Mozart dalle leggende nate intorno alla sua fine iscrivendola in un decesso per febbri che in quei mesi colpivano Vienna, ma ne accrebbe il mito sostenendo che il Requiem rimase incompiuto per volontà dello stesso musicista. 
I libri di taglio storico furono, nell’impronta della Cripta dei cappuccini di Joseph Roth, un’amara constatazione del tramonto della vecchia Europa. Paesaggio con rovine (Camunia) fu un lamento per l’Europa cancellata pubblicato nel 1989 a settant’anni dalla Conferenza di Versailles, peccato originale della decadenza. Questo approccio si fece rancoroso in Dalla parte dei vinti. Memorie e verità del mio Novecento (Mondadori, 2010), un concentrato di disprezzo verso personaggi italiani e proseguì con Una nazione in coma (Minerva edizioni, 2013), zibaldone di 500 pagine sulla perdita di carattere dei connazionali.

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