martedì 2 febbraio 2016

Un altro prete che vuole un capitalismo etico e limitato

Gael Giraud: Transizione ecologica. La finanza a servizio della nuova frontiera dell'economia , Emi

Risvolto
Questo libro è un saggio di economia, ma si legge come un thriller. Come in un giallo l’autore indaga partendo dagli indizi (subprime, cartolarizzazioni, Collateralized Debt Obligations, …), identifica le prove (le scommesse fraudolente delle banche sulla pelle dei correntisti), cerca il colpevole (la crisi è morale), rintraccia il movente («la legge del più forte»).

Ma Gaël Giraud, che prima di esser gesuita è stato banchiere e conosce di persona il mondo degli hedge fund e delle Banche centrali, si spinge oltre. E traccia la strada per cercare un futuro di vita alla nostra società, rattrappita dentro lo schema del «paradigma tecnocratico» (papa Francesco) che mira a
ottenere di più (risorse, prodotti, benessere) con meno (sforzi, investimenti, partecipazione).
Transizione ecologica significa una società di beni comuni in cui il credito sia considerato mezzo e non fine per realizzare riforme a vantaggio di tutti e benefiche per l’ambiente: rinnovamento termico degli edifici, cambi di prassi nella mobilità, tasse più alte per chi inquina, in pratica «un’economia sempre meno energivora e inquinante». «La transizione ecologica sta ai prossimi decenni come l’invenzione della stampa sta al XV secolo o la rivoluzione industriale al secolo XIX - spiega Giraud -. O si riesce a innescare questa transizione e se ne parlerà nei libri di storia; o non si riesce, e forse se ne parlerà fra due generazioni, ma in termini ben diversi!».
Vademecum per un’inversione di tendenza
Saggi. «Transizione ecologica» del teologo Gael Giraud per Emi. La crisi dell’industrialismo pone all’ordine del giorno cambiamenti negli stili di vita e una limitazione del capitale finanziario 
Marco Bertorello Manifesto 2.2.2016, 0:15 
Bisogna riconoscere che il pensiero economico critico trova crescente espressione nel mondo cattolico, piuttosto che in quello laico o di sinistra. Si respira una certa aria di libertà e di anticonformismo in parte di questo mondo, di cui forse l’ultima enciclica papale costituisce la risultante oltre che lo stimolo. In questo ambito si tenta di innovare e rompere con schemi dominanti, magari senza centrare sempre l’obiettivo, ma dando, per altro, la misura delle difficoltà ad arginare in profondità l’attuale capitalismo totale. In questo filone di critica all’economia si può apprezzare il lavoro del francese Gael Giraud, Transizione ecologica (Emi, pp. 288, euro 16, prefazione di Mauro Magatti), un ex operatore finanziario diventato gesuita. 
L’autore propone una «lettura necessariamente schierata» per «liberarsi dal vitello d’oro» costituito da quel mercato divenuto nuova «divinità anonima» e sottrarsi alla «violenza finanziaria», inventandosi inediti modi di fare società tesi a creare «nuovi legami sociali». Ne deriva una polemica verso meccanismi e istituti economici quali la Bce e l’euro. Ciò che viene messo in evidenza è la connessione tra problemi economici e ambientali, proponendo un grande piano finanziario straordinario per la sopravvivenza del pianeta stesso. L’ecosistema si salva cambiando di segno persino alla finanza. Giraud propone che la Bce stampi moneta per affrontare i dilemmi ecologici piuttosto che per soddisfare i brutali istinti del sistema finanziario. Propone di togliere alle banche il potere di governare la quantità di moneta in circolo per ridarlo a un’autorità con un preciso mandato democratico. All’utopia della società dei proprietari sostituisce quella della transizione ecologica. Una transizione costosa, in quanto si tratta di reindustrializzare le nostre economie, regionalizzare il commercio globale, porre fine all’eccessiva specializzazione agricola. Ridurre i consumi di energia e al contempo aumentare le spese per la salvezza del pianeta. 
Infine Giraud prova a ipotizzare una pars costruens fatta di commons che si incuneano tra privato e pubblico, mettendo in evidenza i disastri del primo e i limiti del secondo. Qui il discorso si complica, i beni hanno natura diversa e necessitano di status differenti in base al ruolo esclusivo o rivale come per molti beni privati oppure non rivale e non esclusivo come per quelli pubblici. Esistono poi beni ibridi, il cui confine tra pubblico e privato si confonde. La moneta stessa dovrebbe passare da privata a comune, non rispondendo più alla pura funzione di asset in cui la incasellano le banche, ma diventando istituto atto alla circolazione ancorata alla realtà, seppur dilazionata nel tempo. 
Il rischio, sottolinea l’autore, è quello di creare un meccanismo insostenibile, dove la produzione di ricchezza e di debito pubblico possono non corrispondere alla quantità di moneta circolante, creando le basi per un crack. Viene, dunque, indicata una strada, ma non risolti tutti i problemi. Inoltre l’approccio sul comune risulta credibile come prospettiva per sottrarsi ai dilemmi emersi nel pubblico, ma va messo a fuoco rispetto ai problemi che solleva. Quale mercato dovrebbe esistere? E quale sfera pubblica dovrebbe restare? Come potrebbe intersecarsi e/o favorire il comune? Infine comune significa maggiore territorialità e autogoverno, ma non può essere rimosso il dato che economia ed ecologia necessitano di una dose di centralità e programmazione per coniugare efficacemente locale e globale, prosperità e ambiente. Tutti problemi aperti. Meno male che c’è chi li solleva.

Se l’euro si sdoppia salverà l’Unione dai populisti L’economista gesuita Gaël Giraud: “Moneta unica per gli scambi internazionali, valute nazionali per i commerci interni” Giuseppe Salvaggiulo  Busiarda 23 11 2016
Gaël Giraud è una di quelle persone che sfuggono alle etichette. Estetiche, innanzitutto. Intellettuale eretico rispetto al mainstream, si presenta come un banchiere: impeccabile abito blu, espressione funzionariale, frasi asciutte. Quanto di più lontano si possa immaginare da un rivoluzionario, mentre delinea uno scenario di «autentico sconvolgimento della società». Economista? Ambientalista? Scienziato? Filosofo? Di tutto un po’. Tra piramidi di Ponzi e citazioni evangeliche.
Dopo la laurea in matematica, le consulenze per grandi banche e gli incarichi da ricercatore e docente di teoria dei giochi, economia e finanza, di ritorno da un viaggio in Ciad entra nella Compagnia di Gesù. Ordinato prete nel 2013, da un anno è capo economista dell’Agenzia francese per lo sviluppo, 8,5 miliardi l’anno per progetti internazionali. Unico gesuita dipendente del governo francese, ha contribuito all’elaborazione di brani dell’enciclica papale Laudato si’, «un progetto di civilizzazione che ha riportato la Chiesa all’avanguardia dopo mezzo secolo». Nei giorni scorsi ha presentato in Italia il suo libro-manifesto, Transizione ecologica (Emi).
Cos’è la transizione ecologica?
«È un progetto in cui gli strumenti tipici della finanza si mettono al servizio della riduzione della dipendenza dalle fonti energetiche fossili. Sta al nostro tempo come l’invenzione della stampa al XV secolo».
Come si può sviluppare?
«In tre tappe. La prima è l’adeguamento termico del patrimonio edilizio, voragine energetica delle nostre economie. La seconda è lo sviluppo della mobilità meno energivora, complessa perché comporta un riordino territoriale. La terza è la riconversione verde dei processi industriali e agricoli. Quest’ultima è la più difficile, ma non la più urgente».
Quanto costa e chi paga?
«Le stime di costo per l’intera Unione europea si aggirano sui 3mila miliardi di euro spalmati su un decennio, meno dei 4mila messi dagli Stati a disposizione delle banche dal 2008. Senza calcolare i vantaggi: la riqualificazione della manodopera, i benifici fiscali e gli effetti antideflazionistici in economie stagnanti».
Pensa a strumenti finanziari?
«Con bond della Banca centrale europea a tasso controllato e adeguatamente garantiti. Una scommessa meno azzardata di quella fatta per salvare il sistema bancario».
A che punto è il progetto?
«In Francia ci lavoriamo dal 2012 con 50 esperti, coinvolgendo 170 mila persone in mille dibattiti e raccogliendo 1200 contributi individuali sul web. Abbiamo valutato una dozzina di scenari. Saremmo pronti».
Perché usa il condizionale?
«Perché in Europa le élite non credono più nella capacità dello Stato di salvare il continente e, accessoriamente, il pianeta. Il principale ostacolo, dunque, è politico e non economico».
L’Unione europea potrebbe adottare il progetto?
«L’avrebbe già fatto, se non fosse fondata su dogmi incomprensibili: la concorrenza perfetta, che considera distorsivo ogni investimento necessario al nostro progetto, e l’area monetaria ottimale. Così rischia di fare la fine dell’Urss».
Perché l’euro è un dogma?
«L’euro è un progetto autoritario, la cui sostenibilità è fondata essa stessa su un dogma. Prova ne sia che nei cassetti delle banche centrali esistono piani B».
Per esempio un euro forte per i Paesi del Nord e uno debole per quelli mediterranei?
«Falsa soluzione. Interpellati, i tecnici della banca centrale francese hanno risposto che la Francia andrebbe con la Germania. Stupidi! Così diventerebbe la Grecia del Nord».
Paesi come Italia e Francia dovrebbero uscire dall’eurozona?
«Sarebbe una follia, nemmeno la Germania potrebbe resistere fuori dall’euro».
E allora?
«Bisogna trasformarlo da moneta unica a moneta comune. L’euro resterebbe per le transazioni internazionali, affiancato per il mercato interno da monete nazionali svalutabili: euro-lira, euro-franco, euro-marco…».
Quale sarebbe l’esito della disgregazione europea?
«Quella dell’Urss ha prodotto miseria per 10 anni: Pil dimezzato, speranza di vita calata, mafie. Un esito autoritario».
Qual è l’approdo della transizione ecologica?
«Il capitalismo finanziario si basa sui tre pilastri del diritto di proprietà ereditati dal diritto romano: usus, abusus, fructus. Alla fine della transizione resterà solo l’usus».
Che cosa significa?
«Il futuro è la condivisione dei beni comuni, anziché la privatizzazione. Si tratta di un concetto antico che la tecnologia rende ipermoderno. Il bike sharing è un esempio con cui facciamo esperienza ogni giorno. O Wikipedia, più affidabile dell’enciclopedia britannica. BlaBlaCar e Airbnb».
La sharing economy non è solo la sorte progressiva della condivisione, ma anche quella regressiva dell’elusione fiscale, della distruzione del lavoro, dell’anomia finanziaria.
«Airbnb nasce per mettere in comune l’ospitalità, ma va in Borsa si privatizza. Non vagheggio un volontarismo anarchico, ma regole per rendere disponibile un’intelligenza comune ed evitare la uberizzazione della società, cavallo di Troia di nuove schiavitù».
È un programma di sinistra?
«La sinistra comunista non può accettarlo, perché è fondato sulla gestione comunitaria, non pubblica e statalista. Quella socialdemocratica non lo capisce perché s’è convertita al neoliberismo. Hollande ha fatto votare una legge per separare banche d’affari da quelle commerciali. Peccato che l’abbia fatta scrivere alle stesse banche, vanificandola».
E i Verdi?
«Sono un movimento cocomero: fuori verde e rosso dentro, gauchisti radicali delusi dal comunismo. L’unica forza in cui sperare sono ong e società divile. Ma serve tempo».
Come vede l’ascesa dei populisti?
«Come negli Anni 30 crescono nella deflazione, nutriti dal dogmatismo di Bruxelles. Ma esisterebbero anche senza l’euro. E ora fanno più paura, perché la vittoria di Trump ha liberato ogni residua inibizione: se lo fa l’America, perché noi no?».
BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

Nessun commento: