Se l’euro si sdoppia salverà l’Unione dai populisti L’economista gesuita Gaël Giraud: “Moneta unica per gli scambi internazionali, valute nazionali per i commerci interni” Giuseppe Salvaggiulo Busiarda 23 11 2016
Gaël Giraud è una di quelle persone che sfuggono alle etichette. Estetiche, innanzitutto. Intellettuale eretico rispetto al mainstream, si presenta come un banchiere: impeccabile abito blu, espressione funzionariale, frasi asciutte. Quanto di più lontano si possa immaginare da un rivoluzionario, mentre delinea uno scenario di «autentico sconvolgimento della società». Economista? Ambientalista? Scienziato? Filosofo? Di tutto un po’. Tra piramidi di Ponzi e citazioni evangeliche.
Dopo la laurea in matematica, le consulenze per grandi banche e gli incarichi da ricercatore e docente di teoria dei giochi, economia e finanza, di ritorno da un viaggio in Ciad entra nella Compagnia di Gesù. Ordinato prete nel 2013, da un anno è capo economista dell’Agenzia francese per lo sviluppo, 8,5 miliardi l’anno per progetti internazionali. Unico gesuita dipendente del governo francese, ha contribuito all’elaborazione di brani dell’enciclica papale Laudato si’, «un progetto di civilizzazione che ha riportato la Chiesa all’avanguardia dopo mezzo secolo». Nei giorni scorsi ha presentato in Italia il suo libro-manifesto, Transizione ecologica (Emi).
Cos’è la transizione ecologica?
«È un progetto in cui gli strumenti tipici della finanza si mettono al servizio della riduzione della dipendenza dalle fonti energetiche fossili. Sta al nostro tempo come l’invenzione della stampa al XV secolo».
Come si può sviluppare?
«In tre tappe. La prima è l’adeguamento termico del patrimonio edilizio, voragine energetica delle nostre economie. La seconda è lo sviluppo della mobilità meno energivora, complessa perché comporta un riordino territoriale. La terza è la riconversione verde dei processi industriali e agricoli. Quest’ultima è la più difficile, ma non la più urgente».
Quanto costa e chi paga?
«Le stime di costo per l’intera Unione europea si aggirano sui 3mila miliardi di euro spalmati su un decennio, meno dei 4mila messi dagli Stati a disposizione delle banche dal 2008. Senza calcolare i vantaggi: la riqualificazione della manodopera, i benifici fiscali e gli effetti antideflazionistici in economie stagnanti».
Pensa a strumenti finanziari?
«Con bond della Banca centrale europea a tasso controllato e adeguatamente garantiti. Una scommessa meno azzardata di quella fatta per salvare il sistema bancario».
A che punto è il progetto?
«In Francia ci lavoriamo dal 2012 con 50 esperti, coinvolgendo 170 mila persone in mille dibattiti e raccogliendo 1200 contributi individuali sul web. Abbiamo valutato una dozzina di scenari. Saremmo pronti».
Perché usa il condizionale?
«Perché in Europa le élite non credono più nella capacità dello Stato di salvare il continente e, accessoriamente, il pianeta. Il principale ostacolo, dunque, è politico e non economico».
L’Unione europea potrebbe adottare il progetto?
«L’avrebbe già fatto, se non fosse fondata su dogmi incomprensibili: la concorrenza perfetta, che considera distorsivo ogni investimento necessario al nostro progetto, e l’area monetaria ottimale. Così rischia di fare la fine dell’Urss».
Perché l’euro è un dogma?
«L’euro è un progetto autoritario, la cui sostenibilità è fondata essa stessa su un dogma. Prova ne sia che nei cassetti delle banche centrali esistono piani B».
Per esempio un euro forte per i Paesi del Nord e uno debole per quelli mediterranei?
«Falsa soluzione. Interpellati, i tecnici della banca centrale francese hanno risposto che la Francia andrebbe con la Germania. Stupidi! Così diventerebbe la Grecia del Nord».
Paesi come Italia e Francia dovrebbero uscire dall’eurozona?
«Sarebbe una follia, nemmeno la Germania potrebbe resistere fuori dall’euro».
E allora?
«Bisogna trasformarlo da moneta unica a moneta comune. L’euro resterebbe per le transazioni internazionali, affiancato per il mercato interno da monete nazionali svalutabili: euro-lira, euro-franco, euro-marco…».
Quale sarebbe l’esito della disgregazione europea?
«Quella dell’Urss ha prodotto miseria per 10 anni: Pil dimezzato, speranza di vita calata, mafie. Un esito autoritario».
Qual è l’approdo della transizione ecologica?
«Il capitalismo finanziario si basa sui tre pilastri del diritto di proprietà ereditati dal diritto romano: usus, abusus, fructus. Alla fine della transizione resterà solo l’usus».
Che cosa significa?
«Il futuro è la condivisione dei beni comuni, anziché la privatizzazione. Si tratta di un concetto antico che la tecnologia rende ipermoderno. Il bike sharing è un esempio con cui facciamo esperienza ogni giorno. O Wikipedia, più affidabile dell’enciclopedia britannica. BlaBlaCar e Airbnb».
La sharing economy non è solo la sorte progressiva della condivisione, ma anche quella regressiva dell’elusione fiscale, della distruzione del lavoro, dell’anomia finanziaria.
«Airbnb nasce per mettere in comune l’ospitalità, ma va in Borsa si privatizza. Non vagheggio un volontarismo anarchico, ma regole per rendere disponibile un’intelligenza comune ed evitare la uberizzazione della società, cavallo di Troia di nuove schiavitù».
È un programma di sinistra?
«La sinistra comunista non può accettarlo, perché è fondato sulla gestione comunitaria, non pubblica e statalista. Quella socialdemocratica non lo capisce perché s’è convertita al neoliberismo. Hollande ha fatto votare una legge per separare banche d’affari da quelle commerciali. Peccato che l’abbia fatta scrivere alle stesse banche, vanificandola».
E i Verdi?
«Sono un movimento cocomero: fuori verde e rosso dentro, gauchisti radicali delusi dal comunismo. L’unica forza in cui sperare sono ong e società divile. Ma serve tempo».
Come vede l’ascesa dei populisti?
«Come negli Anni 30 crescono nella deflazione, nutriti dal dogmatismo di Bruxelles. Ma esisterebbero anche senza l’euro. E ora fanno più paura, perché la vittoria di Trump ha liberato ogni residua inibizione: se lo fa l’America, perché noi no?».
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