venerdì 18 marzo 2016

Cosa fa Pasquale Bruno oggi?

EX – Storie di uomini dopo il calcioMatteo Cruccu: Ex. Storie di uomini dopo il calcio, Baldini & Castoldi

Risvolto
Un saggio che racconta le storie di campioni amatissimi e altri, magari meno noti, ma rimasti nella memoria collettiva del calcio anni Ottanta e Novanta. 
Cosa succede quando il calcio finisce, quando i riflettori si spengono? Quando la recita del pallone arriva all’ultimo atto? È il momento più difficile nella vita di quei giocatori (ma non solo, anche al-lenatori) che non hanno ancora deciso cosa sarà il dopo. Ovvero lasciare il centro del palcoscenico dell’eccezionalità sportiva per ritrovarsi nel foyer del quotidiano, dove diventi uno dei tanti e non sei più abituato. E allora alcuni decidono di non decidere, e continuano a giocare all’infinito, come Marco Ballotta, portiere di ghiaccio, ancora in campo a 50 anni insieme a compagni di squadra che potrebbero essere i suoi figli. Altri mollano tutto, prendono una tavola da surf e uno zaino e si confondono tra giovani fricchettoni della loro età come Gianni Comandini, eroe solo per un derby. Altri ancora si ritirano in montagna, dopo un enorme dolore privato che ha pareggiato, nei conti della vita, un incredibile romanzo pubblico, come l’ex falegname juventino Moreno Torricelli. Altri infine riscattano nella normalità di un lavoro al bar una carriera geniale e maudit, come Francesco Flachi. 
Sono i protagonisti di Ex – Storie di uomini dopo il calcio, storie dal finale aperto dove si scopre che vivere non è così facile come giocare. Ma è anche un affresco a dieci voci dentro e oltre gli anni d’oro, Ottanta e Novanta, del pallone nostrano, quelli dei trionfi nelle coppe europee, dell’epopee del Milan e della Juve, ma anche del Parma e della Lazio che fanno da sfondo alle avventure dei nostri protagonisti. Quelli in cui il campionato italiano era «il più bello del mondo».

Osvaldo Bagnoli, l’allenatore operaio
Un libro appena uscito racconta la storia di Osvaldo Bagnoli. Un personaggio di un calcio che non esiste più e che nel mondo delle dirette 24 ore su 24 e delle conferenze stampa preconfezionate sarebbe un alieno


Sport L’Osvaldo della Bovisa e gli altri Il terzo tempo degli eroi del calcio 
18 mar 2016  Corriere della Sera Di Francesco Battistini © RIPRODUZIONE RISERVATA 
Osvaldo, il caffè è pronto, grida la moglie Rosanna dal tinello. Alle sette e mezza, come ogni mattina da vent’anni a questa parte, Osvaldo Bagnoli si alza dal letto con la testiera di legno e una Madonna nera che lo osserva dal muro soprastante. Scende lentamente dal materasso, indossa la vestaglia a quadri, va un attimo in bagno e si sposta nell’altra stanza, dove la moglie, già sveglia da mezzora, ha già approntato la colazione (...). Alle otto e mezza, si veste, scende dalla palazzina con la figlia che accompagna regolarmente in ufficio con l’utilitaria. Ha bisogno delle attenzioni dell’anziano papà: è non vedente dalla nascita».  
Exit Strategy. Il calcio non contempla i terzi tempi e nemmeno le terze età. C’è l’idea diffusa che i geni del gioco più bello del mondo siano geneticamente incapaci di stare in un mondo senza più gioco: il ventre di Maradona è inversamente proporzionale a tutti i palloni che la vita gli ha sgonfiato e all’immenso George Best, quello coi capelli da messia che faceva impazzire le merengue madrilene più di Messi, dopo il ritiro riuscì solo il miracolo di trasformare le borracce d’acqua in pinte di birra. E Totti contro tutti? Dura, fare l’ex con quella ics che mette una croce su tutto: cori, onori, sudori, talvolta pure ori e amori. 
C’è vita dopo il pallone? Dipende. Agostino Di Bartolomei ci morì. L’Osvaldo della Bovisa, uno dei guerrieri stanchi che Matteo Cruccu ci racconta in Ex. Storie di uomini dopo il calcio (Baldini & Castoldi), oggi ha i movimenti pensionati e i riti identici d’un brumoso personaggio alla Simenon, la moglie e la vestaglia, il caffè e il giornale, ma non c’è infelicità nella sua vecchiaia. Era già un hombre vertical quando vinceva lo scudetto col Verona degli scartini e sapeva mandare a quel paese anche il signor commendator Ernesto Pellegrini presidente dell’Inter: figurarsi se ai supplementari della sua vita può farsi schiacciare rimuginando i se o raccontandosi falsi incidenti. Lui, gigante in tuta, mai una sciarpetta da fighetto, un po’ Sarri e magari anche un po’ comunista, chissà, ci ha dimostrato che il più elegante dei passaggi è il passo d’addio: dagli assist del Bentegodi agli assi della scala quaranta. Senza parlare troppo. Mai appendendo il sorriso al chiodo. 
Mica è da tutti, però. Lo specchio della porta è un Dorian Gray, il game over fa paura e la morte lavorativa è una brutta signora sdentata e dalla risata cattiva che ha scaricato molti toy boy. Per un anno e mezzo Cruccu s’è fatto indagatore dell’incubo, che fosse d’un mister o d’uno stopper, ed è andato in giro per l’Italia a cercare una cinquantina di glorie vecchie purché non invecchiate. Sulla panchina dei giardinetti, non del campo, s’è seduto accanto a loro e li ha stesi sul lettino di Corriere.it. L’Io e l’Ex, da descrivere prima con la videocamera, poi col taccuino d’una volta, ora con questa galleria in dieci ritratti. A Cruccu piacciono le storie perdute, non perdenti, e al suo album appiccica solo le figurine doppie che il mazzo del grande business ha scartato. Forever Young, questo non è un pallone per vecchi: «I calciatori al loro apogeo hanno cinque, sei, sette numeri di telefono, vani tentativi di sfuggire alla fama, alla morbosità soffocante del tifoso e alla curiosità interessata del pescecane di turno. Se le cose vanno male, però, passano veloci da sette a cinque, a tre, a uno: il cellulare suona sempre meno».  
È a quel punto che bisogna scendere negli spogliatoi delle loro vite e scoprire che, sì, c’è l’extra time: il portiere Ballotta che a 50 e passa anni gioca ancora in squadre di ragazzini che potrebbero essere suoi nipoti; Pasquale Bruno «o animale» che vive da cervello in fuga; il Torricelli operaio, nel pallone e nella vita, che da vedovo s’è ritirato in montagna a crescere i figli. E poi Malesani che pigia amarone e mastica amaro. Il compagno Zampagna che preferì l’Atalanta al calcio inglese e ora vende ricordi, non fumo, in una tabaccheria. Il Flachi polverizzato dalla coca che aspetta un’altra chance. Meglio non essere mai stato qualcuno che essere un ex qualcuno, diceva Mickey Rourke che tentò la strada inversa, lasciare il cinema per diventare un campione. Non è sempre vero: c’è stato anche Gianni Comandini che ascoltava i Clash, leggeva libri e nel pieno della carriera, a 29 anni, ha detto semplicemente «non gioco più». Una volta negli spogliatoi scrivevano «chi non dà tutto non dà niente»: Gianni aveva dato abbastanza e cominciò a girare il mondo, sandali e Lonely Planet, surf e sigarette con le cartine. Ande, Australia, India. Quando un milanista lo riconobbe su una spiaggia, altro che falso nueve, fu bravissimo a interpretare il nuovo ruolo di facsimile: Comandini chi? Scusa amico, «hai mai visto un calciatore che dorme in una cazzo di camera comune, coi cessi in comune, mangiando per quattro soldi in una capanna?». Il tifoso lo guardò, commiserandolo: non sapeva di vedere un uomo felice.

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