martedì 15 marzo 2016
Doreen Massey
Ritratti. La scomparsa della geografa che indagò sulla globalizzazione
BenOld Manifesto 15.3.2016, 0:11
Doreen Massey è stata una delle più lucide, coerenti intellettuali della new left anglosassone, anche se l’accostamento a questo variegato gruppo teorico-politico l’avrebbe fatta sorridere, dato che nella sua vita intellettuale ha sempre privilegiato l’indagine dei punti di frizione e le contraddizioni che la realtà manifesta rispetto a astrazioni che vengono sovrapposte alla, appunto, realtà. La notizia della sua morte è stata data con discrezione, come discreta è stata la sua vita, anche se non ha mai smesso di partecipare alla discussione pubblica, scrivendo articoli e partecipando a trasmissioni radiofoniche e televisive. Una «accademica» però schierata, come testimonia il suo saggio presente ne After neoliberalism: the Kilburn manifesto dove con Stuart Hall e Michael Rustin invitavano la sinistra inglese a innovarsi, scrollandosi di dosso l’abito thatcheriano cucito loro addosso dal new labour.
Geografa di formazione, ha spesso paragonato il suo lavoro a quello degli storici. E se questi hanno a che fare con il tempo, nel suo movimento oscillatorio tra passato, presente e al futuro, il geografo deve fare i conti con l’altra grande categoria della modernità, lo spazio, che non si presenta mai come una superficie liscia, ma come una superficie punteggiata da vite, aspirazioni, desideri, bisogni, conflitti.
Nata nel 1994 a Manchester, si laurea in geografia, iniziando la sua carriera universitaria all’università di Oxford, occupandosi di sviluppo economico regionale. Seguiranno anni di «nomadismo» intellettuale, insegnando in Nicaragua, Sud Africa, Venezuela. Doreen Massey è convinta che lo spazio non sia entità statica, ma che muti continuamente a causa dell’intervento umano che ne modifica morfologia, composizione sociale e relazioni tra ciò che viene considerato locale e nazionale. È nell’analisi dei differenti «fattori di scala» che la docente attinge a categorie del marxismo britannico, cioè a quella breve e tuttavia significativa stagione che vede all’opera Edward Thompson, Raymond Williams, Stuart Hall, Benedict Anderson, Eric Hobsbawmn. Storici, sociologi e filosofi considerati espressione di quell’innovazione del pensiero di Marx in terra inglese che è stata sbrigativamente liquidata come «marxismo culturale», sottolineandone così la deriva accademica. È però in questa fase che Doreen Massey radicalizza il suo punto di vista. Sono gli anni che vedono l’emergere o il declino di alcune regioni del pianeta nella geografia mutevole del capitalismo. Così prende forma la tesi sulla «divisione spaziale del lavoro», che si aggiunge a quella tecnica e sociale già ampiamente studiata da economisti e sociologi. Per Doreen Massey, la «divisione spaziale del lavoro» assume una rilevanza perché sono le condizioni morfologiche e sociali di uno specifico luogo a favorire lo sviluppo economico. Quelle stesse condizioni che ne possono anche decretare il declino.
La geografa inglese punta lo sguardo infatti al di là del suo paese natale. Il capitalismo sta conoscendo quel processo che inizialmente sarà chiamato di internazionalizzazione e, successivamente, globalizzazione. Le regioni industriali inglesi cominciano a mutare. Disinvestimenti, spostamento di interi settori produttivi in altri luoghi, la desertificazione dovuta alla chiusura delle miniere: tutti elementi che assegnano allo spazio un ruolo rilevante per comprendere la mutata geografia del capitalismo.
Il calendario segna l’inizio del nuovo millennio e il termine più usato è globalizzazione. Nei saggi che licenzia per volumi collettivi sostiene che il capitalismo abbia sempre avuto una «vocazione» sovranazionale. C’è da spiegare se quella che si va delineando costituisca un’evoluzione di tale vocazione o sia un fenomeno nuovo. La divisione spaziale del lavoro aiuta a delineare traiettorie di ricerca. Se lo spazio è nutrito dalle relazioni sociali e dunque della cultura, intesa qui in senso antropologico, dei luoghi, questa caratteristica diviene centrale in un periodo storico che vede la formazione di un mercato mondiale e di una cangiante divisione internazionale del lavoro che scardina i rapporti tra centro e periferia dello sviluppo economico.
Nel volume Luoghi, culture e globalizzazione (Utet, 2005), Doreen Massey offre una lettura che, a oltre dieci anni di distanza, presenta percorsi di ricerca non sempre raccolti. Una attenzione alle culture dei luoghi che la portano tuttavia ad evidenziarne le gerarchie, le relazioni gerarchiche di potere, compreso quello di «genere». Allo stesso tempo, indica nelle città una sorta di centro di comando e coordinamento della «divisione spaziale del lavoro»: una tesi contigua a quella di Saskia Sassen, anche se la World City somiglia più a un’idea di «sistema mondo» che non a un punto di attracco dell’economia mondiale.
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