sabato 12 marzo 2016
Galasso ricorda Giarrizzo
12 mar 2016 Corriere della Sera Di Giuseppe Galasso
Giuseppe Giarrizzo, scomparso lo scorso 28 novembre, è una figura che non riguarda solo la storiografia italiana. Nato a Riposto, sul litorale etneo, nel 1927, si laureò in Storia antica all’ombra di Santo Mazzarino, uno dei più notevoli ingegni storici dell’Italia del tempo. Fu poi a Napoli, all’Istituto Croce, ascoltandovi, fra l’altro, Federico Chabod. Si recò quindi a studiare in Inghilterra e altrove per le ricerche, da cui uscirono i suoi densi volumi su Edward Gibbon, del 1954, e su David Hume, del 1962.
Un grande balzo, dunque, dagl’iniziali studi classici a quelli della Storia moderna, che poi coltivò con una singolare varietà di temi e di interessi e una curiosità intellettuale che andava molto oltre i confini della disciplina. Alla varietà e alla curiosità corrispondeva un’ altrettanto singolare capacità di individuare, svolgere e approfondire i punti-chiave delle questioni che trattava, che costituì la cifra dominante del suo impegno storico, corroborato da una severa educazione filologica.
I suoi studi spaziarono dall’Illuminismo alla storia della Sicilia moderna, dalla storia della storiografia moderna e contemporanea alla discussione sulla tradizione culturale italiana. Alcuni suoi libri ne sono una testimonianza eloquente, come, fra i più recenti, il sorprendente e illuminante Massoneria e Illuminismo nell’Europa del Settecento (Marsilio, 1994), il discutibile, ma interessantissimo Mezzogiorno senza meridionalismo (Marsilio, 1992), o la composita eppure intensa raccolta di studi La scienza della storia (Liguori, 1999).
Era una visione pienamente laica quella che egli aveva del farsi dei mondi e dei processi storici di cui si interessava e che culminava in una storia delle idee intimamente connessa con la realtà politica e sociale. Giarrizzo continuava così l’esperienza della storiografia italiana, in cui la visione laica e storica della modernità non comportava alcun pregiudizio o chiusura ideologica. Il rigore del metodo predisponeva, anzi, in un tale contesto a uno spirito critico e autocritico, frequente in quella esperienza innanzitutto rispetto al proprio Paese (anche se si può forse anche dire che spesso il momento iconoclastico prevalesse in lui alquanto sullo spirito costruttivo e positivo della scienza).
La sua ricca informazione delle tendenze e novità della storiografia non determinarono mai in lui le rapide conversioni così frequenti nei cultori dell’innovazione quotidiana. Conforme ai maggiori esponenti della sua generazione, egli innovò la tradizione storiografica italiana senza renderla irriconoscibile. Anzi, al contrario: la rese più nitida e forte.
Giarrizzo non fu, peraltro, solo il dotto e rigoroso studioso che animava la discussione culturale con la sua oratoria serrata e fascinosa (e poteva accadere che i suoi interventi, nel tradursi in un testo scritto, suonassero altri da quelli che si erano ascoltati, senza, tuttavia, nulla togliere né al parlato né allo scritto). Fu pure un grande professore universitario e un non trascurabile uomo politico. In politica fu socialista e assessore e vicesindaco a Catania. Nell’Università si acquistò il merito insigne di avere provocato e fatto realizzare un ammirevole recupero e restauro del grandioso (ancorché incompiuto) monastero dei Benedettini di Catania, destinato a sede della locale facoltà di Lettere e filosofia, della quale fu per trent’anni il preside.
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