giovedì 17 marzo 2016

Il contributo cognitario della sinistra negriera allo smantellamento dello Stato sociale

Il problema principale del paese, del resto, è che senza i murales di Blu non si può fare la rivoluzione.
Dobbiamo sparire dalla faccia della terra [SGA].

La battaglia dei muri. A Roma torna la scritta “Né pubblico, né privato: Comune” 
Roberto Ciccarelli Negritudine 16.3.2016, 11:02 


Oggi la politica si fa sui muri: dopo Blu a Bologna, i movimenti a Roma. Potenza di una scritta a Porta Maggiore, a due passi dal quartiere San Lorenzo. Sussulto di vita, urlo di battaglia lo slogan è un simbolo per Roma. E’ stato cancellato sabato scorso dal movimento delle spugnette “Retake”. Con un blitz i movimenti l’hanno riscritto: nello stesso punto e molto più grande. 
La scritta in bianco “Né pubblico, né privato: Comune” ha campeggiato dal 13 dicembre 2014 in piazza di Porta Maggiore a Roma, a pochi metri da un piccolo ponte ferroviario. Pochi metri per entrare nel quartiere di San Lorenzo. Il quartiere degli studenti, dei movimenti. Una storia politica dagli anni Settanta, più di recente ravvivata dai movimenti per i beni comuni a cui era ispirata la scritta. Comune, non è il municipio. Comune è una pratica: la creazione di una comunanza, di autogoverno. La prospettiva di una rivoluzione. Come slogan, un sussulto a caratteri cubitali. Gli attivisti della “Libera Repubblica di San Lorenzo”, composta dagli spazi occupati e non di San Lorenzo, ne andavano fieri. 
Nelle ore in cui esplodeva il caso devastante di “Mafia Capitale”, è diventato il segno di un’altra città. Sognata, ma reale. Mentre il pubblico viene privatizzato e quello che resta non funziona – per i tagli, oltre che per un deliberato progetto e incapacità – i servizi pubblici essenziali vanno in malora, aumenta il malcontento, la vita diventa impossibile. E tuttavia – questo testimoniava la scritta – c’era chi in città resiste e pratica nel piccolo un’altra idea di Roma. Esprime il suo diritto alla città. Un’idea semplice e bellissima 
Fieri, gli abitanti di San Lorenzo, sono anche di un’altra scritta “Onore ai partigiani” che campeggia dalla parte opposta del quartiere, sotto la rampa della tangenziale Est, un mostro che attraversa una parte del Prenestino. “Onore ai partigiani” è la scritta che i fascisti, talvolta, prima del 25 aprile, provano a cancellare. Ed è sempre la scritta che viene riscritta all’alba del 25 aprile. Che a Roma, come a Milano, fa vibrare i polsi, mette i brividi. Roma è città antifascista, la sua memoria è viva, costruisce ancora cittadinanza. Ed è una città del produrre il “comune”. 
La scritta “Né pubblico, né privato: Comune” è stata cancellata sabato scorso dai volontari di Retake. Quel giorno vestivano con le pettorine, brandivano spugnette e spazzoloni, hanno passato una mano di vernice sul muro. Restituendo, a loro avviso, il “decoro” a questo angolo trafficatissimo tra un ponte oscurato dai gas di scarico delle macchine e un arco di un vecchio acquedotto decapitato dalla marea di cemento che sovrasta i binari che portano alla stazione Termini. Simbolicamente, devastante. Perché le città sono anche fatte di simboli: cancellarne uno, significa fare crollare un tessuto, una memoria, un desiderio di una sua parte. Per il movimento montante del “decoro urbano” non ci sono simboli: solo sporcizia. E invece di rimuovere solo cicche di sigarette, escrementi, sacchetti di immondizia, hanno cancellato un sussulto di vita. Ai più non è sfuggito un dettaglio: la cancellazione ha un significato politico. Coincide con la prospettiva di chi vuole normalizzare la città. Passare una mano di grigio sul grigiore di amministratori professionisti e commissari di città. 
Martedì sera “Né pubblico, né privato: Comune” è tornato. Dopo tanto cancellare, un altro segno di vita. “Ciò che è comune non si cancella” sostengono gli attivisti dei movimenti romani che hanno definito la loro azione come un’azione di “recommoning”: ricreazione del Comune, che non è il municipio, ma un principio politico. Oggi, in Italia, i muri delle città parlano. Anzi gridano. Sia quando Blu cancella il suo capolavoro dalla parete del centro sociale bolognese XM24, come atto di protesta contro la mercificazione della street art in una mostra e le politiche di repressione contro i movimenti sociali. Sia quando le scritte tornano sui muri e testimoniano l’esistenza di un’alternativa. In questo caso all’ideologia del decoro, alla corruzione sistemica, al blocco totale della politica e della società. 
“Quella scritta abbiamo deciso di rifarla – scrivono in un comunicato gli attivisti – perché di fronte all’azione di retakers intenzionati – come dice il loro nome – a prendersi ciò che è nostro, per confinarlo nei recinti della valorizzazione urbana dei “murales legali” o per ridurlo nuovamente a superficie bianca ed asettica, noi continuiamo e continueremo a produrre comunemente una città che invece di scacciarci ci somigli. È un’azione di re-commoning, perchè questo al contrario loro è quello che facciamo: rendere di tutti, e visibile a tutti, quello che altri vogliono recintare e saccheggiare, per poter vivere in una città più bella e più libera. E dove la decisione su come debba essere, fin nei suoi muri e nelle sue strade, sia per l’appunto né pubblica né privata, ma comune”. 
L’azione prepara la manifestazione cittadina di sabato 19 marzo quando, per la prima volta da tempo immemorabile, tutti i movimenti romani saranno in piazza con sindacati di base (Usb) e associazioni per contestare le privatizzazioni, l’ideologia del decoro, la privatizzazione annunciata degli asili nido, le lettere di sgombero a centri sociali e associazioni, gli sfratti che continuano per tutti, a cominciare dai morosi incolpevoli. La proposta è quella di ridiscutere il diritto alla città partendo da una carta dei diritti che in queste settimane ha fatto il giro dei quartieri della capitale. Come si chiamerà questa carta? Né pubblico, Nè Privato: Comune è un buon titolo.

Blu rivolta
Blu a Bologna. Cancellando le sue opere, Blu ha risposto che la città appartiene anche e soprattutto agli artisti e ai soggetti anonimi che modificano l’estetica urbana indipendentemente dal profitto, dal potere e dalle burocrazie urbaneAlessandro Dal Lago Manifesto 13.3.2016, 23:59
Dietro il conflitto sulle opere di Blu a Bologna c’è un problema enorme, che non riguarda soltanto il writing o la street art, ma l’estetica urbana come fatto politico e oggetto di scontro sociale. Anzi, il diritto di espressione, artistica e non, contrapposto alla cultura degli assessori e al gigantismo spesso trombonesco e manipolatorio degli eventi sponsorizzati. Da un anno circa sui muri delle città tedesche si può leggere la scritta: Wem gehört die Stadt? («A chi appartiene la città»?).
Ai grandi interessi immobiliari? Alle amministrazioni elette magari da maggioranza di sinistra –e immediatamente impegnate a ripulire le città in nome del decoro urbano, come a Milano? Alle associazioni dei commercianti che cacciano gli ambulanti dai marciapiedi? Alle banche che deturpano le facciate di palazzi quattrocenteschi con insegne enormi? O magari ad associazioni di maggiorenti o critici che fiutano l’affare dei graffiti?
Cancellando le sue opere, Blu ha risposto che la città appartiene anche e soprattutto agli artisti e ai soggetti anonimi che modificano l’estetica urbana indipendentemente dal profitto, dal potere e dalle burocrazie urbane. E poiché le ha realizzate lui, a suo rischio e pericolo, è suo pieno diritto impedire che finiscano nelle mani di qualche mercante che sa guardare al di là del proprio naso. L’aspetto inquietante – agli occhi dei poteri locali – dell’arte di strada (graffiti, murali, stencil ecc.) è che non è in vendita, che la sua grazia risiede nella gratuità, e persino nel gioco a rimpiattino dei writer con le autorità e la polizia, che inevitabilmente li scambiano per teppisti, trattandoli di conseguenza. Miseria delle categorie ingessate del controllo sociale che vede infrazioni, deturpamenti e violazioni dei codici in un gesto, il dono di un’opera alla città, che evade dalla cultura del profitto. Così Blu può essere denunciato per aver realizzato un graffito oppure per averlo cancellato.
Un’altra writer di fama mondiale, ALICè, è condannata a 800 Euro di multa per un’opera murale che altrove sarebbe vanto di una città. E così via, in una sequela di schizofrenie giudiziarie,. corteggiamenti estetici, burocratismi comunali, strepitii di risibili associazioni anti-graffiti, che spediscono ragazzini innocenti a imbiancare i muri – salvo scoprire che magari quello che ricoprono potrebbe valere milioni, come è avvenuto al celebre Banksy.
Che poi un writer come Blu esponga alla Tate, come ipocritamente gli ha rinfacciato qualcuno, non cambia la sostanza del problema. E non solo perché sono fatti suoi. Da che parte si sta? Da quella di chi deturpa per mesi la facciata di una cattedrale con una pubblicità di dieci metri per dieci? O da quella di chi dice la sua, con una bomboletta, sull’ordine che ci circonda?
Ma forse è più onesto chi reprime i writer apertamente, alla luce del sole, di chi strappa un’opera al suo luogo naturale, l’aria aperta, per trascinarla nell’aria stantia di un museo.

Blu, la rivolta contro le città zombie Street art. Ritratto di un artista anonimo conosciuto da Los Angeles a Berlino. La battaglia contro la gentrificazione e per il diritto alla città. Quelle di Blu non sono «opere», ma atti di cittadinanza: popolano lo spazio, creano immaginario, fanno movimento. La storia di Kreuzberg, quando decise con Lutz Henke di cancellare i murali visitati in processione dai turisti-hipster Roberto Ciccarelli Manifesto 13.3.2016, 23:59
Di sé, Blu, non parla. Parlano le sue opere super-iconiche, affreschi colossali, concepiti per proteggere da uno sgombero le occupazioni in via Ostiense a Roma: Alexis o l’ex magazzino dell’Aeronautica militare in via del Porto Fluviale a Roma, occupato da 450 persone in emergenza abitativa. Oppure l’ex mercato ortofrutticolo occupato dal centro sociale Xm24, una delle opere cancellate ieri a Bologna per protestare contro la mostra «Street Art. Banksy & Co» dove Blu è stato esposto. E museificato nel mercato dell’arte che ha coniato un termine specifico, «muralismo», per indicare una pratica pacificata, una professione rispettabile.
I suoi sono invece atti di cittadinanza, non opere da esporre in vetrina, quelle di un museo o sulla superficie legalmente autorizzata. L’ultima moda della «gentrificazione»: decorare lo spazio urbano come un salotto con le foto di famiglia in cornici argentate.
Blu rivolta Bologna
Tre le righe dedicate sul suo sito da Blu agli organizzatori della mostra: «A Bologna non c’è più Blu e non ci sarà più finché i magnati magneranno per ringraziamenti o lamentele sapete a chi rivolgervi». Laconico, questo è lo stile dell’artista nato a Senigallia, cresciuto artisticamente a Bologna, street artist di fama mondiale.
La cancellazione dei murali bolognesi non va intesa solo come una difesa dell’indipendenza dell’artista o una protesta contro la riduzione della street art a arte decorativa. Ieri si è risvegliato un conflitto sociale sul futuro delle città. Era tutto rappresentato nel murale all’Xm24 che, ormai postuma, è diventata famosa.
Rappresentava il colossale scontro tra la città opulenta contro la città che lotta contro l’ingiustizia. Le munizioni: da un lato, enormi tranci di mortadella; dall’altro, cocomeri e zucche. L’affresco di una guerra contadina, una jacquerie combattuta con armi alimentari. Uno scontro epico, chiaramente dualistico, dal sapore tolkeniano. Si guerreggia per conquistare un anello, posto al centro dell’affresco. A Blu non manca l’umorismo.
Le parti in gioco sono chiare: da un lato c’è l’ideologia del decoro urbano che trasforma i quartieri in salotti ed eventifici; dall’altro lato, i movimenti sociali dal G8 di Genova ai No Tav; il gigantesco biker che schiaccia le automobili a Lambrate, la battaglia quotidiana contro la gentrificazione e per l’autorecupero urbano.

Nessun commento: