martedì 15 marzo 2016
Repubblichino dissidente esperto firmatore di appelli perde il lavoro ma ne trova subito un altro
Ha detto Il giurista: non faccio lezione sul testo Renzi-Boschi
intervista di Jacopo Iacoboni La Stampa 15.3.16
«Tutto
al mondo passa e quasi orma non lascia». Gustavo Zagrebelsky ci scherza
su; una citazione leopardiana invita a non drammatizzare troppo la
notizia che vogliamo commentare: a quasi 73 anni uno dei decani della
cultura torinese - e un simbolo, nonostante lui neghi insistentemente -
della Torino post-azionista lascia l’Università della città per
accettare l’invito ad andare a insegnare a Milano, al San Raffaele. È un
momento che segna oggettivamente la fine di una stagione, e forse di
una fase del dibattito politico italiano.
Le fa effetto lasciare
l’insegnamento a Torino? È esagerato dire che è la fine di tutto un
mondo, di laicità e democrazia intransigente?
«Appunto: è
un’esagerazione. Quel verso di Leopardi dice che tutto passa, ma
aggiunge: “quasi”. Una certa Torino non c’è più dagli anni cinquanta, ma
quel mondo non è sparito. Rivive in altre forme, magari non è più
egemone, ma quando lo è stato? Torino insegna ancora una sorta di
repulsione del mondo intellettuale verso il potere politico, la ripulsa
dell’arruolamento. L’idea di entrare in una squadra ci sembra un
tradimento. D’altra parte non mi sono mai sentito figlio legittimo della
Torino azionista, non sono stato allievo di Bobbio, anche se,
specialmente negli ultimi anni, ho avuto con lui una grande amicizia. Ma
la mia Torino era anche Giuseppe Grosso, un cattolico, accanto appunto a
Bobbio o a Galante Garrone. E Leopoldo Elia, colui con il quale ho
iniziato gli studi costituzionalistici. Era questa sintonia tra laicità e
il miglior pensiero cattolico liberale. La favola della Torino
azionista “covo di moralisti, giacobini e intollerante” è una vulgata
polemica creata ad arte da destra, a fini denigratori».
Vulgata poi arrivata, anche solo come ronzio, all’orecchio dei governanti di oggi, quelli che le danno del “professorone”.
«Mah!
Lei crede che sappiano qualcosa dell’azionismo? Il nuovismo e il
giovanilismo bastano a se stessi. Non hanno bisogno d’altro per
compiacersi di sé».
Torniamo a Torino.
«Non è un addio,
avrei comunque lasciato l’Università. Per una serie di ragioni. Per
stanchezza, fisica ma anche mentale. Ho quasi 73 anni, preparare le
lezioni di diritto costituzionale diventava più faticoso, anche se poi
l’incontro con gli studenti è sempre stato molto bello. Qualche mese fa
Massimo Cacciari, che era venuto a presentare un mio libro sul Grande
inquisitore, mi ha chiesto se mi avrebbe fatto piacere tenere un corso
al San Raffaele. Mi disse “vieni a insegnare filosofia del diritto”. La
cosa mi ha stuzzicato e ho accettato; ma non parlerò di Tommaso o di
Aristotele. Parlerò dei limiti, dei confini del diritto. Le idee
migliori sul diritto, diceva Bobbio, vengono dai giuristi pratici, più
che dai filosofi. Il diritto ha dei limiti? Può invadere tutte le sfere
dell’esistenza o ce ne sono alcune davanti alle quali deve fermarsi? Non
è rimasto allibito davanti all’idea che il legislatore, nel dibattito
sulle unioni civili, possa legiferare su cose come la fedeltà? Siccome
il diritto incontra dei limiti, e non ce la fa a vietare, per esempio il
cosiddetto l’utero in affitto o la maternità surrogata, quello è il
campo in cui deve operare non l’homo iuridicus, ma l’homo moralis. Poi,
di fronte all’impotenza, i politici rimettono le decisioni ai giudici e,
ipocritamente, si lamentano delle loro “invadenze”».
Lei che posizione ha sulla maternità surrogata?
«Gli
aspetti commerciali mi turbano, sono un uomo dell’altro secolo. Che
tutto sia o possa essere business mi spaventa. Comunque, non si può
derogare a due principi: la non discriminazione del bambino nato con
gestazione diversa, e l’interesse del minore. A Milano parlerò di cose
come queste».
Che bilancio fa oggi di 50 anni in cattedra?
«Parafrasando
San Paolo, che disse “ho combattuto la buona battaglia, e ho mantenuto
la fede”, io direi invece che ho perduto la fede».
Perché?
«Non
voglio più insegnare il diritto costituzionale. La Costituzione non è
una materia come le altre, è qualcosa che implica l’adesione a certi
valori. Se passerà il referendum sulla riforma Boschi non saprei neanche
più che cosa insegnare. È un testo scritto malissimo, in certe parti
contraddittorio e incomprensibile. La Costituzione del ’48 fu rivista da
personaggi come Concetto Marchesi. La chiarezza, per una Costituzione, è
anche un fatto di democrazia» (Zagrebelsky ha davanti l’articolo 70
sulla funzione legislativa. Ne legge le sgrammaticature, e fa
impressione).
Chi ha scritto materialmente questa roba?
«Persone che hanno trovato su questo tema l’occasione, la volta buona, per emergere nel dibattito tra i costituzionalisti».
Renzi e Boschi non sono molto toccati dalle sue critiche.
«Me
ne sono fatta una ragione. Siamo in mano a persone per le quali tutto
diventa negoziabile. L’opportunismo governa. Per questo, mi va bene la
filosofia del diritto; la consolatio philosophiae come, se mi è lecito,
per Severino Boezio».
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento