sabato 12 marzo 2016

Xi Jinping mangia librai dissidenti a Hong Kong ma non ha dimenticato i bambini


Riccardo Michelucci Avvenire 12 marzo 2016


Tra i libri proibiti di Hong Kong “Spie e censura addio libertà”

Nell’ex colonia la Cina distrugge i testi “sovversivi” e fa sparire librai ed editori
“Pechino ha cambiato strategia: non arresta più scrittori e intellettuali, ma chi vende e diffonde le opere non gradite” La testimonianza delle vittime dell’ultima purga del regime “Clienti terrorizzati, così chiudiamo”

di Giampaolo Visetti Repubblica 12.3.16
HONG KONG UN cancello cromato sbarra la porta della libreria «Causeway Bay Books». Sul lucchetto ci sono i sigilli. Tre uomini in nero fotografano chi sale la scala che porta anche al centro d’estetica «Hot Nail». Articoli di giornale, incollati alle pareti del pianerottolo, suggeriscono che la «guerra dei libri» è scoppiata qui. Il numero 533 di Lockhart Road è un edificio giallo e stretto. Sulla strada vendono farmaci tradizionali cinesi e gabinetti. L’odore di una pescheria impregna il negozio dei «libri proibiti», al primo piano. Dall’uscita del metro si vede la vetrina: gli scaffali sono vuoti, sul cristallo c’è il cartello «Affittasi». Un’auto e un furgone neri sostano davanti all’ingresso. I passanti li aggirano per il timore di essere ripresi da una telecamera che sporge da un finestrino.
Nessuno sale più nella libreria e nella casa editrice «Mighty Current», travolte dalla più plateale repressione contro la libertà di stampa mai scatenata da Pechino contro Hong Kong. I due proprietari e tre dipendenti, tra ottobre e fine dicembre, sono spariti. Riapparsi in Guangdong, nella Cina continentale, hanno detto ai famigliari di essere stati arrestati. L’accusa è contrabbando di testi che le autorità comuniste considerano critici. Woo Chih-wai ha 75 anni, è autore di 120 «opere politicamente sovversive» e fino all’ultimo ha lavorato per la casa editrice. «Sono sfuggito alla retata – dice – perché Pechino nell’ex colonia non arresta scrittori e intellettuali, ma i commercianti che diffondono i testi banditi dalla censura». La comunità internazionale, anche all’Onu, chiede alla leadership rossa di liberare i due soci della “Mighty Current”, Lee Po e Gui Minhai, i loro dipendenti Lui Por, Cheung Chi-ping e Lam Wing-kee. Dietro il braccio di ferro sulla loro libertà personale, emerge però una resa dei conti politica ben più ampia e spaventosa. «Pechino – dice Paul Tang – ha ufficialmente represso la libertà di stampa anche a Hong Kong e per la prima volta ha arrestato hongkonghesi e cittadini con passaporto straniero, al di fuori dei confini nazionali». Il signor Tang ha 41 anni e gestisce il caffè-libreria «Comunità ricreativa del popolo» a “Causeway Bay”. Il suo è l’ultimo covo di libri vietati nella metropoli finanziaria che la Gran Bretagna ha restituito alla Cina nel 1997.
Dietro il neon rosso, con il profilo di Mao in nero, vende testi storici e politici, biografie, le opere dei dissidenti, più un po’ di porno nascosto sotto copertine di romanzi rosa: da Liu Xiaobo a Henry Kissinger, da Tienanmen al «Grande balzo in avanti», dal Dalai Lama alle razzie della Rivoluzione culturale, dalla «storia sconosciuta» del Grande Timoniere a quella “vera” dell’attuale presidente Xi Jinping. In tutto il mondo sono opere acquistabili: in Cina sono proibite, il possesso costa il carcere per «sovversione». A Hong Kong sono ancora legali, ma sono entrate nel limbo. «Fino a un mese fa – dice Paul Tang – ne vendevo cento al giorno. Ora il business è finito: nessuno stampa, nessuno compra, i clienti sono terrorizzati». Anche lui è sotto controllo. Agenti in borghese, alla fermata dei taxi di fronte allo shopping center di Times Square, identificano per «ragioni di sicurezza» chi sale in libreria, passando dal piccolo cambiavalute. Per pagare l’affitto Paul Tang adesso vende anche latte in polvere e vitamine per neonati.
I travolti dal caso “Mighty Current” evitano di comunicare tra loro. Telefoni, web e alloggi sono monitorati. Colloqui dal vivo permettono però di ricomporre il quadro della grande purga. La repressione è stata scatenata da Xi Jinping in persona. Piccoli contrabbandi di libri proibiti prosperavano da sempre. Dall’autunno 2014, mentre il potere filo-cinese era assediato dalla «Rivoluzione degli ombrelli» dei pro-democratici, lo spaccio sarebbe diventato «su larga scala». A Pechino è scattato il piano-sicurezza. I cinque librai spariti erano tra i primi obbiettivi. «Ci accusano – dice Sophie Choi ka-ping, moglie del direttore della “Causeway Bay Books – di aver consegnato 4 mila testi vietati». Cifra modesta, ma nelle mani giuste in Cina gli effetti si moltiplicano. Il best-seller era «Xi Jinping e le sue sei mogli », sui retroscena segreti del presidente.
Affiora un precedente. «L’editore della “Morning Bell Press” – dice lo scrittore Bei Ling – ricevette la telefonata di un amico. Lo pregava di portargli alcuni barattoli di vernice a Shenzhen. Fermato al posto di blocco di Lo Wu e accusato di contrabbando, è stato condannato a dieci anni. Aveva appena pubblicato il libro “Il padrino della Cina”, sempre su Xi Jinping». Anche questo testo risulta scomparso, ma nella democratica e occidentale Hong Kong il primo “rogo” di opere censurate assume ora dimensioni-shock. Dai magazzini della “Mighty Current”, a Chai Wan, 45 mila libri sono partiti per il macero. Altri 55 mila sono stati sequestrati per «irregolarità». Decine di migliaia vengono «ritirati per controlli» dai chioschi che li offrono sottobanco, pena il ritiro della licenza. «L’ordine di distruggere i testi – dice l’editore Jin Zhong – è partito dalla moglie di Lee Po. La libreria è già stata data in affitto e il 13 maggio chiuderà. Cerca così di ottenere il rilascio del marito». Anche gli spedizionieri rifiutano di consegnare libri sul continente. Prima la tariffa per il trasporto di «letteratura specialistica» era di 10 dollari al chilo. Adesso è caccia agli spalloni, che ne chiedono 50 per fare passare in Cina un solo testo. Ad allarmare ancora di più è però il fatto che Pechino mandi i suoi agenti in città e all’estero per sequestrare la gente, violando lo statuto «un Paese due sistemi», valido fino al 2047. Le autorità comuniste negano, ma i documenti provano il contrario. «Una mail inviata alla figlia di Gui Minhai – dice l’attivista Albert Ho – conferma che suo padre è stato prelevato nel proprio appartamento di Pattaya in Thailandia. L’ultimo dipendente della “Causeway Bay Books” racconta che il pomeriggio del 30 dicembre Lee Po è improvvisamente uscito «per una consegna», scortato da uno sconosciuto che parlava in mandarino». Una farsa sarebbero anche le confessioni in tivù e la “liberazione” per buona condotta di due dei librai scomparsi. «Sono rientrati a Hong Kong – dice Woo Chih-wai – per dire alla polizia di non occuparsi più di loro. Poche ore dopo hanno dovuto rientrare nel Guangdong». Il conto alla rovescia per libertà d’espressione e incolumità dei cittadini allarma anche i mercati finanziari. Jack Ma, il magnate preferito di Xi Jinping e fondatore del colosso dell’e-commerce Alibaba, ha appena acquistato il South China Morning Post, storico quotidiano liberal dell’ex colonia. Ora è in corsa per il magazine economico Caixin. Nelle redazioni si teme che il miliardario rosso faticherà a garantire i livelli di indipendenza. «Pechino è sconvolta dal voto indipendentista di Taiwan – dice Audrey Ou Yuet-mee, presidentessa del movimento civico – e accusa Hong Kong di estremismo secessionista. Capisce di non poter assorbire nella Cina autoritaria una potenza democratica come questa». I librai spariscono, i testi proibiti vanno al macero, le case editrici chiudono, i giornali vengono venduti. L’epoca ricca della sicurezza finisce, a Hong Kong si apre l’era incerta della paura. Davanti alle sbarre della “Causeway Bay Books” un uomo brucia con la sigaretta un articolo con la notizia dell’arresto di Lee P


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