De Felice, così si rinnova il dibattito storico in Italia
venerdì 13 maggio 2016
Gli scritti giornalistici di De Felice e il defelicismo come vulgata revisionistica
Risvolto
È ormai nota l’influenza che Renzo De Felice ha avuto nella storiografia sul Novecento. Lo storico romano ha innovato profondamente l’approccio allo studio del fascismo, passando da una lettura moralistica, manichea e demonizzante a una lettura problematica e complessa, basata, per la prima volta, sull’accurata analisi dei documenti dello Stato, dei carteggi dei protagonisti, della documentazione più varia al fine di realizzare una storia – mai definitiva – dell’Italia nel periodo fascista.
Assai meno nota è invece l’influenza che De Felice ha avuto tra i non addetti ai lavori, presso cioè quella più vasta opinione pubblica che, tra gli anni Sessanta e Novanta, leggeva ancora i giornali. In quei quasi quattro decenni De Felice ha scritto oltre 280 articoli per quotidiani, per settimanali o ha rilasciato interviste, affrontando alcuni problemi storiografici fondamentali: il consenso al fascismo, l’antisemitismo, il rapporto tra fascismo e intellettuali, la Grande Guerra, la difesa dello Stato di diritto, la libertà di ricerca, il terrorismo, la crisi dello Stato, solo per ricordare i temi più significativi.
In questi articoli, che si ripropongono per la prima volta a vent’anni dalla sua scomparsa, emergono l’interesse e la curiosità dello storico verso la realtà contemporanea e il presente; nello stesso tempo, De Felice anche negli scritti giornalistici non rinunciò a descrivere in termini complessi la storia e non esitò a esercitare la critica contro i conformismi e contro le “vulgate”, in nome di una libertà di pensiero che non ha mai conosciuto, in lui, condizionamenti di carattere Politico.
Negli «Scritti giornalistici» De Felice affrontava anche argomenti di attualità. Come il processo di Gerusalemme a Eichmann, considerato imparziale e contrapposto a quelli del 1945-1946
Libero 10 mag 2016
In occasione del ventesimo anniversario della scomparsa di Renzo De Felice (1929-1996), Luni Editrice pubblica gli scritti giornalistici e “meno scientifici” e le interviste (usciti sui quotidiani e sulle riviste settimanali) del grande storico reatino, a cura di Giuseppe Parlato, allievo di De Felice, ordinario di Storia contemporanea, presidente della «Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice» e firma di Libero. L’imponente progetto in tre volumi (e sei tomi complessivi) con introduzioni, rispettivamente, di Stefano Folli (Repubblica), Pierluigi Battista (Corriere della Sera) e Pasquale Chessa (autore del celebre libro-intervista a De Felice Il rosso e il nero) - contiene quasi 300 tra articoli e saggi, tutti dedicati ad aspetti scientifici o di attualità storica, dal fascismo all’antisemitismo, da Gramsci al delitto Matteotti, dal giovane Cavour a Caporetto, dalla parabola di Giannini alla Arendt. Il corpus degli articoli giornalistici inizia nel 1960 e termina nel 1996: i 36 anni più tormentati della nostra Repubblica, nei quali l’autore affronta in pratica tutti i grandi temi all’ordine del giorno storico e politico, analizzandoli con la sapienza e la lente dello storico pur avendoli vissuti in prima persona. Ogni articolo è un piccolo saggio nel quale, come si legge nella Nota introduttiva, «emerge, soprattutto a livello metodologico, la testimonianza civile, la testimonianza di libertà intellettuale, senza concessioni alle politiche di partito». Dal primo volume - Scritti giornalistici. Volume 1 Tomo I 1960-1974. Dagli Ebrei a Mussolini, che sarà presentato con il Tomo II - Al Giornale di Montanelli (1974-1977) al Salone Internazionale del Libro di Torino venerdì 13 maggio alle ore 10.30 (Spazio Incontri) da Giuseppe Parlato, dal rettore della Università della Valle d’Aosta Fabrizio Cassella e dallo storico Paolo Nello, e quindi alla Biblioteca Comunale Sormani di Milano (Sala del Grechetto) giovedì 19 maggio alle 18 dallo stesso Parlato con il giornalista Armando Torno e l’economista Giulio Sapelli - pubblichiamo qui accanto l’articolo «Il processo Eichmann», uscito non firmato su Il nuovo osservatore del 20 aprile 1961.
Il processo iniziatosi in questi giorni in Israele contro il criminale nazista Adolf Eichmann, l’ex colonnello delle SS sul quale posa la responsabilità di aver organizzato in quasi tutta l’Europa le deportazioni degli ebrei e il loro avvio ai famigerati campi di sterminio in Germania e in Polonia, ha suscitato in tutto il mondo un interesse come ben pochi altri avvenimenti di questo dopoguerra. La stampa di tutte le tendenze se ne è ampiamente occupata; articoli, saggi, libri hanno colto l’occasione dell’arresto di Eichmann per ricordare agli immemori e alle giovani generazioni che quegli anni tragici ebbero la fortuna di non vivere o di non conoscere, cosa siano veramente stati i crimini nazisti contro gli ebrei (quasi 6 milioni ne furono sterminati) e in genere contro tutti i nemici del Reich hitleriano.
In Israele si sta in questi giorni celebrando un vero e proprio processo non solo contro un uomo quanto contro un regime ed una ideologia che hanno allagato di sangue per anni il mondo intero e lo hanno sconvolto. Questo processo è, forse, anzi il primo “vero” processo al nazismo. La serie di processi, maggiori e minori, tenutisi nell’immediato dopoguerra a Norimberga ebbe infatti, nella sua drammaticità e nella sua esemplare tragicità, un che di freddo. Celebrati mentre la guerra era ancora
una realtà viva ed oppressiva, quei processi potevano far pensare a qualcuno ad atti di giustizia sommaria, quasi di vendetta; il fatto che i giudici fossero dei quattro paesi vincitori poteva far pensare a complici silenzi e reciproche omertà. Il processo che si celebra oggi, ad oltre quindici anni dalla fine della guerra, beneficia indubbiamente di una maggiore calma degli animi e di una maggiore documentazione raccolta in tutto questo periodo. Si potrà dire, ed è stato detto, che i giudici sono la parte lesa. L’argomento però non regge. La serietà con cui il processo è stato preparato, le amplissime prerogative accordate alla difesa (sino al diritto di produrre testimonianze a discarico raccolte per rogatoria in Germania in modo che i testi non possano venire incriminati a loro volta), l’occhio di tutto il mondo volto su ciò che si dice e si fa nell’aula del tribunale, le stesse polemiche che in Israele hanno accompagnato la decisione di processare Eichmann (che denotano come persino tra gli ebrei molti siano disposti se non a perdonare almeno a dimenticare) sono tutte garanzie di imparzialità.
I crimini di cui Eichmann è accusato sono tanto enormi che superano di gran lunga la figura dell’imputato: con lui è sul banco degli imputati, lo ripetiamo, tutto un regime, tutta una ideologia. È per questo che non si può non approvare toto corde il processo stesso. È per questo che, pur riconoscendo la validità immediatamente giuridica di alcune obiezioni che al processo stesso sono state avanzate anche in Italia (per esempio da un Carnelutti), non si può accettarle. Così come non si possono accettare le obiezioni pietistiche di coloro che avrebbero preferito un atto di cristiano perdono.
Dopo quindici anni un uomo può essersi pentito, può aver intrapreso una nuova vita, può essersi redento. Ma i crimini di cui Eichmann si è macchiato sono tuttora una realtà. Una realtà non solo nelle carni dei pochi sopravvissuti e nella memoria dei congiunti dei trucidati, ma ancor operante. La croce uncinata è recentemente apparsa lugubre in Europa ed in America, l’anti-semitismo è vivo ed operante. In Italia – Paese in cui l’anti-semitismo non è mai esistito e un Preziosi è sempre stato un isolato, uno sconosciuto, un evitato da tutti, in cui la stessa persecuzione razziale è stata tanto poco sentita persino da coloro che per ragioni politiche dovettero intraprenderla – vi sono giornali che pericolosamente fanno dell’anti-semitismo e periodicamente si assiste ad atti di vandalismo e di teppismo anti-semiti e razzistici. Gocce di questo ignobile veleno si trovano avvolte anche dove meno si penserebbe trovarle; vi sono giornali e riviste di gruppi più che responsabili e sinceramente cattolici che, certo per ingenuità e ignoranza, ancora oggi danno credito ai famigerati Protocolli dei Saggi Anziani di Sion, uno dei più grossolani e spudorati falsi della storia.
In queste condizioni il processo che si celebra in questi giorni in Israele trascende di gran lunga la persona fisica dell’imputato: è un ammonimento a tutti, ai vecchi che per quieto vivere, per nausea e per bontà di animo vogliono dimenticare, ai giovani che non sanno e ai quali non si vorrebbe far sapere. Se in Eichmann si processasse un fantasma si potrebbe avere pietà, purtroppo con lui si processa una realtà che è stata e che potrebbe ritornare, una realtà che ha i suoi ignobili sacerdoti e contro la quale tutto il mondo deve essere messo in guardia. Per questo il processo Eichmann è un atto di profilassi sociale.
De Felice, così si rinnova il dibattito storico in Italia
Vent’anni fa moriva lo studioso celebre per le ricerche sul fascismo. Le sue tesi iper-semplificate dai media
Mario Toscano Busiarda 5 5 2016
Studioso del razzismo
La sua attività di ricerca non riguardò solo il fascismo, ma si estese dai giacobini agli ebrei, all’antisemitismo e al razzismo, al problema della nazione e al ruolo dei partiti politici. La sua figura di ricercatore e il suo ruolo culturale vanno riletti attraverso numerose chiavi: la lezione impartita a tanti giovani studiosi, diversi per formazione e personalità, cui propose un metodo e un’etica di lavoro; l’attività della sua rivista Storia contemporanea; l’opera di diffusione editoriale di studi, memorie e documenti; la promozione in Italia di opere importanti, a partire da quella di George L. Mosse, capaci di imprimere un impulso nuovo al dibattito storiografico, di stimolare la riflessione sulla natura totalitaria del fascismo, il confronto col nazismo, di mettere in evidenza il ruolo dei miti e dei riti nella politica di massa, la germinazione del razzismo dalle più diverse correnti culturali e scientifiche dell’Europa contemporanea, la relazione intercorrente tra antisemitismo e politica di massa.
Molti tra i temi della storia del fascismo che suscitarono controversie nel passato sono ancora oggi oggetto di ricerche e approfondimenti da parte degli storici: il rilievo dello squadrismo e della sua violenza nell’autorappresentazione del fascismo, i contenuti della cultura fascista, il ruolo degli intellettuali, la questione del consenso, nell’analisi dei quali si impegnò ad arricchire l’armamentario dello storico con i sostegni offerti dalla sociologia e dall’antropologia culturale.
La storia degli ebrei
Forse in questi ultimi venti anni il tema più dibattuto tra quelli indagati da De Felice è stato quello del razzismo e dell’antisemitismo, che affrontò nella Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo del 1961. La riproposizione di quest’opera nel corso dei decenni successivi lasciava aperta la necessità di contestualizzare una ricerca che rifletteva gli orientamenti della cultura italiana del tempo, nella qualche predominavano le ricostruzioni rassicuranti della persecuzione antisemita svoltasi nella Penisola. Le critiche rivolte a De Felice anni dopo dimenticavano che quella sua opera del 1961 rompeva un silenzio che si protraeva dal dopoguerra e che sarebbe durato, con poche eccezioni, fino alla fine degli Anni Ottanta, che essa scardinava la leggenda di un’imposizione nazista delle leggi antisemite, illustrava l’autonomia della scelta mussoliniana e impostava il problema delle responsabilità di Salò nella deportazione degli ebrei italiani.
Onestà intellettuale
Oggi la storiografia, pur con qualche esagerazione polemica, ci offre un quadro più ricco e dettagliato di quello consentito dallo stato degli studi e delle fonti nel 1961, su uno degli aspetti più drammatici del fascismo, un fenomeno che il lavoro degli storici consente ormai di inserire nella storia d’Italia sulla base di ricostruzioni rigorose e documentate e non solo con condanne politiche e morali. Anche questo sviluppo va collegato all’opera di Renzo De Felice, che certamente avrebbe guardato con interesse ai progressi della ricerca favoriti dal suo lavoro pionieristico. Perché, oltre al contributo offerto dalle sue pagine, rimane fondamentale, non solo in chi lo ha conosciuto e ne ha apprezzato l’opera, l’insegnamento metodologico offerto in termini di rigore scientifico e onestà intellettuale, per superare i condizionamenti delle ideologie senza dimenticare la responsabilità etica e civile del lavoro della storico, nella consapevolezza, come ebbe a scrivere, che non può esistere una storiografia ideologicamente asettica.
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