martedì 7 giugno 2016

All’Università Pompeu Fabra di Barcellona e a Santiago Zabala l'archivio di Gianni Vattimo


Santiago saprà curare il lascito meglio di chiunque altro: in bocca al lupo [SGA].
Gli archivi di Vattimo a un’università di BarcellonaIeri nella città catalana la cerimonia per l’inaugurazione della sala dedicata al filosofo. L’offerta di Torino non è arrivata in tempo 

Claudio Gallo Busiarda 7 6 2016
È un omaggio a uno dei più famosi filosofi italiani (forse il più celebre in vita) quello che ha compiuto l’Università Pompeu Fabra di Barcellona. Ieri si è tenuto un dibattito per celebrare l’inaugurazione degli Archivi del filosofo italiano. Nell’auditorium del campus della Cittadella, Gianni Vattimo, 80 anni, ha discusso i temi cruciali del suo pensiero in una discussione con il filosofo e scrittore Joseo Ramoneda (l’autore de La sinistra necessaria) e Santiago Zabala filosofo dell’ateneo catalano vicino alle posizioni di Vattimo che con lui ha scritto qualche anno fa Comunismo ermeneutico.
Se all’estero Vattimo è considerato da molti un grande filosofo, in Italia appare un grande dimenticato. Comunismo ermeneutico è uscito prima nei paesi anglosassoni che da noi, e l’archivio sarebbe stato bene anche a Torino, dove il filosofo ha insegnato per la maggior parte della sua carriera accademica ed è professore emerito. Il fatto è che l’università torinese ha sì offerto una sede per l’archivio, ma soltanto dopo la proposta di Barcellona.
«Ormai mi ero impegnato - spiega Vattimo - non potevo più farci nulla». A Torino s’intuisce un certo imbarazzo. «Non ho niente da dire - fa sapere da Vilnius Gaetano Chiurazzi docente di Filosofia teoretica al Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione - È una decisione personale del professor Vattimo».
La discussione a Barcellona ha messo in rilievo come la filosofia dell’ospite, il «pensiero debole» (una visione che nasce dalla lettura combinata di Nietzsche e Heidegger) , abbia influenzato non solo grandi filosofi come Jacques Derrida, Richard Rorty e Eugenio Trias, ma pure ambiti come la teologia, la politica contemporanea e l’arte.
L’Archivio è composto da due diari, 40 quaderni e 50 cartelle. Comprese le note, le lettere, i documenti relativi alla Università di Torino, manoscritti di testi inediti, materiali didattici, recensioni e articoli pubblicati riguardanti conferenze, così come altro materiale audiovisivo.
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“Nessuna polemica le carte di Derrida sono in California” 
Gianni Vattimo 
Che i miei archivi non siano a Torino non è poi una tragedia. Sono in buona compagnia: anche gli archivi di Jacques Derrida hanno lasciato la Francia per andare a Irvine, in California. Sono contento che dopotutto i miei non siano troppo lontani dalla città dove si è svolta, principalmente, la mia storia universitaria. 
Avere le mie vecchie carte a Barcellona è anche un modo per conservare quel legame con il Sud America che ho coltivato per tanti anni, un continente dove il «pensiero debole» ha goduto di un successo costante. Ci si chiederà che cosa c’è di così importante nei miei faldoni. Direi che ci sono alcune lettere interessanti: di Heidegger, Gadamer, Pareyson, Karl-Otto Apel e una abbastanza divertente del Nobel J. M. Coetzee . Poi ci sono corsi dei anni 60 e 70 a decine di quaderni con appunti che risalgono agli Anni 50’. Secondo qualcuno, sono particolarmente unici i quaderni su cui preparato il mio libro Il Soggetto e la maschera, che potrebbero ancora essere utili a chi studia Nietzsche.
Avere i miei archivi depositati in un’università non significa certo che intendo ritirarmi dal dibattito filosofico. Sto preparando infatti un’opera che continua il discorso sul pensiero debole. Sarà un saggio intitolato Questioni filosofiche-teologiche che si divide in tre parti: Che cosa dovremmo fare di Heidegger oggi?; Che cosa dovremmo fare del Cristianesimo oggi?; Che cosa dovremmo fare della rivoluzione oggi? Mi toccherà lavorare tutta l’estate per finirlo e alla fine i miei appunti finiranno all’Università Pompeu Fabra insieme a tutto il resto, non lontano dal Mediterraneo assolato.
Tutto questo per la filosofia, che la maggior parte della gente considera una cosa inutile. Ma la sua importanza sta proprio nel fatto di essere inutile. È noto che Heidegger scrisse “la scienza non pensa”. Appunto perché “serve”, funziona in vista di scopi che essa stessa non decide. In linguaggio kantiano, la scienza conosce – cioè si occupa di fenomeni, con dati di fatto che riceve secondo le strutture proprie della ragione, li ordina in tempo e spazio, li formula matematicamente. Ma al di là del fenomeno, per Kant c’è il noumeno–il pensato e non conosciuto fenomenicamente. È il regno dove si incontra la libertà, che non è qualcosa di conoscibile fenomenicamente; e così il senso dell’esistenza, persino Dio. In questo campo, ci sono le domande più alte, a cui non si riesce a rispondere proprio perché non riguardano dati fenomenici e scientificamente trattabili. Di qui anche un certo senso di vacuità e «inutilità» della filosofia. Ma non potremmo farne a meno, se non vogliamo diventare macchine e automi.. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

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