mercoledì 8 giugno 2016

Il povero Borges era pop anche lui

Alan Pauls: Il fattore Borges, Sur

Risvolto
Il fattore Borges è un saggio di lettura, un manuale di istruzioni per orientarsi nella labirintica letteratura di Jorge Luis Borges. Con questo libro Alan Pauls va alla ricerca di quel «fattore» che rappresenta il marchio di fabbrica dell’autore argentino più grande di tutti i tempi. Cos’è che rende borgesiano ogni scritto di Borges? Esiste un elemento realmente identificativo di uno stile, di un modo di essere nel mondo? Com’è ovvio, non c’è un solo fattore Borges, ma tanti: tanti quante le sfaccettature che l’autore assume, illuminato dalla lente d’ingrandimento critica di Pauls. Alternando gli arcani della scrittura e gli eccessi della figura pubblica, Pauls ci restituisce un ritratto affascinante e indimenticabile del padre della letteratura argentina contemporanea.




Borges  “Era pop come Mick Jagger” Il vangelo del maestro secondo Manguel e Pauls
A trent’anni dalla morte i più grandi allievi del genio argentino ne ricordano fantasia, tecnica e sogni

DARIO PAPPALARDO Restampa 8 6 2016
FIRENZE Avederli insieme, così diversi, eppure uniti dall’ossessione per la letteratura, potrebbero essere due personaggi di Borges. E invece ne sono testimoni e soprattutto lettori. Il primo, Alberto Manguel, lo è stato tecnicamente: a sedici anni, a Buenos Aires, fu scelto per fare da occhi al grande autore ormai cieco. Il secondo, Alan Pauls, piglio da filosofo rockstar alla David Byrne, al Nobel mancato ha dedicato “Il fattore Borges”, ora tradotto da Maria Nicola per Sur: un vademecum fondamentale che disseziona e aggiorna il mito. Manguel e Pauls, a trent’anni esatti dalla morte di JLB (14 giugno 1986), sono qui a Firenze, ospiti del festival del Premio von Rezzori, per raccontare quel che resta del maestro di Finzioni e dell’Aleph, che inventò la biblioteca di Babele e anticipò il web.
Qual è stato il vostro primo incontro con Borges?
Manguel: Prima di conoscerlo, avevo letto solo delle sue frasi. Le usavano a scuola per gli esercizi di grammatica. Ero adolescente. Nelle ore libere dalle lezioni lavoravo alla libreria anglo-tedesca Pygmalión. Era la prima metà degli anni Sessanta. Borges andava a comprare i libri lì con sua madre. Mi scelsero come lettore. Borges era già cieco e la madre stanca. Gli leggevo racconti di Kipling, James, Kafka. Lui li conosceva a memoria. Ma ascoltarli lo aiutava a comprendere come erano costruiti. Prima pensavo che la letteratura fosse tutta una questione di ispirazione. Lì ho imparato l’importanza della tecnica. Borges smontava i testi come i meccanismi di un orologio.
Pauls: Ho incontrato la prima volta Borges a casa sua. Sarà stato il 1975. Avevo 16-17 anni e accompagnavo un filosofo amico di mia madre, Ezequiel de Ollaso. Mi colpì l’appartamento modesto. Aveva una biblioteca piccolissima. Ma guardavo il mondo di Borges ancora con sospetto, come qualcosa di vecchio. Dopo i vent’anni ho ripreso a leggerlo e ho capito molte più cose.
Nel suo libro, Pauls scrive che Borges aveva una vena pop molto più accentuata di quanto si possa pensare...
Manguel: Alan è molto più giovane di me. Quando l’ha conosciuto negli anni Settanta era ormai un personaggio pop. Lo fermavano per strada. Per me non è stato così. Per spiegare il mio lavoro di lettore, dicevo a una mia zia: “Sto facendo un favore a un vecchietto cieco”.
Pauls: Ci sono due aspetti del suo essere pop: in Argentina a un certo punto diventa alimento regolare dei media, fa l’opinionista. All’estero la sua immagine circola come icona: nel film Performance di Cammell e Roeg, la faccia di Mick Jagger si trasforma in quella di Borges.
Manguel: Il mondo culturale nel suo Paese lo accusava di essere reazionario e di non essere abbastanza argentino. A un certo punto in Argentina ci sono solo due modi di scrivere: come o contro Borges.
Pauls: A Borges la politica interessa poco. Ne ha un’idea arcaica, infantile. È essenzialmente un filosofo della letteratura. Apre una serie di scenari e problemi con cui diventa impossibile non confrontarsi. Non si può restare fuori dalla sua orbita.
Manguel: Per primo si permette il lusso di smontare la grande letteratura, come risulta evidente nel Diario del grande amico e complice Adolfo Bioy Casares. Borges detesta Goethe. Lo ritiene un imbecille. Lo stesso fa con Shakespeare. Dimostra che il valore del testo che leggiamo è condizionato da chi siamo quando lo leggiamo. È tutto arbitrario.
Pauls: Si parla poco dell’interesse di Borges per il demenziale. Era affascinato dal punto in cui la ragione incontra nell’idiozia il suo lato B. Con Bioy Casares formava una coppia demenziale eccezionale.
Borges assegna al lettore un nuovo potere...
Manguel: L’avevano già fatto Sterne e Pirandello. Ma lui lo dice
chiaramente.
Pauls: Per Borges l’intervento del lettore è un’azione sul testo tanto radicale e necessaria quanto quella dello scrivere. Dall’altra parte del mondo, anche Walter Benjamin dirà lo stesso.
In qualche modo anticipa l’era digitale...
Pauls: Quello che c’è nei computer era già nella sua pratica. Usava il copia e incolla prima che nascesse il Word per il pc. Dentro la testa di quest’uomo che sembrava un cinico Mr Magoo c’era un’intelligenza geniale. Aveva scoperto l’apparire antico e desueto come valore per stare meglio, per nascondersi nel contemporaneo.
Manguel: Aveva previsto tutto. Nella Biblioteca di Babele c’è già il web con la sua follia.
Il finale della vita di Borges sembra un giallo. La nuova giovane moglie, María Kodama, sposata in fretta, il testamento cambiato, l’esilio volontario e la morte a Ginevra...
Manguel: Sì, è la parte meno interessante, da People Magazine...
Comunque Borges non faceva mai quello che non voleva. Nessuno avrebbe potuto obbligarlo. Evidentemente voleva morire a Ginevra dove aveva vissuto da giovane.
Pauls: Sappiamo che a Bioy María non piaceva. Ma spesso accade con le mogli degli amici. Il punto è: a chi appartiene oggi Borges? Chi se ne è appropriato? Non si negano alla vedova María Kodama i diritti sull’opera, ci mancherebbe. Ma c’è una differenza tra l’amministrare un capitale e la letteratura. La causa contro lo scrittore argentino Pablo Katchadijan, colpevole di aver riscritto l’Aleph — El Aleph engordado — è stata un’assurdità.
Manguel: Ancora non esiste una buona edizione castigliana delle opere di Borges. Non sono curate, restano degli errori.
Per Borges i sogni erano fondamentali. L’avete mai sognato?
Pauls: No, per fortuna non sogno mai gli scrittori.
Manguel: Sì, l’altro giorno. Si sognano spesso le figure chiave dell’adolescenza. E lui è stato parte fondamentale della mia.
Manguel, sta per diventare direttore della Biblioteca Nazionale di Buenos Aires, occuperà il posto di Borges...
«Sì, inizio il 21 giugno. Non posso non pensare che un tempo lì c’era lui. Intanto, poiché torno in Argentina, sto leggendo le cronache scritte dai soldati in partenza per la prima guerra mondiale ».
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Un imprendibile briccone 
Ricorrenze. Il 14 giugno del 1986 moriva Jorge Luis Borges, lasciando in eredità un «prima» e un «dopo» la sua apparizione. In Italia, l’omaggio più importante è l'arrivo del libro di Alan Pauls: «Il fattore Borges» uscito per Sur

Francesca Lazzarato Manifesto 11.6.2016, 19:50 
Nel maggio del 1986, Adolfo Bioy Casares e sua moglie Silvina Ocampo stavano facendo colazione nella loro casa di Buenos Aires, quando squillò il telefono. Era, dalla Svizzera, Maria Kodama, che da poche settimane era diventata la seconda moglie di Jorge Luis Borges e con lui si era stabilita a Ginevra. Quando Bioy riuscì a scambiare qualche parola con l’amico, si sentì dire: «Non tornerò mai più», ma solo un mese dopo scoprì fino a che punto quel congedo, pronunciato «con una strana voce» (e, secondo Silvina, tra le lacrime) fosse definitivo. Il 14 giugno, infatti, un giovane conoscente incontrato per strada gli disse che lo scrittore era morto quel pomeriggio, e Bioy più tardi annotò nel suo diario di aver continuato automaticamente a camminare, sentendo che quelli erano i suoi primi passi «in un mondo senza Borges». 
Da allora sono passati trent’anni, e come sempre l’anniversario è diventato pretesto per le celebrazioni con cui si usa evocare i defunti illustri: tavole rotonde, conferenze, libri sontuosi come Borges cuenta Buenos Aires, realizzato da Maria Kodama e Carlos Greco, o mostre come quella che in aprile ha esibito a Madrid prime edizioni, oggetti, fotografie rare e curiose. In Italia, l’omaggio più interessante è quello della casa editrice Sur, che pubblica finalmente, nella ottima traduzione di Maria Nicola, Il fattore Borges (pp. 166, euro 16) di Alan Pauls, narratore argentino di successo, nonché autore di saggi critici spesso insoliti e sempre brillanti, come dimostra questa appassionata proposta di incontro con Borges, apparsa in lingua originale quasi vent’anni fa, e trasformata in un ramificato ipertesto da note che corrono verticalmente lungo la pagina (quasi un omaggio alla passione borgesiana per le frammentate nozioni delle enciclopedie). 
L’arte della citazione
Più che un saggio accademico, Il fattore Borges è un avvincente «manuale di istruzioni per orientarsi (o smarrirsi a cuor leggero) in una letteratura», afferma l’autore nella prefazione; una guida che consente di inoltrarsi nel labirinto borgeano, cercando di individuare a ogni svolta segni e tracce di una identità inconfondibile, eppure sfuggente e inafferrabile. E l’intenzione «cartografica» appare quanto mai in linea con l’eredità di uno scrittore che, sostiene Christopher Dominguez Michael, ha progettato la propria opera «come una mappa immaginaria della letteratura, dispiegata per sostituire la letteratura stessa». 
Combinando riferimenti biografici e una puntuale analisi del percorso borgesiano, Pauls illumina via via un Borges giovanile, ribelle, sinistrorso e legato all’ultraismo spagnolo, e poi la prima decade criollista e porteña dello scrittore, segnata da una peculiare reinvenzione della tradizione culturale argentina, che Borges usa per ricreare a modo proprio uno stilizzato mondo di gauchos, compadritos, coltelli, vicoli, sfide, antenati guerrieri, trasformando materiali trascurabili o trascurati in racconti del tutto nuovi.
È l’uso di questa tradizione periferica, coniugata a una enorme erudizione e al bilinguismo della famiglia paterna, che gli consente di collocarsi sulla linea di confine tra mondi diversi e di frequentare la letteratura universale con la spregiudicatezza e libertà di un outsider, riorganizzandola in funzione dell’uso che se ne può e se vuole fare, e quindi in funzione del lettore, mille volte più potente e attivo dello scrittore, nonché in grado di combinare a piacimento l’alto e il basso, la volgarità e il sublime, il sapere più arcano e l’erudizione spicciola, la cronaca nera e la poesia. Procedendo in questa direzione, Borges trova la propria originalità «nell’affermazione della citazione, della copia, della riscrittura di testi altrui, perché pensa, sin dall’inizio, alla fondazione della scrittura sulla lettura, e diffida, sin dall’inizio, della possibilità della rappresentazione letteraria della realtà», come scrive Beatriz Sarlo in suo bellissimo e limpido saggio del 1993, Borges, un escritor en las orillas, che attorno alla figura dello scrittore disegna il paesaggio sociale, politico, economico di un’Argentina in trasformazione, a partire dagli anni ’20. 
Ignorare l’argentinità di Borges (al quale troppi suoi connazionali hanno assurdamente rimproverato di essere poco argentino) comporta insomma il rischio di non capire perché e come sia diventato un autore universale, capace di segnare un «prima» e un «dopo» la propria apparizione. Ed è a un simile contesto originario che ci riporta Pauls, mentre illustra la transizione di Borges dal criollismo a un’altra dimensione della letteratura (quella che inizia con «Il sentiero dei giardini che si biforcano» e dà il via alla stagione dei grandi racconti), così complessa e multiforme da non essere a tutt’oggi completamente indagata (se l’opera di Borges non è vastissima, la produzione critica su di lui è una sorta di oceano senza fondo né confini). Narratore-filosofo-critico-poeta-teorico del linguaggio, Borges produce altri mondi affidandosi a una sublime ars combinatoria, sovvertendo i punti di vista consolidati, generando illusioni e inganni con assoluto rigore e affermando l’autonomia assoluta della letteratura…
All’esplorazione dell’opera si aggiungono brevi ragguagli sulla vita dello scrittore, tratti soprattutto dall’Abbozzo di un’autobiografia che, uscito nel 1970 sul New Yorker, benché firmato da Borges è di fatto un «montaggio» realizzato da Norman de Giovanni, suo discusso assistente e traduttore americano, e contiene più reticenze che autentiche rivelazioni riguardo a una vita priva di grandi eventi. Ma nel libro di Pauls c’è molto di più: viene costantemente sottolineata, infatti, la straordinaria modernità di uno scrittore che sembra aver anticipato numerosi tratti postmoderni, che ha praticato su vasta scala l’intertestualità, e che non si è affatto chiuso in una «torre di marmo» dove gli fanno compagnia giochi intellettuali gelidi e astratti. 
Il Borges di cui ci parla Pauls, sviluppando una intuizione di Ricardo Piglia condivisa anche da V.S. Naipaul (che sottolineò l’inclinazione borgesiana all’umorismo) possiede invece i tratti del trickster, del mariuolo geniale incline allo sberleffo, qualcuno cui va restituita «la carica di ilarità che le sue pagine scatenano». E a sostenere questa immagine c’è anche il contributo di Adolfo Bioy Casares, che lo conobbe nel 1931 e per più di quarant’anni registrò i loro incontri in un diario: le sue milleseicento pagine dedicate a Borges, pubblicate nel 2006, sono un monumento alla conversazione brillante, alla allegra maldicenza, alle battute maligne ed esilaranti, alla gioconda e tagliente denigrazione di quasi chiunque, agli scherzi e alle risate che per tanto tempo cementarono una lunga collaborazione. «Ilarizzato», restituito al contesto argentino che fu il suo punto di partenza, il Borges di Pauls ci appare infine come un’icona pop («un’icona popolare da esportazione» lo definisce Josefina Ludmer, grande studiosa argentina, accostandolo a Evita, Maradona e il Che), tra l’onnipresenza sui media, il nome divenuto un marchio, l’immagine trasformata in una silhouette sempre riconoscibile, le infinite interviste concesse, che però, a ben guardare, sembrano sarcastiche performance in cui lo scrittore cieco recita con impegno sospetto la parte che gli era stata assegnata. 
Il volto reazionario
Solo accennata resta, invece, la dimensione politica di Borges, forse perché Pauls la vede come una sorta di malattia infantile, una provocazione in più tra le tante, esercitata in questo caso nei confronti dei progressisti. Eppure nel diario di Bioy si legge una frase pronunciata da Borges nel 1972 a proposito di Cortázar: «Ho detto che le idee politiche non hanno importanza – il che è una pedanteria e una falsità, perché invece ce l’hanno». E, se la politica ha importanza, non si può fare a meno di ricordare che Borges fu robustamente conservatore e razzista, improvvido commensale dei peggiori dittatori latinoamericani, antiperonista nei termini feroci che trasudano da La fiesta del monstruo, racconto scritto insieme a Bioy nel ’47 e ispirato a un’opera del poeta Ascasubi (e ancor più a un testo fondante della letteratura argentina, El matadero di Esteban Echeverría), in cui un ebreo è vittima di un pogrom peronista. Ma sul Borges reazionario, che per le sue posizioni politiche è stato al centro di attacchi violenti e si è visto negare il Nobel, la critica sembra oggi sorvolare, tralasciando ormai di soffermarsi su qualcosa che ha avuto solo tenui ripercussioni su un’opera in cui la forma, il procedimento e linguaggio contano molto di più delle idee. 
Il posto di Borges nell’Olimpo della letteratura universale appare, insomma, così saldo da risultare indiscutibile. Anche se la sua opera è ancora suscettibile di innumerevoli letture, nell’America latina contemporanea è molto difficile trovare uno scrittore davvero «borgeano», anche a volerlo cercare con tutta la possibile attenzione e nonostante la vera e propria adorazione manifestata da Bolaño (che, secondo Pauls, pensava come Borges ma scriveva come Cortázar). Dipenderà dalla benevola «tolleranza» di un maestro che ha lasciato i posteri liberi di essere diversi da lui, come sostiene Pauls in un altro suo testo, La herencia de Borges, o dal fatto che, dice sempre Pauls, il grande merito di Borges è stato quello di mettere su un piedistallo il lettore onnipotente, piuttosto che il volenteroso scrittore? O, semplicemente, come ha sottolineato Beatriz Sarlo, «rompere con Borges è oggi indispensabile», perché una letteratura, se vuole sopravvivere e andare avanti, non può lasciarsi schiacciare da un simile magnifico peso».

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