mercoledì 8 giugno 2016

L'epistolario di una istigatrice all'odio razziale che profetizzava le peggiori disgrazie ed era pure tirchia

La paura è un peccato. Lettere da una vita straordinariaOriana Fallaci: La paura è un peccato. Lettere da una vita straordinaria, Rizzoli 

Risvolto
Oriana Fallaci odiava scrivere lettere perché le rubavano tempo prezioso al lavoro sui libri. Eppure nessuno più di lei ha legato il suo nome alla scrittura epistolare. Fin dagli esordi nel giornalismo ha tenuto una fitta corrispondenza pubblica e privata con i protagonisti della politica, della cultura, del giornalismo, da Andreotti a Nenni, da Ingrid Bergman a Shirley MacLaine, da Henry Kissinger a Fidel Castro. E ogni volta era capace di stilare tre, quattro o anche più minute, quasi sempre firmate, per immaginare cosa sarebbe apparso agli occhi del suo interlocutore una volta aperta la busta. Le minute venivano poi conservate per avere traccia dello scambio epistolare e, grazie allo straordinario lavoro di archiviazione delle sue carte private, è stato possibile scegliere fra le centinaia di lettere scritte ad amici e colleghi, alla famiglia e ai politici, quelle più significative per raccontare l’intera esistenza attraverso la sua viva voce. Sono missive ricche di aneddoti spassosi, riflessioni sulla politica italiana ed estera, sfoghi sulle difficoltà a sopportare il peso della distanza dagli affetti più cari. Un’occasione unica per osservare da vicino il talento di una donna ossessionata dalla scrittura e così sedotta dal suo lavoro da trasformare anche le lettere d’amore in capolavori letterari. La corrispondenza raccolta in La paura è un peccato è la testimonianza ininterrotta di una vita epica seppure strozzata dagli stessi tormenti di cui sono fatte le nostre vite, sempre in bilico fra la voglia di autonomia e il desiderio inconfessabile di trovare un conforto negli altri, il piacere di fare un lavoro che appassiona e il timore di vedere il tempo per sé divorato dagli impegni professionali. Ma sono anche una straordinaria lezione sull’arte della scrittura persino quando assolvono il semplice compito di elencare richieste di libri o scatole di sardine.
Le lettere di Oriana
Le sfide, gli amori, i sogni Epistolario di una giornalista

Corriere della Sera 6 giu 2016 di Alessandro Cannavò
Orgoglio professionale e passione sentimentale, principi nobili, coraggiosi e fragilità dettate dalla ricerca di un conforto: tutti sentimenti che hanno segnato la vita di Oriana Fallaci e che emergono in modo straordinario in La paura è un peccato, una raccolta di 120 lettere, quasi tutte inedite, curata dal nipote Edoardo Perazzi, in uscita per Rizzoli il 9 giugno nel decennale della morte: 120 testi che dimostrano la vita di una donna eccezionale.
«Sono stata bombardata come la città di Hanoi: per nove giorni… ogni bomba una brutta notizia, una provocazione, una vendetta, un coltello nel mio cuore e nel mio cervello». Nel 1976, poco dopo i funerali di Alekos Panagulis, Oriana Fallaci scrive all’amico regista Jules Dassin, in replica a una proposta, ritenuta del tutto inopportuna, di fare un film sul suo grande amore, morto in un sospetto incidente stradale dopo essere stato l’emblema della resistenza contro la dittatura dei colonnelli greci. Il bombardamento cui allude Oriana era dovuto all’ostilità della famiglia di Panagulis (che non aveva mai accettato la relazione anti convenzionale tra i due) manifestatasi apertamente in quei giorni dell’immenso dolore in cui Oriana confessa, tra l’altro, nelle stesse righe, di essere stata a un passo dal suicidio.
C’è in quella missiva il crocevia esistenziale della grande giornalista e scrittrice. Dove si intrecciano e si amalgamano orgoglio professionale e passione sentimentale, principi nobili, coraggiosi e fragilità dettate dalla ricerca di un conforto. Sentimenti che hanno segnato la vita di Oriana e che emergono in modo straordinario in La paura è un peccato, una raccolta di 120 lettere, quasi tutte inedite, curata dal nipote Edoardo Perazzi, in uscita per Rizzoli nel decennale della morte. Già il titolo è un manifesto dell’animo fallaciano. Quella frase compare ( con molti punti esclamativi) sul fronte di una cartelletta in cui lei aveva conservato alcune minute. Riporta a un’altra frase ( « Una ragazzina non deve piangere!») che il padre antifascista le disse (seguita da un ceffone) quando lei, staffetta partigiana quattordicenne, ebbe un momento di debolezza. Frase che forgiò indelebilmente il suo carattere.
Eppure la giornalista con l’elmetto che seguiva in prima linea la guerra in Vietnam, la penna indignata e rabbiosa che si scagliò contro l’Islam e la debolezza dell’Occidente all’indomani dell’11 settembre, era una donna che sapeva anche soffrire, in modo talvolta straziante, per amore. Amore dei propri uomini, della propria famiglia, della propria città. Colpisce, per esempio, la descrizione che fa a un’amica della sua Firenze visitata nel 1966, un mese dopo la catastrofica alluvione. «...Non esiste più il lungarno, non esiste la strada, capisci, non esistono più le case. Sono rimasti solo i piani superiori... come se una mano in vena di macabri scherzi avesse portato via una ditata di torta da un piatto...». Un racconto che ha la stessa forza immaginifica degli aerei che si infilano nelle Torri gemelle come coltelli in panetti di burro, descritti nell’incipit de La rabbia e l’orgoglio. In un’altra lettera parla del suo cagnolino York, tanto voluto e amato, che è costretta a lasciare alla mamma quando si trasferisce a New York. «Ci baciammo, piangemmo, ci facemmo promesse. Ma non appena l’aereo decollò, mi sentii così libera, così leggera... non fu difficile mettere fine alla commedia e rendermi conto che l’ultima cosa per cui ero fatta era vivere con qualcuno: uomo, bambino, cane».
Eppure a François Pelou, il corrispondente della «France Press» a Saigon che fu l’altra sua grande love story, si rivolge con romanticismo: «Questa volta sei tu che parti... saranno inutili le mie mattine, perché non ci sarai tu... conservo nella mia bocca un tuo chewingum e lo assaporo come fosse un tuo bacio». Già in seguito all’intervista, poi pubblicata sull’«Europeo» subito dopo la scarcerazione, a Panagulis dice: «Voglio ringraziarti di esistere, di essere rimasto vivo...». Lo avverte che «anche l’equilibrio più forte, l’intelligenza più splendida, hanno bisogno di luce, di spazio, di amore. Altrimenti appassiscono come un albero privo d’acqua... Spero che tu mi permetta di darti quell’acqua». Più avanti, preoccupata perché Alekos, così ispirato nella poesia, non si applica nella stesura della sua autobiografia (la vita di Panagulis diventerà poi nelle mani di Oriana il bestseller Un uomo), gli spiega le dure leggi dello scrivere. «La prosa non è un urlo. La prosa è una disciplina».
Ci sono le missive intense a Pasolini che aveva odiato la sua Lettera a un bambino mai nato e quelle affettuose a Ingrid Bergman e a sua figlia Isabella. Ci sono le parole di fuoco a Kissinger con cui ebbe uno scontro quando pubblicò la sua intervista e quelle furenti a Fidel Castro che corteggiò per molti anni e che alla fine non le concesse udienza. C’è l’appassionata corrispondenza con Pietro Nenni, tra dibattito politico e fatti privati. Franchezza con i potenti, affetto (anche quando si sente ferita) per le persone più intime. Un viaggio nell’animo della Fallaci che è anche una lezione di cura letteraria: quella prosa che ha rapito per ricchezza e passione generazioni di lettori si ritrova intatta in questi scritti personali da divorare come i suoi libri.

L’ultima lettera è indirizzata a monsignor Fisichella con cui lei, «atea cristiana», strinse un profondo rapporto negli anni finali della malattia. «Vieni più presto che puoi. Io ti aspetto come ne La Buona Terra di Pearl Buck i contadini cinesi aspettano la pioggia in agosto...». Bisognava «approfondire il discorso sull’incontro che ha un senso perché è stato pianificato da Dio, e guai a non viverlo con l’intensità e la coerenza di cui siamo capaci (cosa di cui sono assolutamente convinta)». Anche nell’ora estrema, Oriana pretendeva, per iscritto, l’ultima parola.



Wojtyla mi ruba i libri ma lo amo Mi piacerebbe tanto conoscerlo
Uomo vero che garba alle donne, scomodo nei paramenti, allergico alle regole Così Oriana descrive il santo che, da cronista, tradusse «Lettera a un bambino...»

Libero 8 Jun 2016
«Oriana odiava scrivere lettere. Era un'attività che le rubava troppo tempo e le impediva di dedicarsi con tutta la cura che desiderava ai suoi scritti». Lo racconta Edoardo Perazzi, nipote di Oriana Fallaci, nell'introduzione a La paura è un peccato, volume da lui curato che sarà in libreria domani per Rizzoli (pp. 368, euro 20) e che raccoglie centoventi missive firmate dalla grande scrittrice fiorentina. Sfogliandolo, la prima cosa che viene da dire è: grazie a Dio l'Oriana ha vinto la repulsione e ha messo mano alla penna anche per questioni private. Perché le lettere raccolte nel libro sono dei piccoli gioielli. Sia per lo stile impeccabile sia per gli aneddoti e i pezzi di vita che contengono. Un esempio su tutti: la vicenda dell’intervista televisiva mai realizzata con Woody Allen. La Fallaci spiega di aver rintracciato molto in ritardo una lettera speditale dal regista, in cui Allen si rendeva disponibile per una conversazione in favore di telecamera. «Sono uno scrittore, non una persona di tv, e le mie interviste sono quello che sono perché sono scritte. Inoltre, scritte da uno scrittore che le concepisce e le sviluppa nella solitudine dello scrittore. Questo è, lontano dalle regole, dalla produzione e dai tecnici e dalle luci di uno studio tv», spiega Oriana. Poi però aggiunge: «Ma mai, mai sono stata informata del fatto che lei era pronto a farla con me. In questo caso (chi lo sa?), avrei anche potuto trovare il coraggio di provare una cosa totalmente nuova per me. Perché, come si sa, io la rispetto moltissimo e lei mi piace enormemente». Oriana odiava scrivere lettere. Ma per fortuna le ha scritte, e sono una più bella dell'altra. Qui riportiamo le sue missive che hanno per oggetto Papa Wojtyla e Papa Ratzinger.



FRANCESCO BORGONOVO

(...) di un personaggio stereotipato.
Eravamo abituati a papi che erano «figure» anziché uomini, o «santi» anziché uomini, o «re» anziché uomini, ed ecco arrivare questa creatura viva, sanguigna, simpatica, uguale a noi. Indovini a guardarlo che soffre di scomodità dentro quella sottana bianca, quei paramenti, quelle pantofole: a lui piacerebbe indossare pantaloni e camicia, scarpe coi chiodi. E poi indovini che gli piace mangiare, bere, ridere, (chissà perché lo immagini bene con boccale di birra in mano, pronto a fare a pugni), e non è un mistero che gli piaccia viaggiare, fare sport. Ha rotto una tradizione, insomma un mito sbagliato: è sceso in terra. Ha portato la figura del Papa in terra, strappandola all’artificialità dei cieli. Infatti piace molto alle donne e, scommetto, le donne
piacciono a lui. Ma, quando dico «un uomo», non mi riferisco necessariamente a un uomo coi limiti di un uomo: al contrario. Wojtyla è un uomo di cultura, di grande cultura, ed è un poeta, un ottimo poeta, è un uomo di lettere, di buone lettere, ed è un vero leader. Forse l’unico vero leader che esista oggi. A parte Tito e Castro (non voglio citare Khomeini). Io non sono cattolica, non sono religiosa, non ho tenerezze verso la Chiesa e gli uomini della Chiesa. Ma adoro Wojtyla. Lo rispetto immensamente e lo ammiro anche quando non sono d’accordo con lui. Perché ha cervello, ha coraggio, ha sincerità. Insomma perché è  in una versione purgata e censurata. Non mi ha mai chiesto l’autorizzazione né dato un centesimo, ma l’ha fatto. Ha i miei libri,uno in polacco. Ma non sono mai riuscita a penetrare il muro di ferro eretto intorno a lui dai polacchi. Hanno escluso per un po’ anche il cardinal Casaroli, il Segretario di Stato del Vaticano. Adesso pare essere di nuovo al suo posto. Dovremmo attaccare la posizione dalla zona di atterraggio di Casaroli (che mi conosce e sembra stimarmi). Ma molti ci hanno provato invano. Dovremmo scrivere a Casaroli insieme. Poi dovrei cercare di incontrarlo, e anche tu dovresti cercare di incontrarlo. Un viaggio a Roma richiede solo un paio di giorni. Il vero problema, però, resta il fatto che un’intervista con il Papa necessita dell’«imprimatur» del Papa, altrimenti viene ufficialmente smentita come falsa.
Lunedì, 16 maggio 1983.


Ratzinger, l’unico vero crociato

La giornalista, ormai stremata dalla malattia, cerca di incontrare il Santo Padre «Di lui mi piace tutto: dalla faccia da Nonna Abelarda alla difesa dell’Occidente»
Libero 8 Jun 2016
Io adoro Ratzinger, è l’unico che difende l’Occidente.
(Il 1˚ agosto 2005 Oriana Fallaci incontra in «privatissima udienza» a Castel Gandolfo, Papa Benedetto XVI, per il quale nutre una profonda stima. La aiutano a realizzare questo suo desiderio monsignor Rino Fisichella e il direttore del «Corriere della Sera» Paolo Mieli, ndc) . New York, 5 maggio 2005 Coraggio, Paolo: per via di Ratzinger, non per lasciarmi trascinare in carteggi alla Abelardo ed Eloisa, ti scrivo di nuovo. E vado subito al sodo.
Ok, t’aspetto a New York. Non ho capito quando, parleremo qui nellaSessantunesima della mia opera-da-ripubblicare-o-no col «Corriere». Fammi sapere quali date hai in mente ed io non ti terrò sul marciapiede ad aspettare sotto la pioggia che apra la porta. Sono brutale, sì, ma non villana. Intanto, ecco.
1) Io adoro Ratzinger. Non solo perché è un uomo colto e intelligente ma perché è un uomo con le palle. L’unico, ad esempio, che in Vaticano abbia preso chiara posizione contro i preti pedofili degli Stati Uniti. E l’unico, si sa, che difende l’Occidente. Infatti di lui mi piace tutto. Anche la sua faccia e la sua buffa voce da nonna benevola ma pronta a tirare schiaffi. (E va da sé che io adoro sempre le nonne. La più grossa soddisfazione della mia vita è stata, al tempo di Deng Xiao Ping, scoprire che varie associazioni di boyscouts cinesi si chiamavano «I boyscouts di nonna Oriana Fallaci.»). Ergo leggere nel tuo post-scriptum che Ratzinger mi ama ed è disposto a incontrarmi mi ha dato grande gioia. Mi è parso un balsamo per le ferite che fino all’ultimo le belve mi hanno inflitto.
[...] Incominciai a vagheggiare un incontro con lui la scorsa primavera mentre languivo in Toscana per una chemioterapia sbagliata e grazie alla tv ascoltai la sua conferenza a Palazzo Madama.
Conferenza nella quale colsi qualcosa che sia pure sotto sotto mi riguardava. E un mese dopo confidai il mio desiderio a Pera che era venuto a conoscermi. Ma poi mi misi a scrivere Oriana Fallaci intervista a sé stessa e L’Apocalisse, Pera partecipò ai funerali di Arafat, io gli tolsi il saluto, e la cosa sfumò. A Sua Eminenza mi limitai ad inviare La forza della ragione (o la Trilogia?) accompagnata da una dedica affettuosa. Non so nemmeno se l’abbia ricevuta. Avendone incaricato Quagliarello, il consigliere di Pera, temo addirittura che il pacchetto sia finito in un cestino. (By the way, puoi chiedere ai tuoi intermediari se giunse mai a destinazione?). Ma ora arriva il punto dolens della faccenda. 2) Lunedì sera cioè proprio quando esultavo per l’incontro possibile, il professor Fahey è venuto a informarmi sul risultato delle risonanze magnetiche cui m’ero sottoposta il sabato precedente.
Tutto triste ha sventolato i suoi fogli e lasciandomi impietrita come la moglie di Lot ha detto: «Succede più alla svelta di quanto temessi. E non sappiamo più che fare. We are by now with the shoulders against the wall. Siamo ormai con le spalle al muro. We have reached the end of the road. Siamo giunti alla fine della strada». Sciolto il sale ho risposto che qualcosa bisogna fare, invece.
A Roma avrei presto avuto un importantissimo incontro cui non intendevo rinunciare, quindi mi serviva un altro tentativo, e sia pure senza troppa convinzione lui mi ha offerto una nuova cura.
Una chemioterapia che consiste in quattro pillole miliardarie da prendere per ogni giorno per due settimane. Poi pausa d’una settimana e, se dagli esami risulta un minimo miglioramento, via daccapo. L’ho incominciata subito. Qui a casa, non all’ospedale. Be’, per ora l’effetto è quello d’una sfinitezza inaudita. E tu parli dell’incontro come d’un evento abbastanza prossimo.
Alludi addirittura all’opportunità d’avvertire Pisanu sul viaggio. Ma per vedere Ratzinger devo essere in forma, ben sveglia. E per evitarmi il rischio d’una figuraccia non sarebbe meglio aspettare un po’, accertarsi che le pillole miliardarie non mi rimbecilliscano? Inoltre non ho capito a quale tipo d’incontro tu ti riferisca. A un tête à tête e basta oppure a un’intervista? 3) Io non ho mai pensato a un’intervista. Oh, naturalmente capisco bene che l’intervista sarebbe sensazionale. Il Papa e l’atea che pur venendo da opposte sponde dicono le medesime cose. Il tedesco e l’italiana della stessa generazione, la generazione della Seconda guerra mondiale, il vecchio signore e la vecchia signora che su quelle opposte sponde si sono formati e tuttavia si capiscono quanto due veterani dello stesso fronte. Ma a parte il fatto che per intervistare un Ratzinger ci vogliono dieci lauree in filosofia e undici in teologia nonché ricerche lunghe e scrupolose, io ho sempre pensato a un egoistico tête à tête e basta. Per esprimerglila mia gratitudine e la mia simpatia. Per dirgli che mi fa sentiremeno sola. Questo senza contare che nella vita tutto è possibile.
Anche che Fahey sia troppo pessimista. A volte da cosa nasce cosa. E dopo l’egoistico tête à tête potrebbe maturare l’idea di un incontro professionale, no?
A bientôt. E grazie d’aver avviato così bene questa non facile impresa. ORIANA FALLACI

Le regole per lavorare con Oriana «Niente ferie, ritardi o aumenti»Nella corrispondenza della Fallaci pure le istruzioni agli impiegati dell’ufficio Rizzoli a New York: «Subito via chi indossa t-shirt e scarpacce da tennis, anche se è Leonardo»Libero 9 giu 2016 Di ORIANA FALLACI
La paura è un peccato di Oriana Fallaci (Rizzoli, pp. 368, euro 20), in uscita oggi, raccoglie 120 lettere indirizzate a diversi destinatari, a cui si aggiungono alcune missive destinate a Oriana. Tutti i documenti sono inediti, eccetto due lettere aperte pubblicate sull'Europeo - a Henry Kissinger e a Pier Paolo Pasolini dopo la sua morte. Il titolo compare accompagnato da molti punti esclamativi sul fronte di una cartelletta in cui Oriana aveva conservato alcune minute.
Perfezionista, dura ed esigente prima verso sé stessa e poi verso il resto del mondo: Oriana Fallaci era così. I suoi redattori e i suoi collaboratori sanno cosa significasse assisterla. Le regole (molte) andavano rispettate.

All’attenzione di Daniela Di Pace con preghiera di diffusione a tutte le segreterie del gruppo.
Per l’ufficio – L’ufficio deve essere aperto puntualmente alle 9 del mattino. La puntualità è indispensabile perché le 9 am di New York corrispondono alle 3 pm del pomeriggio in Italia e da quell’ora in poi vi sono – per l’Italia – poche ore lavorative a disposizione.
– L’impiegato deve restarvi fino alle 13, ora in cui – salvo necessità e mia richiesta specifica – deve lasciarlo chiudendo bene la porta a chiave. Durante le quattro ore se ne allontanerà soltanto su mio incarico. Cioè per venire a casa mia oppure recarsi a fare una commissione per me.
– Al telefono risponderà semplicemente «Rizzoli Publishers». Se qualcuno chiede di me, non deve dare informazione alcuna. Comportarsi con cortesia ma distacco, come farebbe una centralinista. Arrivano, ovvio, telefonate dalla Rizzoli di Milano o di Firenze (signora Calchetti) o da miei amici e collaboratori che mi cercano per riferirmi qualcosa. Ma arrivano anche telefonate di estranei, indiscreti, gente che cerca contatti con me. E questi non devono sapere nemmeno se sono o non sono a New York. Quindi: «Non so nulla. Rispondo a telefono e basta. La prego di lasciare nome e cognome nonché il motivo della chiamata. Riferirò alla direzione di questi uffici (Non dire a me, altrimenti è chiaro che sono in città eccetera)».
– Il telefono del mio ufficio serve a me e basta, all’ufficio e basta. Proibite le chiamate personali e in particolare le long-distance. Il costo delle chiamate personali e in particolare delle long-distance non deve assolutamente gravare sulle mie spese!
– Tutti i fax devono essere copiati e messi in un fascicolo onde poterli all’occorrenza ritrovare. Idem, le telefonate. Ogni telefonata che arriva deve essere trascritta con l’ora e il giorno e il nome della persona che ha chiamato. Tale trascrizione deve essermi consegnata, ben scritta a macchina, e la copia deve essere messa da parte coi fax.
– Non vi sono vacanze. Questo tipo di lavoro non prevede vacanze come in un lavoro a tempo pieno e con contratto. Per tutta l’estate ad esempio io avrò disperatamente bisogno di una persona in ufficio. Quindi se uno ha bisogno della vacanza non può assumere l’impegno di questo lavoro. Per vacanza intendo anche il giorno saltuario.
– Quattro ore al giorno sono poche, quindi tutte quelle quattro ore devono essere fatte. Niente richieste per recarsi dal dentista o dalla zia che ha la polmonite. Del resto il lavoro è pagato a ore.
– Il compenso è quello stabilito. Niente di più, niente di meno, e ovviamente niente richieste di aumenti. Dodici dollari al giorno equivalgono a circa 26.000 lire italiane: cifra che in Italia è lungi dall’essere bassa. E i conti io li faccio in italiano perché queste spese vengono sostenute da me da Milano in denaro italiano, ahimè, e trasferite in dollari. Incrementi sono quindi impossibili.
– Le disposizioni che do devono essere scrupolosamente eseguite. Niente dimenticanze o distrazioni o ritardi. E niente iniziative personali di alcun tipo.
Per l’impiegato o impiegata – Deve trattarsi anzitutto di persona decorosa, bene educata, rispettosa, cortese, e ovviamente in grado di scrivere senza errori in italiano e in inglese.
– Deve saper prendere, eventualmente, il testo di una lettera o di un messaggio o di un fax. Far questo con ragionevole velocità e soprattutto senza errori, quindi trascriverlo e inviarlo. Senza farci fare brutta figura come è successo in passato. Questa è una casa editrice, non un’agenzia di importazione vini-e-salami.
– Deve saper usare la macchina da scrivere, il computer, e le altre diavolerie che si usano oggi. Deve saper spedire la posta e il fax nonché i pacchi che mandiamo via Dhl o Federal Express. Questo è molto, molto importante.
– Deve essere sempre vestita in modo decoroso, dignitoso. Niente giovanotti e ragazzette vestite da pagliacci, niente scamiciati (magari puzzolenti come è successo) o con le scarpacce da tennis. Niente T-shirt e disinvolture estetiche. Su questo punto non ammetto discussioni. Se un candidato o una candidata si presenta con abiti o apparenze inaccettabili, che sia scartato subito anche se è Leonardo da Vinci o Madame Curie. Proprio per questo preferisco una persona matura (anche un pensionato o una pensionata) agli studenti di passaggio eccetera.
– Deve essere persona capace di assoluta discrezione e abbastanza intelligente da capire se qualcuno chiama per indagare e aver contatti con me. (Giornalisti, studenti che preparano tesi, tipi curiosi o appiccicosi.) Una persona, inoltre, capace di risolvermi piccoli problemi quotidiani che mi distraggono dal lavoro. (Conti da pagare, piccole vertenze da risolvere, piccoli acquisti da fare ecc.).
– Deve essere persona in grado di venire a casa mia ogni volta che lo chiedo, portarmi la posta e i fax e i messaggi e i pacchi. La distanza tra l’ufficio e casa mia è limitata, ma ovviamente non posso permettermi persone che non sono in grado di camminare. E a tal proposito ricordo che è per me augurabile che il segretario o segretaria non debba venire tutti i giorni a casa mia perché ciò interrompe il mio lavoro in maniera catastrofica. A volte però è necessario che venga tutti i giorni per quanto la cosa mi disturbi...
– Spiegare che vi sono giorni frenetici e giorni (assai più spesso) in cui non c’è da far nulla fuorché stare in ufficio a sorvegliare i fax e il telefono e la posta. In questo secondo caso non voglio gente che poi mugugna «mi annoio», e tantomeno gente che si allontana per la passeggiatina o il caffè lasciando l’ufficio incustodito. Se si annoia, pace.
– La persona non deve familiarizzare con gli altri uffici che, si sa, sono occupati da giornalisti ossia da persone interessate a me e alla mia vita. Deve farsi i fatti suoi, cioè, tenersi alla lontana dai curiosi.
– La persona deve rendersi anche conto che tale lavoro non si limita all’ufficio; facendo così entra praticamente nella mia vita. Ad esempio deve avere il mio numero di telefono (segreto, unlisted) nonché il mio indirizzo. E questa è prova di grande fiducia. Deve quindi impegnarsi a non tradire quella fiducia anche se se ne va.
– Le altre cose le spiegherò a voce all’interessato o interessata.

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