domenica 19 giugno 2016
Lo sciacallaggio della stampa liberale proclama la prima martire dell'Unione Euro-Statunitense
«È l’effetto status quo, quando gli elettori sono spaventati lasciano le cose come sono»
di Sara Gandolfi Corriere 18.6.16
I giochi in Gran Bretagna non sono chiusi. Eppure la tragica morte di Jo
Cox, anche se pochi hanno il coraggio di dirlo a voce alta, potrà
muovere molti voti e forse chiudere la partita. «Quanto è avvenuto
probabilmente sposterà gli equilibri verso la campagna “Remain” (pro Ue,
ndr )», assicura Ben Page, amministratore delegato di Ipsos-Mori, una
delle principali società di sondaggi del Regno Unito.
Quali sono i segnali di questo spostamento di voti?
«Innanzitutto, lo conferma il rialzo della Borsa e della sterlina,
immediatamente dopo l’annuncio dell’omicidio. Il che suona terribile, ma
significa che i mercati hanno reagito all’informazione, deducendo che
un maggior numero di elettori voteranno per restare nell’Ue. In secondo
luogo, bisogna contare sull’“effetto status quo” che è presente in molti
referendum: la gente tende a votare per il mantenimento dello status
quo. Quando c’è incertezza, ancor più quando l’opinione pubblica è
spaventata o disgustata per un evento, questo effetto aumenta
ulteriormente. Ci sarà un forte movimento di empatia verso Jo Cox e i
suoi familiari, molti indecisi che magari propendono per l’uscita
dall’Unione Europea ma ai quali non piace l’estrema destra potrebbero
ripensarci».
Ci sono delle avvisaglie?
«Era già atteso uno spostamento “last minute” per lo status quo, come
peraltro avvenne con il referendum in Scozia due anni fa. Fino ad una
settimana prima del voto, i nostri sondaggi davano in vantaggio gli
indipendentisti, ma all’ultimo momento c’è stata la marcia indietro e il
55% degli scozzesi hanno votato per rimanere nel Regno Unito. Questo
omicidio non farà che rafforzare un trend naturale».
Ora che accadrà?
«La morte di Jo Cox è una tragedia e sottrarrà tempo alla campagna.
Molti eventi sono stati cancellati in segno di lutto, domani (sabato,
ndr ) la grande manifestazione dei “brexiters” non avrà luogo, lunedì
tutti i politici saranno in Parlamento per discutere quanto avvenuto e
rendere omaggio a Cox; quindi resteranno soltanto due giorni prima del
voto, il 23 giugno».
Dito puntato sull’estrema destra?
«E’ molto difficile estrapolare dall’azione di un pazzo un’opinione
sull’estrema destra britannica. Ma è vero che era già in corso un’ampia
discussione all’interno della classe politica e più in generale
nell’opinione pubblica, sullo svilimento e l’imbarbarimento della vita
politica. La patina di civiltà mostra parecchie crepe in Gran Bretagna.
Il fatto che una deputata laburista, attivista della campagna “Remain”,
sia stata uccisa da qualcuno che grida “Britain First” ovviamente
infiamma ancora di più il dibattito».
Suona molto «americano», assai distante dalla compostezza britannica…
«Noi britannici diciamo sempre che qualsiasi cosa succede in America
prima o poi arriverà anche da noi. In politica si sta dimostrando vero.
Il nuovo linguaggio politico, il sostegno a Trump… negli ultimi due
mesi, la campagna dei sostenitori della Brexit ha alzato i toni e
qualche messaggio distorto è “passato”».
Tipo?
«In base a uno dei nostri ultimi sondaggi, metà della popolazione crede
che se rimarremo nell’Ue 75 milioni di turchi saranno liberi di venire
qui, e di conseguenza si innescherebbe un rapido processo di recessione.
Un pensiero che è stato incoraggiato anche dai media più diffusi. E
tutto questo senza una discussione seria, senza spiegare che si tratta
di un’esenzione ai visti, non di piena libertà di movimento, e solo
all’interno dell’area Schengen, quindi non riguarda il Regno Unito. I
politici usano la politica subliminale: non si può dire che non vogliamo
i neri in Gran Bretagna, allora parliamo dei turchi».
Ipsos è stato tra i primi a certificare il sorpasso dei «brexiters». Ora qual è il suo pronostico personale?
«Condivido le previsioni degli allibratori. Loro pensano che “Remain”
vincerà. Avevano visto giusto anche in Scozia, e sarà qualcosa di più o
meno simile: penso a una percentuale del 53% pro Ue. Ma forse è meglio
se mi rifate la domanda dopo l’ultimo sondaggio, mercoledì sera».
Robert Harris “Chi voleva la Brexit adesso ci ripensi e dia un senso alla tragedia”
Lo
scrittore britannico: “Mezzo secolo fa nel Paese non c’era posto per
chi predicava il razzismo. Oggi, con Farage e tabloid, questo linguaggio
è stato legittimato”
intervista di Enrico Franceschini Repubblica 18.6.16
Può darsi che questa morte faccia pensare due volte gli elettori su che immagine vogliamo dare al resto del mondo
In tempi difficili la prima tentazione è dare la colpa agli stranieri ma
il vero responsabile del disagio è il mondo globalizzato
Robert Harris, 59 anni, noto commentatore del “Sunday Times”, è l’autore di “Ghostwriter” e “Fatherland”
LONDRA “MEZZO SECOLO FA, in Gran Bretagna non c’era posto per chi
predicava razzismo e xenofobia, ma oggi purtroppo sì: l’Ukip di Nigel
Farage, con le sue vergognose campagne contro gli immigrati, e i tabloid
di destra, che usano ogni mezzo per sostenere Brexit, hanno
innegabilmente una responsabilità morale nell’avere creato il clima in
cui un esagitato ha ucciso Jo Cox». È il parere di Robert Harris,
l’autore di Fatherland, Il ghostwriter, L’indice della paura e tanti
altri best- seller internazionali, oltre che autorevole commentatore
politico sulle colonne del Sunday Times e di altri giornali. «Se la sua
morte servirà a far ripensare la gente che voleva portarci fuori
dall’Europa, sarà l’unica cosa buona uscita da questa tragedia», dice lo
scrittore in questa intervista a
Repubblica.
Signor Harris, cosa pensa di quello che è accaduto?
«Sono profondamente scioccato. L’ultima volta che un parlamentare
britannico fu assassinato risale a un quarto di secolo fa, durante gli
attentati dell’Ira. E la morte di Jo Cox è arrivata dopo un’ondata di
sentimenti così negativi sull’immigrazione che dovrebbe far sentire
molti almeno un po’ colpevoli. Qualcosa di brutto è entrato nella
politica britannica ».
Perché proprio adesso?
«Non è la prima volta che succede: ci provò anche il parlamentare
conservatore Enoch Powell, negli Anni ’60, a parlare degli immigrati in
termini razzisti, ma fu espulso dal partito e trattato come un paria.
Oggi invece, principalmente grazie all’Ukip, il partito anti-Ue guidato
da Nigel Farage, è diventato accettabile, legittimo, parlare di
immigrati e stranieri in questo modo».
Si può parlare di responsabilità morale per la morte di Jo Cox?
«Non punterei il dito contro una persona in particolare, ma non c’è
dubbio che un certo linguaggio ha finito per legittimare la rabbia e
l’odio al punto da rendere la violenza comprensibile se non
giustificabile ».
E anche i giornali, in particolare i tabloid di destra che guidano la campagna per Brexit, hanno qualche responsabilità?
«Assolutamente sì. Se l’uomo che ha sparato a Jo Cox avesse gridato
“Allah Akbar”, adesso tutti scriverebbero che l’Islam o almeno l’Islam
radicale è in qualche modo responsabile dell’omicidio. In questo caso
l’assassino ha gridato “Britain first”, ma incredibilmente i proprietari
dei tabloid, tutti schierati per l’uscita della Gran Bretagna
dall’Unione Europea, rigettano qualsiasi responsabilità nell’avere
creato un clima di questo tipo».
Populismo e xenofobia sono due fenomeni non soltanto britannici.
«È vero, è un fenomeno mondiale. Ha molte cause: la globalizzazione, la
fragilità dell’economia, l’ansia e l’incertezza di tanta gente, le
grandi migrazioni di masse disperate.
In tempi difficili, la prima tentazione è dare la colpa agli stranieri,
ai diversi, a qualcun altro. Lo abbiamo visto negli Anni ’30, quando ciò
portò all’ascesa di nazismo e fascismo.
È un pericolo nell’aria anche ora. Il paradosso è che in questa campagna
referendaria i fautori del Brexit danno tutte le colpe all’Unione
Europea, quando il vero responsabile del disagio che tanti sentono è la
globalizzazione. E se la Gran Bretagna voterà per uscire dalla Ue, la
globalizzazione continuerà e continueranno i disagi che crea, solo che
saremo meno preparati ad affrontarli perché dovremo affrontarli da soli
anziché come parte di un grande blocco di nazioni. Anche per questo io
sono risolutamente a favore di restare nella Ue e voterò in tal senso
nel referendum ».
È possibile che la tragica morte di Jo Cox influisca sul risultato del
referendum, capovolgendo gli umori nazionali che secondo i sondaggi fino
ad ora favorivano Brexit?
«È possibile e sarebbe il miglior memoriale che si potrebbe fare a una
donna caduta mentre faceva il proprio lavoro per la democrazia. Può
darsi che la sua morte faccia pensare due volte agli elettori su che
tipo di società vogliamo essere e che immagine vogliamo dare del nostro
paese al resto del mondo, pensarci due volte prima di diffondere odio
verso l’immigrazione. Sarebbe l’unica cosa buona che verrebbe fuori da
questa terribile storia ».
La contraddizione dell’Inghilterra
Molti inglesi hanno sempre considerato la Ue un accordo commerciale. E visto che non funziona non trovano conveniente restarci
di Bernardo Valli Repubblica 18.6.16
LICENZA e moralismo si alternano con disinvoltura in Inghilterra. Così
vi convivono la spregiudicatezza e i freni puritani, la violenza e un
cerimonioso rapporto sociale, un’eccentricità teatrale e una tradizione
puntigliosa o non troppo bistrattata. A Londra popolata di stranieri si
elegge un sindaco musulmano di origine pachistana mentre nel resto del
Paese cresce l’insofferenza per gli immigrati.
Questa Gran Bretagna piena di contraddizioni è ai nostri occhi sempre
più Europa. Ma non lo è, e non deve esserlo per molti inglesi. I
continentali che l’invadono in cerca di lavoro, o per imparare la lingua
dominante nel mondo, sono affascinati da quel “meraviglioso”
palcoscenico che è la metropoli sul Tamigi.
PER LE strade è estroversa quasi come potrebbe esserlo una Napoli anglo-
sassone. I suoi cittadini invadono nella stessa misura, perché vi è
facile la vita e clemente la temperatura, i borghi e le campagne di
Francia e di Spagna. È uno scambio che assomiglia a un abbraccio. Ma non
condiviso da tutti.
Per quale motivo le isole britanniche dovrebbero staccarsi dall’Unione?
Molti suoi abitanti vogliono recuperare la privacy nazionale o insulare.
La voglia di star soli, a un certo punto dell’esistenza, coglie anche
gli individui. I popoli non ne sono immuni. L’ansia provocata dal flusso
di migranti alle porte ha riacceso la xenofobia anche da noi, che pur
abbiamo emigrato quanto i cinesi e che abbiamo subito gli sgarbi in
tante contrade dove approdavamo con le valigie di cartone. Io avevo
valigie di cuio quando arrivai a Londra all’inizio degli anni Sessanta e
la signora che doveva affittarmi un appartamento a Pimlico mi disse che
non voleva inquilini indiani e italiani. Poi, è vero, diventammo amici.
I sopravvissuti della mia generazione hanno un debole per la Gran
Bretagna. Senza la sua resistenza, davanti al dilagare delle truppe
naziste, durante la Seconda guerra mondiale, noi saremmo probabilmente
oggi governati dai pronipoti o dai cugini di Hitler. Dominato
dall’orgoglio francese, ma anche perché non li considerava
“europeizzabili”, Charles de Gaulle non voleva tuttavia gli inglesi
nella comunità. Li sospettava di essere una quinta colonna degli Stati
Uniti.
Il generale mancava di riconoscenza. Ma è vero che la Storia, al
contrario della finanza e dell’economia, non esige che si saldino i
debiti. De Gaulle aveva contratto il suo debito con la Gran Bretagna
quando lasciò con dignità e a precipizio la Francia invasa dai tedeschi.
Gli inglesi l’accolsero un po’ con la puzza sotto il naso. È un loro
vizio. Ma de Gaulle non sapeva dove andare e Londra era la sola spiaggia
possibile. Fu Churchill a riceverlo. La Francia libera, cui avrebbe poi
dato vita, la doveva ancora creare. In quel momento era un semplice,
semisconosciuto generale di brigata a titolo provvisorio. Il quale non
rappresentava nessuno, non certo la Francia, dove il ben più celebre
maresciallo Pétain trattava con Hitler. L’opposizione gollista all’
ingresso dell’Inghilterra nella Comunità europea, un quarto di secolo
dopo, quando il generale era al potere a Parigi, non è stata del tutto
dimenticata. Per chi ha una buona memoria suona ancora come un’offesa e
la ricorda in questi giorni che precedono il referendum sul Brexit.
Capita che storici, intellettuali decisi a votarlo citino quel lontano
rifiuto d’oltremanica.
Lo scrittore Will Self non è di questi. Lui racconta che quando
attraversò la Manica per la prima volta per visitare la Francia i
genitori gli raccomandarono di non bere l’acqua perché in quel paese non
era potabile. Oggi si dice scherzando a Londra che per gustare un buon
caffè bisogna fare una corsa a Parigi o a Roma. Quando avevo l’ufficio a
Wall Street, in Shoe Lane che non esiste più, presso il Daily Express,
non era facile trovare un ristorante dove portare un amico buon gustaio.
Oggi Londra, per merito di cinesi, di francesi e italiani, e di inglesi
che si sono adeguati, è una città gastronomica. E la cucina vale un
ponte sulla Manica. Il tunnel è già un corridoio di scorrimento tra il
continente e l’isola che non lo è più tanto.
La maggioranza, sia pure risicata, degli inglesi vuole veramente
tagliare gli ormeggi? Molti di loro hanno sempre considerato l’Unione
europea un accordo commerciale. E dal momento che non funziona come un
tempo non trovano più conveniente restarci. E tanto meno si sentono
obbligati. Inoltre non sono pochi coloro che ritengono di appartenere a
un mondo anglosassone più largo. Da qui la diffidenza per un’ Europa
federale di cui sentono ogni tanto parlare. Il principio di indipendenza
(Self governement) resta forte.
C’ è anche qualcosa di più profondo in cui c’ entra la cultura e la
storia. Uno storico appunto, Robert Tombs, ricorda il rifiuto di de
Gaulle. Lui ha la doppia nazionalità, britannica e francese, si occupa
di storia francese ma in lui prevale il cittadino britannico. Al punto
che voterà in favore di Brexit. Lo confessa al quotidiano parigino Le
Monde.
E spiega perché. Quando gli europei raccontano la Storia d’ Europa
parlano dell’Impero romano, del Rinascimento e dell’Illuminismo.
Raccontano una storia continentale che trascura la Gran Bretagna. Questo
crea un sentimento di esclusione, l’impressione di non fare del tutto
parte della famiglia europea. Molti inglesi si accorgono che il loro
paese è un’isola, staccata non solo geograficamente dal continente. È la
ragione per cui hanno sempre considerato l’Europa un’entità con la
quale bisognava mantenere le distanze. Quindi niente Schengen e niente
euro. Questa è la voce di chi se ne vuole andare del tutto.
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