venerdì 1 luglio 2016

Arcimigrazioni: ideologia dirittumanista e Terzo Settore di sinistra

Rifugiati. Conversazione su frontiere, politica, diritti, di Filippo Miraglia con Cinzia Gubbini, Gruppo Abele
Risvolto
«I Paesi europei non sono tutti uguali. Ma certamente li unisce la debolezza, l’incapacità della loro classe dirigente di gestire la straordinarietà del fenomeno migratorio e dei profughi con politiche giuste ed efficaci».
La più grande emergenza profughi del secondo dopoguerra investe l’Europa in modo marginale e quantitativamente limitato: dei 60 milioni di donne e bambini che nel 2015 sono fuggiti da guerre e violenze solo un milione è approdato in Europa. Eppure la vulgata è che siamo di fronte a una invasione insostenibile e l’Unione Europea, per ‘difendere’ se stessa, stipula accordi con la Turchia di Erdogan per delegare la gestione dei profughi, ricacciati ai confini dei Paesi da cui provengono. Eppure, nonostante l’asprezza della situazione, il nodo resta quello dei diritti: i diritti delle persone che, una per una, devono poter avere, ovunque si trovano e tanto più se fuggono da guerre e violenze, una vita dignitosa e libera. Per questo in migliaia lavorano ogni giorno, forse troppo silenziosi. Ma sono loro dalla parte giusta, e c’è da augurarsi che non sia troppo tardi quando chi ci governa se ne renderà conto.

I confini della nostra umanità 

Scaffale. «Rifugiati. Conversazione su frontiere, politica, diritti» di Filippo Miraglia con Cinzia Gubbini, per il Gruppo Abele

Luciana Castellina Manifesto 1.7.2016, 0:06 
In genere, interrogati sulle possibili soluzioni di questo problema – quello dell’immigrazione – i competenti si affrettano a precisare: non ho la ricetta pronta; oppure: non ho la bacchetta magica. E invece, l’Arci, la sua ricetta ce l’ha, e il merito di questo libro è soprattutto quello di illustrarla. E se assumiamo questo punto di vista per leggere il libro di Filippo Miraglia, coglieremo immediatamente tutte le virtù della ricetta Arci». Così Luigi Manconi nella prefazione (scritta assieme a Alessandro Leogrande) al libro che Filippo Miraglia, vicepresidente dell’Arci e da anni impegnato sul problema, ha scritto in un face à face con Cinzia Gubbini. 
È appena uscito per le edizioni del Gruppo Abele, nella – tutta interessante – serie «Palafitte»: Rifugiati. Conversazione su frontiere, politica, diritti. Manconi ha ragione: fra le tante parole che ogni giorno vengono spese sul tema questo volume ha il pregio di dire cose molto concrete e fattibili, quelle che già ora cercano di fare molte associazioni, in particolare l’Arci, la Comunità di sant’Egidio, le Chiese Valdesi (queste utilizzando il 5 per 1000 previsto nella cartella delle tasse) e tante altre ancora. Un grande impegno della società civile, che certo resta indicazione esemplare ma non può, con ogni evidenza, supplire alla totale cecità e inefficienza delle istituzioni. Ma è un «fare» per nulla inutile: non solo intanto aiuta in concreto persone in carne ed ossa, ma soprattutto serve a far capire cosa si dovrebbe e potrebbe fare. E che non si fa. Non si fa innanzitutto non, o almeno non solo, per via delle reazioni emotive che l’arrivo di tanti individui diversi da noi – per storia cultura comportamenti valori abitudini – produce. 
È che queste reazioni sono innanzitutto il frutto di una ben organizzata campagna promossa da chi ha interesse a suscitare paure. E cioè di chi sa bene di aver bisogno degli immigrati, ma li vuole illegali e perciò ricattabili appena cercano di far valere i loro diritti. Se non fosse così non si capirebbe come mai chi possiede imprese dovrebbe rifiutare gli immigrati sebbene tutti i dati ci dicano che, senza di loro, un continente come l’Europa (e ancor più l’Italia), in drammatica decrescita di popolazione, non ha speranza di veder aumentato il proprio Pil e nemmeno di colmare le casse dei fondi destinati al welfare. Forse, oltreché di reazioni psicologiche, bisognerebbe parlare di più di interessi di classe, vetusta locuzione ormai quasi illegale. 
Con pacatezza, Filippo Miraglia ci spiega che la spesa per il brutale respingimento è inutile e produce enormi sprechi; che sarebbe meglio generalizzare una cosa così sensata come l’allestimento di corridoi detti umanitari, anziché trasformare il Mediterraneo in un campo di battaglia e in un cimitero; che il flusso migratorio verso l’Europa non è poi così massiccio, una proporzione minima rispetto ai sessanta milioni di rifugiati che esistono nel mondo; che i paesi dell’Ue potrebbero assorbirla senza gravi problemi se solo, anziché ammucchiare i nuovi arrivati in luoghi ignobili sotto minaccia di rimpatrio, fossero decentrati sul territorio e affidati agli enti locali così come alle associazioni che operano sul territorio (come spesso già avviene) sì da facilitarne l’inclusione sociale ed evitare i guasti della logica concentrazionista gravemente dannosa per tutti. 
È quanto l’Arci e le associazioni con cui collabora (c’è ormai una stretta unità di intenti e di azione concreta fra organismi laici e religiosi che si muove in questo senso ) sta facendo fra mille difficoltà ma con ottimi risultati. E invece la logica governativa è di affidare questa materia così delicata e complessa in gran parte alle prefetture. come se si trattasse di disastri più imprevedibili di un terremoto. (Come stupirsi di «mafia capitale» e di tutto il malaffare che accompagnano gli appalti per la gestione delle strutture previste? Se la gestione non viene affidata alla collettività locale, a una rete sociale e politica, è naturale che prevalga il malaffare). Il testo contiene una quantità di informazioni e riflessioni su una materia di cui a tutti capita di discutere per via del peso acquisito nel contesto politico europeo, ma senza avere cognizione dei suoi precisi aspetti. Oltretutto, per via della giungla di norme in cui è immersa – a livello dei progetti Ue – apparentemente bellissime, se non fosse per il fatto che esse vengono puntualmente contraddette dalle pessime misure dell’emergenza. 
Ma il libro non si limita alla pur preziosa descrizione di quanto in concreto si fa e non si dovrebbe fare e su quanto di buono si riesce a realizzare nonostante tutto. È anche un testo denso di riflessione politica: sulla sinistra e come ha finito per marginalizzare il discorso sul tema: perché non può sbraitare come Salvini, ma non ha nemmeno il coraggio di proporre soluzioni. Finisce per tacere, accantonando il problema che viene abbandonato alla più becera propaganda. Ma c’è anche un riflessione, in larga parte nuova, sulla debolezza in Italia di una rappresentanza politica collettiva dei migranti come c’è invece i altri paesi europei. E uno scarsissimo ruolo attribuito dalle istituzioni alle associazioni che operano nella società civile. 
Nel libro si parla molto anche dell’Arci stessa, con molti accenti critici e autocritici, senza autoreferenzialismo. Informazioni preziose, perché l’Arci, con i suoi un milione e 100mila iscritti e i suoi 4.700 circoli distribuiti su tutto il territorio nazionale, non è solo la più grande organizzazione laica esistente nel nostro paese, è un pezzo stesso di questo paese. Prezioso per chi vuole ancora far politica.

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