venerdì 1 luglio 2016

Piove sul bagnato: il povero Corbyn accusato di antisemitismo finisce nel tritacarne

Risultati immagini per corbynIL PARAGONE DI CORBYN TRA ISRAELE E STATO ISLAMICO
Corriere della Sera  1 lug 2016 Paolo Salom
Talvolta è peggio la toppa del buco. Il leader (sfiduciato) del Labour britannico Jeremy Corbyn, ieri, si è ritrovato di nuovo in mezzo a una tempesta mediatica. Intervenuto alla presentazione di un rapporto interno sull’antisemitismo nel suo partito, Corbyn ha spiegato come «gli amici ebrei non possono essere ritenuti responsabili di ciò che fa Israele, o il governo Netanyahu, esattamente come gli amici musulmani non devono essere considerati responsabili di ciò che fa un qualche sedicente Stato Islamico o organizzazione». Alla domanda di un reporter se il suo fosse un paragone tra Israele e l’Isis, Corbyn ha risposto: «Naturalmente no». Ma ormai la frittata era fatta, tanto che persino il moderato Isaac Herzog, capo della corrispondente formazione politica nello Stato ebraico, ha subito chiarito come si sentisse «oltraggiato» da una simile spiegazione «scioccante» che dimostra «come Corbyn sia guidato da odio per Israele».
L’ironia dell’ennesimo scandalo che ha colpito il politico britannico, l’uomo che avrebbe dovuto riportare ai «giusti valori» il Labour «deviato» dai vari Blair, Brown e Miliband, è che con le sue parole desiderava davvero uscire dall’ambiguità che circonda nel Regno Unito il rapporto tra la sinistra e Israele. Diversi episodi di intolleranza nei confronti di deputati di origine ebraica, oltre alle accuse rivolte direttamente a Corbyn di contiguità con l’estremismo palestinese e islamico più ampio ( Hamas e Hezbollah definiti «nostri amici»), avevano consigliato l’apertura di un’inchiesta interna per far chiarezza e liberare il Labour dalla zavorra dei pregiudizi antisemiti. Il rapporto, elaborato nel giro di poche settimane, si chiude affermando che «sebbene occasionalmente ci siano atmosfere tossiche, il partito non è sopraffatto da antisemitismo, islamofobia o razzismo». Tutti assolti, palla al centro? L’uscita per lo meno incauta di Corbyn ha vanificato le migliori intenzioni. Ma se non altro ha avuto il pregio di portare alla luce un comune sentire, diabolicamente mimetizzato nel politicamente corretto.

Angela Eagle L’ex fedelissima di Corbyn che può sostituirlo e far volare il Labour
di Enrico Franceschini Repubblica 30.6.16
LONDRA. Sarà una donna a rilanciare la sinistra britannica? Tra i candidati che si accingono a sfidare Jeremy Corbyn per la leadership del partito laburista, al momento il favore del pronostico va ad Angela Eagle, 55 anni, deputata da un quarto di secolo, ministro nel governo Brown e pure in quello “ombra” dell’attuale capo del Labour, di cui sembrava una fedelissima, appartenendo a sua volta alla corrente più radicale del partito .
Ma lunedì si è dimessa, insieme alla maggioranza dei suoi colleghi, mettendo in moto il “golpe”, come lo chiamano i sostenitori di Corbyn, che ha portato al voto di sfiducia 172-40 nei suoi confronti da parte del gruppo parlamentare e ha spinto il leader sull’orlo del precipizio.
«Non sono una traditrice», replica lei. «Condivido molte idee di Jeremy. Ma la sua gestione del partito e il suo comportamento nella campagna per il referendum rendono chiaro che il suo tempo è scaduto ». Figlia di un tipografo dello Yorkshire, laurea a Oxford, una delle prime donne nella politica di questo paese a dichiararsi apertamente lesbica, Eagle (in inglese significa “aquila”) ha attraversato tutte le stagioni del recente laburismo: l’era di Tony Blair, di Gordon Brown, di Ed Miliband e ora di Corbyn. Predica la necessità di superare il distinguo tra blairisti e anti-blairisti per passare, casomai, al post-blairismo.
Si batte contro l’austerity e il gap ricchi-poveri quanto Corbyn, ma pare capire più di lui che, senza allargare il consenso, è impossibile vincere le elezioni e tornare al governo. «Ho detto a Jeremy che deve dimettersi, per il bene della sinistra», afferma.
Sono in tanti a dirglielo, a questo punto, compresi gli ex-leader Brown e Miliband. Il colmo è che glielo ha detto perfino David Cameron, nel dibattito di ieri alla camera dei Comuni, quando Corbyn ha cercato di addossare al premier la colpa della vittoria di Brexit nel referendum. «Se il gentiluomo che ho di fronte sostiene di avercela messa tutta nella campagna referendaria, vorrei vedere cosa fa quando non si impegna », è stata la prima stoccata del leader conservatore. Ma è la seconda che è finita su siti e social network. «Nell’interesse del mio partito, dovrei augurarmi che lei resti a lungo alla guida del Labour», ha ironizzato Cameron, «ma nell’interesse del paese mi lasci dire questo: “in nome del cielo, amico, dimettiti!” ». Se Corbyn non si dimetterà, nonostante il voto di sfiducia, alle primarie i suoi avversari si coalizzeranno probabilmente dietro un solo candidato: Angela Eagle.
Altrimenti scenderanno in campo anche altri, come l’ex-maggiore dei parà Dan Jarvis e un “figlio d’arte” quale Hilary Benn, il cui padre Tony fu il capostipite della sinistra del partito.
Potrebbe toccare a una donna, tuttavia, il compito di far volare di nuovo in alto il Labour. Come un’aquila. 

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