mercoledì 28 settembre 2016
Il mito della giovinezza nella cultura occidentale
Risvolto
Che età abbiamo? Quanti più argomenti si avanzano per affrontare questo
interrogativo in apparenza semplice, tanto più risulta difficile trovare
una risposta. Infatti, la nostra crescita avviene simultaneamente in
ambiti differenti: da un punto di vista biologico, psicologico, sociale;
cresciamo anche nella sfera più generale di una cultura, all’interno di
una storia che ci precede e che ci sopravvivrà. Osservati attraverso
queste prospettive, molti aspetti dell’epoca contemporanea sembrerebbero
suggerire che siamo più vecchi che mai; al contrario, Robert Pogue
Harrison ritiene che stiamo diventando sempre più giovani: nelle nostre
concezioni, nella mentalità, nei comportamenti. Viviamo, insomma, in
un’era di giovinezza. Spaziando brillantemente attraverso le culture e
la storia, la filosofia e la letteratura, questo libro ripercorre i modi
in cui gli spiriti della giovinezza e della vecchiaia hanno interagito
tra loro dall’antichità fino ai nostri giorni. Harrison mutua dal
linguaggio scientifico il concetto di neotenia, ossia il mantenimento di
caratteristiche giovanili anche nell’età adulta, e lo estende
all’ambito culturale, sostenendo che l’impulso giovanile è essenziale
per sviluppare un indirizzo innovativo nel campo della cultura e per
mantenere viva la genialità. Al tempo stesso, tuttavia, la giovinezza –
che Harrison vede protrarsi come mai prima d’ora – non può fare a meno,
per compiere la sua opera, della stabilità e della saggezza dei più
vecchi e delle istituzioni: «Se il genio libera le novità del futuro, la
saggezza eredita i lasciti del passato, rinnovandoli nel tempo stesso
in cui li tramanda». Vincitore negli Stati Uniti del prestigioso Bridge
Award nel 2015, L’era della giovinezza è una inebriante, raffinatissima
escursione, ricca di
idee e di spunti, che solo una penna acuta come quella di Robert Pogue
Harrison poteva concepire. Un libro da cui nessuno che sia alle prese
con
la diffusa ossessione della giovinezza potrà prescindere.
Come vivere a lungo per sempre giovani
Lo studioso Robert Pogue Harrison spiega perché la nostra riluttanza a invecchiare può favorire la cultura: senza però scordare il passato
VALERIO MAGRELLI Repubblica 25 settembre 2016
Ogni volta che ci imbattiamo in una parola nuova, racconta un adagio cinese, la vita si allunga di un giorno. È quello che deve essermi successo quando ho incrociato il termine “ageismo” (da ageism). Coniato nel 1969 dal gerontologo Robert N. Butler, indica le discriminazioni attuate nei confronti di una persona in base alla sua età. L’ho scoperto nel sito The House he built, che mostra un documentario sugli anziani centrato su Sergio Borelli, giornalista del Giorno, nipote di Aldo Borelli (direttore del Corriere della Sera) e padre della regista Caterina Borelli, autrice del progetto. È su tale sfondo concettuale che si colloca l’ultimo saggio di Robert Pogue Harrison, L’era della giovinezza. Una storia culturale del nostro tempo. Nato a Smirne nel 1954, docente di Letteratura italiana a San Francisco, Harrison è noto per libri a cavallo fra letteratura, filosofia e antropologia quali Foreste (Garzanti), Roma, la pioggia… A cosa serve la letteratura? (Garzanti), Il dominio dei morti (Fazi) e Giardini (Fazi). Anche questo volume spazia dall’antichità ai nostri giorni, a partire da una domanda sconcertante: «Noi, che età abbiamo? Con noi intendo quelli che appartengono all’età della giovinezza che è cominciata in America nel periodo postbellico e si è poi diffusa gradualmente verso est, in direzione contraria al tradizionale movimento della civiltà verso occidente, che in passato veniva definito translatio imperii ».
Fra i tanti temi del testo, spicca quello, mutuato dal linguaggio scientifico, della neotenia, relativo al mantenimento di caratteristiche giovanili anche nell’età adulta. Già elaborata da Giorgio Agamben in rapporto al linguaggio, la nozione (proposta nel 1920 da Louis Bolk e ripresa da Stephen Gould) conduce all’idea che l’evoluzione umana sia stata caratterizzata da un ritardo generale dello sviluppo. Siamo esseri che dedicano alla crescita una parte della vita ben più ampia (circa il 30%) di quanto non facciano gli altri animali. Da ciò provengono la nostra maggiore intelligenza e la nostra maggiore capacità di socializzazione, due caratteristiche che spiegano quella strategia di sopravvivenza specificamente umana detta “cultura”. Solo una creatura che abbia uno sviluppo enormemente ritardato, può affidarsi all’apprendimento più che all’istinto.
Morale: se il ritardo massimizza la nostra flessibilità adattativa, il nostro specifico genio di essere umani risiede nella nostra riluttanza crescere. Dunque, conclude Harrison, siamo la specie più intelligente e giovane delle altre. Una specie più intelligente proprio perché più giovane. Ma tutto ciò va bilanciato con la saggezza in quanto consapevolezza della morte: «È quando questi due elementi operano congiuntamente, e non l’uno contro l’altro, che la cultura umana fiorisce».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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