martedì 1 novembre 2016

Nemmeno l'umiliazione e la sottomissione più vili otterranno alla Palestina il riconoscimento dell'Impero




Abu Mazen: “Siamo contro la guerra Pronti a discutere i confini con Israele” 
Il presidente palestinese: “Confidiamo nei negoziati internazionali promossi dalla Francia” Oggi riceve Mattarella: “Con l’Italia ottimi rapporti, ora Renzi riconosca il nostro Stato” 

Busiarda 1 11 2016
Al centro della città palestinese più prospera e vivace c’è la Muqata dove, al secondo piano, poco distante dall’ex ufficio di Yasser Arafat, incontriamo il presidente palestinese Abu Mazen (Mahmoud Abbas). È circondato dai consiglieri, tiene la sigaretta elettronica in mano ed ha alle spalle la gigantografia della Moschea di Gerusalemme. Abbas spiega l’agenda negoziale che ha in mente per superare lo stallo con Israele: «L’iniziativa francese è la migliore e la proposta della Lega Araba è la più importante ma siamo aperti anche a possibili passi da parte dell’Italia». Il ruolo dell’America resta sullo sfondo perché il fallimento nel 2015 del negoziato condotto da John Kerry ha lasciato il segno. Abbas si dice disposto a «discutere di confini» con Israele, partendo dalla spartizione Onu del 1947, e non condivide le proteste contro la recente risoluzione dell’Unesco su Gerusalemme. Parla in coincidenza con l’incontro odierno con il presidente italiano, Sergio Mattarella, affermando «la volontà di cercare in ogni modo di porre fine al conflitto con Israele sulla base della formula dei due Stati». Anche perché, superata la boa degli 81 anni, è alle prese con la perdurante spaccatura con Hamas e gli incerti scenari di una possibile successione. 
Sul fronte negoziale vi sono oggi tre iniziative sul tavolo: quella della Lega Araba, l’offerta di Putin di ospitare colloqui diretti a Mosca e la proposta di una conferenza internazionale da parte della Francia. A quale crede di più?
«La proposta della Lega Araba è quella più importante. Prevede il riconoscimento di Israele da parte di 58 Paesi arabi e musulmani se porranno fine all’occupazione. Risale al 2002, noi la sosteniamo da allora, vi crediamo, perché può avere un impatto vasto, strategico, portando a una nuova atmosfera in tutta la regione. Riguardo alla Russia, quando il presidente Vladimir Putin ci ha invitato a Mosca io sono andato mentre il premier israeliano Benjamin Netanyahu non si è presentato. La proposta migliore è tuttavia, a mio avviso, quella francese perché ha una natura internazionale come quella che ha portato all’accordo con l’Iran sul programma nucleare. La cornice internazionale dà migliori garanzie perché lunghi anni di negoziato bilaterale con Israele non hanno prodotto risultato concreto. Anche l’amministrazione americana sostiene l’iniziativa francese. Al primo appuntamento a Parigi, ospitato dal presidente Hollande, non siamo andati né noi né gli israeliani ma si è creata la cornice internazionale adatta alla partecipazione di entrambi». 
A suo avviso da dove nasce la difficoltà a raggiungere un’intesa finale sul conflitto con lo Stato di Israele?
«Noi siamo per i due Stati, per la pace, contro la violenza armata, per l’iniziativa araba e per quella francese, ciò che manca lo deve chiedere al premier Netanyahu. Siamo per la fine dell’occupazione con il ritiro di Israele ai confini del 1967 perché nel 1947 le Nazioni Unite assegnarono ai palestinesi solo il 22 per cento del territorio dell’allora Palestina. L’attuale situazione è insostenibile perché non c’è contiguità fra le aree che controlliamo e non abbiamo infrastrutture fondamentali come ad esempio un aeroporto internazionale. Ma sono pronto a discutere con Netanyahu su dove correranno i confini. Siamo aperti, vogliamo arrivare a un’intesa e rifiutiamo la violenza. Gli israeliani ora affermano che vogliono prima il riconoscimento come Stato ebraico ma in precedenza chiedevano altre cose».
Lei sta per incontrare il presidente Mattarella, cosa vi aspettate dall’Italia?
«Con l’Italia abbiamo un rapporto di antica amicizia e collaborazione. L’Italia ci dà un importante contributo per il sostegno economico al nostro Stato. Abbiamo posizioni convergenti su molti argomenti e condividiamo la soluzione dei due Stati. Certo, il vostro Parlamento si è detto a favore del riconoscimento della Palestina e dunque ci aspettiamo che il governo di Matteo Renzi lo faccia. Con Renzi i rapporti sono ottimi e se l’Italia dovesse avanzare una sua iniziativa per arrivare alla conclusione dell’occupazione e del conflitto, la prenderemo molto seriamente. Incontrerò il presidente Mattarella a Betlemme, dove abbiamo contribuito al completamento dei lavori per il restauro della Basilica della Natività nel quadro della nostra stretta collaborazione con il Vaticano, confermata dal fatto che loro ci riconoscono come Stato».
Il presidente israeliano Reuven Rivlin afferma di vedere nella confederazione «fra due entità, con confini aperti» una possibile formula di convivenza duratura fra israeliani e palestinesi. Lei cosa ne pensa?
«Prima bisogna arrivare all’accordo sui due Stati, poi si potrà discutere di una eventuale confederazione fra Palestina e Israele. In tale prospettiva comunque la questione destinata a porsi sarà quella della sicurezza e noi siamo da tempo a favore dello schieramento di contingenti della Nato nelle aree più critiche».
Uno degli ostacoli più difficili con Israele resta il futuro di Gerusalemme. La risoluzione dell’Unesco che nega i legami fra la città e l’ebraismo ha suscitato vivaci proteste. Cosa ne pensa?
«Noi riteniamo che Gerusalemme appartenga a tutte e tre le grandi religioni: islam, cristianesimo ed ebraismo. Non capisco in verità tutto lo scalpore causato dal voto dell’Unesco perché non si è trattato di una risoluzione di tipo politico, il testo ha trattato solo alcuni aspetti archeologici».
L’Europa e Israele si sentono minacciate dal terrorismo di Isis che, con più video e dichiarazioni, si è scagliato anche contro di voi. Cosa pensa di tale minaccia, quale è la sua origine e come può essere sconfitta?
«Isis è contro di noi, contro Israele e contro di voi perché proviene da elementi religiosi. La sua genesi è il fondamentalismo che deve essere combattuto e sconfitto. Purtroppo in alcuni Paesi arabi non lo affrontano. Noi in Palestina lo combattiamo».
Come legge gli sconvolgimenti in corso all’interno del mondo arabo e l’indebolimento progressivo degli Stati nazionali?
«Alcuni Stati hanno problemi politici interni che non affrontano. Dal 2011 in Tunisia, Siria e Libia abbiamo visto quali sono le conseguenze di tale mancanza di azione. Più volte ho detto personalmente a molti leader di Paesi arabi di affrontare con urgenza tali problemi interni».
A ben vedere anche lei ha problemi interni. Le elezioni amministrative palestinesi non si sono potute svolgere a causa delle perduranti divergenze con Hamas. Ha un piano per risolverle?
«Sono appena stato in Turchia e poi in Qatar, dove ho visto anche Khaled Mashaal e Ismail Haniyeh, leader di Hamas. Ho cercato la formula di un’intesa internazionale, avanzando proposte concrete per far svolgere su tutti i territori palestinesi, tanto in Cisgiordania che a Gaza, elezioni trasparenti. Ma non le hanno accettate».
Cosa c’è alla base del contrasto con Hamas?
«Il fatto che non abbiamo sostenuto le loro guerre con Israele nel 2006, 2008 e 2014. Siamo contro gli attentati, il terrore e i lanci di missili contro Israele come, certo, siamo anche contro i bombardamenti israeliani su Gaza. Loro perseguono la violenza, noi no».
Eppure anche in Cisgiordania avvengono violenze contro Israele, quale è l’origine dell’«Intifada di Al Aqsa»?
«Hamas prova ad entrare in Cisgiordania ma facciamo di tutto per fermarli. Abbiamo a tal fine una collaborazione di sicurezza con Israele a cui tengo molto e che funziona assai bene. Li combattiamo perché non vogliamo la loro violenza».
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“Il governo italiano riconosca la Palestina l’Europa può aiutare il percorso di pace” Il presidente dell’Anp: “Stiamo lavorando alla riconciliazione con Hamas. Israele accetti l’iniziativa diplomatica della Francia” Ribadisco la nostra posizione su Gerusalemme: è santa per i cristiani, per gli ebrei e i musulmani Non vogliamo che il governo italiano abbia la nostra stessa linea, ma che sia equidistante tra noi e Israele Netanyahu non mi voleva ai funerali di Peres, ma io sono andato lo stesso perché lui era per il dialogo con noiFABIO SCUTO Rep 1 11 2016
RAMALLAH. Una politica equidistante e un convinto appoggio alla Conferenza di Pace che la Francia sta cercando di organizzare per facilitare la ripresa del negoziato in Terrasanta. Prova a sorridere mentre parla dell’Italia il presidente palestinese Abu Mazen che oggi a Betlemme incontrerà il presidente Sergio Mattarella, si dibatte in difficoltà che sembrano segnare il crepuscolo di un’epoca. Dodici anni di presidenza senza nessun progresso sostanziale nelle trattative ne hanno intaccato l’immagine, ma anche la stabilità dell’Anp è in bilico. Delusi dalla posizione americana, i palestinesi ora guardano più all’Europa. «Diversi Paesi hanno riconosciuto lo Stato Palestinese, come la Svezia e il Vaticano, ci sono anche 12 parlamenti nazionali, compreso quello italiano, che hanno chiesto ai propri governi di riconoscere il nostro Stato», dice il presidente seduto nel suo ufficio alla Muqata, «chiediamo che ora che questi governi, compreso quello di Roma, riconoscano la Palestina ».
Signor Presidente c’è molta ansia per il futuro di questa terra. Vista da fuori l’Anp sembra prossima al collasso: dissenso, faide interne, stallo del negoziato di pace. Non si fanno le elezioni e lei non ha un delfino. Come pensa che andrà a finire?
«Le cose viste dall’esterno sono diverse, ci sono problemi come in tutti i Paesi sotto occupazione, abbiamo problemi economici. Per quanto riguarda le elezioni, continuiamo a discutere con Hamas perché si voti in tutto il territorio palestinese».
E quando possiamo prevedere queste elezioni presidenziali?
Il suo mandato è scaduto da tempo… «Prima di tutto il congresso di Fatah il mese prossimo, poi Consiglio nazionale palestinese, ma per le elezioni dobbiamo aspettare di poter votare in tutta la Palestina, in accordo con Hamas».
Il tango si balla in due presidente e Hamas non sembra intenzionato… «Se Hamas non vuole ballare questo tango, ( sorride) non ci saranno
danze».
Lei pensa davvero che un giorno Gaza tornerà sotto il controllo dell’Anp?
«Noi diciamo niente Stato palestinese senza Gerusalemme e Striscia di Gaza, per questo stiamo lavorando a una riconciliazione con Hamas. Tre giorni fa in Qatar ho incontrato sia Ismail Haniyeh che Khaled Meshaal (i leader di Hamas, ndr), e continueremo questo dialogo attraverso il Qatar».
La soluzione dei due Stati al momento è più lontana che mai, al punto di apparire un’illusione.
«È sempre nella nostra agenda, come in quella dell’Onu: uno Stato palestinese entro i confini del 1967; noi siamo pronti a una soluzione politica ecco perché sosteniamo anche l’iniziativa del presidente Hollande di organizzare una conferenza internazionale che ci possa aiutare ad andare verso questa soluzione».
Voi volete l’internazionalizzazione di questo negoziato, Israele invece preferisce una trattativa bilaterale come avvenne per Oslo… «Non abbiamo preclusioni, io sono anche per un negoziato diretto. Posso fare anche un esempio: quando Putin ha invitato me e Netanyahu l’8 settembre scorso a Mosca per un dialogo diretto. Io ho detto subito sì, è Netanyahu che s’è tirato indietro».
La famosa risoluzione dell’Unesco non è stato un clamoroso autogol?
«No, non è stato un autogol. L’Unesco parla di Storia e Cultura non di politica o di religione. Voglio ribadire ancora una volta la nostra posizione: Gerusalemme è santa per tutte e 3 le religioni, cristiani, ebrei e musulmani. Quando dico che Gerusalemme Est deve essere aperta a tutte le religioni, dov’è il problema? L’Unesco parla solo di siti archeologici ».
Lei davvero crede che un giorno gli Usa smetteranno di usare il diritto di veto all’Onu sulle risoluzioni che condannano Israele?
«No, purtroppo gli Usa useranno sempre il diritto di veto all’Onu. Chiediamo ogni volta all’America di non farlo, di non essere di parte se vuole avere un ruolo più importante. Gli Usa devono imparare dall’Europa che ha con decisione condannato gli insediamenti che continuano ad essere costruiti in Cisgiordania. Diversi Paesi hanno riconosciuto lo Stato palestinese, come la Svezia e il Vaticano, ci sono anche 12 parlamenti nazionali, compreso quello italiano, che hanno chiesto ai propri governi di riconoscere il nostro Stato, chiediamo che ora che questi governi, compreso quello di Roma, riconoscano la Palestina».
Se Netanyahu fosse seduto qui ora cosa gli direbbe?
«Vorrei dirgli se non vuoi una soluzione politica per la Palestina: cosa vuoi? Vuoi che la Palestina diventi com’era il Sudafrica, vuoi uno Stato solo o due Stati? Noi crediamo nella soluzione dei due Stati. Adesso c’è questa iniziativa diplomatica della Francia, ma lui rifiuterà anche l’invito francese, io ho preso un’iniziativa personale quando sono andato ai funerali di Peres. Netanyahu non voleva che io andassi, non mi ha invitato, sono andato ai funerali per dire al popolo israeliano: noi siamo per la pace e con la politica di dialogo di Peres».
Nell’arco degli ultimi 15-20 anni la politica italiana in Medio Oriente ha preso un profilo diverso dai tempi di Moro, Andreotti e Craxi. Oggi governa la sinistra e le posizioni non sono più le stesse. Lei ha avvertito questo cambio di passo?
«I rapporti sono ottimi, il governo italiano ci sostiene e ci finanzia, voglio citare l’esempio positivo del restauro della Natività. Noi non vogliamo che il governo italiano abbia la nostra stessa linea, ma chiediamo che l’Italia sia equidistante fra noi e Israele: se noi sbagliamo vogliamo che l’Italia ci dica “avete sbagliato” e che faccia lo stesso con Israele. Non chiediamo altro».

Mattarella elogia Israele che progetta annessione colonie
Israele. Il presidente italiano ribadisce l'alleanza stretta tra Roma e Tel Aviv mentre alcuni ministri israeliani invocano l'annessione immediata delle colonie ebraiche in Cisgiordania di Michele Giorgio il manifesto 1.11.16
GERUSALEMME Acqua passata. È già alle spalle la vicenda della «punizione divina» che il vice ministro israeliano Ayoub Kara aveva visto nei terremoti che hanno colpito il nostro Paese “colpevole” di non aver votato contro le recenti risoluzioni dell’Unesco su Gerusalemme Est. Tra Italia e Israele è amore, passione, complicità, comprensione. Un amore travolgente che, come accade in questi casi, rende ciechi e porta Roma a perdonare tutto a Tel Aviv. E a non vedere più l’occupazione dei Territori palestinesi, la violazione e la negazione di diritti, le continue attività di espansione delle colonie israeliane. Lo testimoniano le parole del primo ministro Renzi, unico dei principali leader europei a sconfessare apertamente il mese scorso il voto dell’Unesco sullo status di città occupata di Gerusalemme Est. Lo confermano le dichiarazioni fatte ieri e domenica dal presidente Mattarella in visita ufficiale di quattro giorni in Israele e, in misura limitata, nei Territori palestinesi occupati. «I rapporti tra Italia e Israele affondano radici in tempi antichi. Si tratta di una lunga storia comune. Sono rapporti straordinari sul piano bilaterale…Adesso dobbiamo guardare al futuro anche con maggiore ambizione… Israele con la sua democrazia così forte e vitale costituisce un modello per tutta la regione», ha detto ieri Mattarella incontrando a Gerusalemme il capo dello stato israeliano Reuven Rivlin. Domenica il presidente italiano aveva condannato con forza, definendolo «inammissibile», il boicottaggio di Israele.
Mentre Mattarella proseguiva l’elogio sperticato di Israele, esponenti di primo piano del governo Netanyahu erano impegnati a silurare definitivamente la soluzione dei “Due Stati” che pure il presidente italiano ha detto, di nuovo ieri, di sostenere per il futuro del Medio Oriente. La vice ministra degli esteri Tzipi Hotovely, del partito di maggioranza Likud, e il deputato ultranazionalista Betzalel Smotrich, hanno avviato una campagna per l’annessione immediata a Israele delle colonie ebraiche in Cisgiordania, a cominciare dalla più grande, Maale Adumim (37mila abitanti), pochi chilometri a est di Gerusalemme. «La risposta alla lotta internazionale su Gerusalemme è la sovranità (israeliana) su Maale Adumim. In questo modo Gerusalemme rimarrà per sempre unita», ha affermato Hotovely durante una manifestazione organizzata da Yesha, il consiglio delle colonie. La vice ministra degli esteri ha esortato il governo a prendere «una decisione storica». Gli insediamenti ebraici «non sono un figliastro ma un primogenito molto importante per il popolo di Israele», ha aggiunto «consulenti legali e pressione internazionale non decideranno ciò che per noi è una questione fondamentale». A sostegno di Hotovely e Smotrich si sono schierati il ministro Naftali Bennett, leader del partito Casa Ebraica, che da giorni inonda la rete di appelli ad annettere la Cisgiordania o gran parte di essa, e un altro ministro, Haim Katz.
L’annessione di Maale Adumim – che incontra crescenti sostegni – e nuove costruzioni israeliane nella adiacente striscia di terra strategica nota con il nome di E1, taglierebbero la Cisgiordania in due parti rendendo impossibile ogni residua possibilità di realizzare uno Stato di Palestina con un territorio omogeneo. Inevitabile la reazione palestinese. Il segretario dell’Olp Saeb Erekat, attraverso il suo portavoce Xavier Abu Eid, ha commentato che la campagna avviata da Hotovely, Katz, Smotrich e Bennett, conferma la mancanza di serietà dei leader israeliani nei confronti della soluzione dei “Due Stati”. 

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