sabato 4 marzo 2017

Università dilaniata tra tecnocrati e cognitari


Ebook Università futura. Tra democrazia e bit De Martin, Juan CarlosJuan Carlos De Martin: Università futura. Tra democrazia e bit, Codice edizioni

Risvolto
Abbiamo di fronte cinque sfide da cui dipende il futuro dell'umanità: ambientale, tecnologica, economica, geopolitica e democratica. Sfide a cui si aggiunge, per noi italiani, quella rappresentata dal futuro sempre più incerto del nostro paese. Su quali principi dovrebbe basarsi l'università per aiutare la società ad affrontare questi problemi? Più in generale, cosa potrebbe fare per le persone e la conoscenza? Quali metodi, quali aspetti è bene che restino invariati, e quali potrebbero invece beneficiare della rivoluzione digitale? Dopo oltre vent'anni focalizzati sugli aspetti economici della missione dell'università, è ora di riscoprirne le radici umaniste e di portarle nel ventunesimo secolo. Juan Carlos De Martin propone un'idea di università pensata per tutti coloro che hanno a cuore il futuro del nostro paese, in particolare per i ragazzi e le ragazze nati all'inizio del millennio.


L’indifferenza «di sistema» che soffoca l’agorà del sapere 
Andrea Capocci Manifesto 3.3.2017, 19:43 
Dei mali dell’università italiana si torna a parlare periodicamente. Nepotismo e scarsi finanziamenti sono un problema reale. Ma sono conseguenze della crisi di identità dell’università, non la causa prima. Senza restituire all’università una funzione adatta al contesto che ci attende, non sarà possibile debellare questi mali. Questa la sintesi dell’ultimo saggio di Juan Carlos De Martin, che al Politecnico di Torino si occupa di diritto e informatica – è uno dei creatori delle licenze Creative Commons. Università futura. Tra democrazia e bit (Codice edizioni, pp. 236, euro 16) ) contiene però altro: proposte di riforma che vanno in tutt’altra direzione rispetto al coro dominante. 
Il rischio dell’inutilità è reale: nessuno sembra più sapere cosa fare dei nostri atenei. Non la politica, che vi investe risorse ridicole: 6,5 miliardi di euro per 65 atenei, contro i 26 della Germania. Colpa anche della scelta di ridurre, invece che ampliare, l’offerta formativa: oggi, l’Italia ha 1,6 atenei ogni milione di abitanti: in Germania sono 4, in Francia e Usa più di 8. Secondo l’Ocse, raddoppiarle produrrebbe un +4% del Pil. 
NON FA IL TIFO per l’università nemmeno l’industria, col suo modello «basato, ora più che mai, sui bassi salari e su un tasso di tecnologia medio-basso». Figurarsi gli studenti: cui si chiede un contributo sempre più elevato. L’università italiana è ormai la terza più costosa d’Europa, dopo quelle inglese e olandese. 
L’università attira ancora studenti perché un laureato guadagna di più, anche in Italia. Ma ridurre lo studio a un investimento mina la ragion d’essere dell’università pubblica. Secondo De Martin, «se studiare si riduce a essere solo un beneficio privato allora diventa razionale chiedere al beneficiario di sostenere i relativi costi pagando tasse universitarie elevate, eventualmente indebitandosi se la famiglia non ha mezzi sufficienti». Sottomettere l’università alle ragioni dell’economia, soprattutto di quella italiana, non sembra dunque un buon affare. È necessario ripensare l’autonomia dell’università, diversa dall’autonomia delle università di cui si straparla sin dalle riforme degli anni Ottanta. Sottrarre l’università alla logica del mercato non significa renderla improduttiva: «l’enfasi sull’utile, invece, tende a produrre conoscenza poco originale, non cambi di paradigma». È significativo che a dirlo non sia un «apocalittico», ma un «integrato» come De Martin, che al Politecnico ha fondato il centro Nexa per far incontrare informatici, giuristi e intellettuali. 
L’UNIVERSITÀ SOPRAVVIVERÀ se saprà re-inventarsi come coscienza critica della società. Un processo che riguarda anche la sua organizzazione interna. La ricattabilità dei ricercatori precari, per esempio, è nemica dell’autonomia. «Sarà proprio la tenure (la tutela contro i licenziamenti per ragioni ideologiche, n.d.r.) una delle caratteristiche che nel secondo dopoguerra renderà grande e influente in tutto il mondo il sistema universitario americano», sostiene De Martin. 
L’ALTRO ERRORE storico commesso dall’università italiana è quello della specializzazione precoce. Una volta scelta la facoltà, uno studente ha ben poco da scegliere. «Il laureato italiano sarà in media (…) a digiuno di metodo scientifico e di comprensione della scienza e della tecnologia se un umanista, e fortemente ingenuo delle dinamiche sociali, politiche e storiche se laureato in scienza o tecnologia (…) Gli studenti americani hanno una libertà di seguire i corsi che preferiscono che non ha paragoni rispetto all’Italia». Una libertà che sempre più spesso coincide con quella dei ricercatori di condividere i risultati delle loro ricerche oltre le barriere di brevetti e copyright.

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