sabato 15 aprile 2017
L'egemonia digitale è egemonia del capitale sul lavoro: Renato Curcio
Si può parlare di queste cose anche senza essere negrieri o foucaultiani o negrieri e foucaultiani al tempo stesso, per fortuna [SGA].
Risvolto
Il percorso di un cantiere socioanalitico sui modi in cui l'impero virtuale cerca di costruire la sua capacità egemonica nel mondo del lavoro. Ripercorrendo la micro-fisica dei processi innescati dai dispositivi digitali che mediano l'attività lavorativa - smartphone, piattaforme, sistemi gestionali, registri elettronici - si esplorano alcune metamorfosi radicali che, mentre rovesciano il rapporto millenario tra gli umani e i loro strumenti, sconvolgono ciò che fino a ieri abbiamo chiamato "lavoro". Alcuni territori chiave - la digitalizzazione della scuola, della professione medica, dei servizi, dei trasporti condivisi, dei grandi studi legali e delle banche assunti come analizzatori, ci raccontano l'impatto trasformativo delle nuove tecnologie e il disorientamento dei lavoratori. Ma fanno anche emergere le linee liberticide su cui questo processo procede: la cattura degli atti, la dittatura dei dati, il trionfo della quantità e le narrazioni sostitutive con cui esso si racconta. Analizzando le tendenze - l'autismo digitale, l'obesità tecnologica, l'ethos della quantità, lo smarrimento dei limiti - ci si interroga sulla differenza tra progresso sociale e progresso tecnologico.
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Esistenze individuali e collettive ridotte a successioni di numeri
Alberto Giovanni Biuso Manifesto 14.4.2017, 18:35
Si intitola L’egemonia digitale. L’impatto delle nuove tecnologie nel mondo del lavoro (Sensibili alle foglie, pp. 143, euro 16) ed è il nuovo libro di Renato Curcio. A essere analizzati sono numerosi e diversi ambiti professionali: varie forme di lavoro subordinato, gli studi professionali, le banche, le scuole, gli ospedali, gli studi medici posti al servizio di un «processo che vede sempre più la salute ridotta a pacchetti di prestazioni che sono vendibili, quindi ridotta a merce», i trasporti pubblici e privati.
LO SQUILIBRIO tra tecnologie di controllo dallo sviluppo velocissimo e la consapevolezza sociale del loro significato e dei loro effetti, che procede invece lentamente, genera relazioni e strutture collettive caratterizzate da un dominio della quantità, che «non sa che farsene del pensiero critico, della soggettività inventiva, dell’epistemologia indisciplinata e dell’immaginario creativo, beni assai più rilevanti per la nostra specie di quello in realtà più modesto, anche se attualmente idolatrato, dell’innovazione capitalistica».
SI TRATTA di un vero e proprio Dataismo, come lo ha chiamato Byung-Chul Han, per il quale l’esistenza individuale e collettiva deve trasformarsi in dato numerico, in informazione quantitativa, in una vera e propria ideologia della misurabilità.
LA DISSOLUZIONE del non misurabile, della qualità, delle sfumature, delle relazioni, induce chi insegna a diventare voce narrante di supporti audiovisivi e conduce l’intero corpo sociale alla distanziazione tra gli individui anche quando essi sono fisicamente vicini, porta a una chiacchiera informe sui social, alla sterilizzazione anaffettiva dei «mi piace», alla indifferenza mascherata da contatto e veicolata dagli algoritmi della Rete.
L’obesità tecnologica sprofonda nella perdita della condivisione e del suo calore, nella schiavitù trasparente generata in Italia dal cosiddetto Jobs Act, che cancellando l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori ha invaso ogni attività professionale di strumenti come bracciali, cellulari, badge, smartphone aziendali, talmente onnipresenti da imporre un dominio sulle persone che mai è stato così pervasivo del tempo e invasivo dei corpi, diventati trasparenti e sottoposti a un controllo senza intervalli.
LA COLONIZZAZIONE dell’immaginario scandisce un progresso tecnologico che si fa nemico del progresso sociale. La complessità di tali dinamiche rende insufficiente per Curcio risposte tecnofobe o tecnofile, ogni uso «buono» o «cattivo» delle tecnologie digitali poiché, ancora una volta, «non sono le ‘tecnologie’ in quanto tali a costituire la minaccia bensì la loro determinazione proprietaria».
COME OGNI FORMA di dominio, anche l’algocrazia -il potere degli algoritmi che osservano, controllano, determinano le vite- non è una questione in primo luogo tecnologica ma sempre e profondamente politica.
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