domenica 14 gennaio 2018

Tradotto il carteggio tra Hannah Arendt e Günther Anders. Angelicizzazione di una guerriera fredda

Risultati immagini per Scrivimi qualcosa di te. Lettere e documentiHannah Arendt e Günther Anders: Scrivimi qualcosa di te. Lettere e documenti, a cura di Nicola Zippel, Carocci, pagg. 194, euro 24

Risvolto
Il volume presenta per la prima volta lo scambio epistolare che Hannah Arendt e Günther Anders ebbero tra il 1939 e il 1975, insieme ad alcuni testi che i due pensatori redassero insieme o in cui trattarono tematiche comuni. Sia le lettere sia i testi fanno emergere la relazione personale e intellettuale dell’ex coppia di sposi e gettano una luce su alcuni illustri contemporanei come Walter Benjamin, Theodor W. Adorno e Martin Heidegger. Il libro è anche una preziosa testimonianza del processo di espulsione, fuga ed emigrazione degli intellettuali ebrei dalla Germania nazista.
Questo carteggio avvincente è al contempo un diario introspettivo, un saggio letterario e un dialogo filosofico tra due grandi figure del Novecento il cui pensiero, per chi tenti di interpretare l’attualità, rappresenta un indispensabile punto di orientamento. Di qui l’importanza delle lettere […] e dei testi acclusi.
Sia per Hannah Arendt che per Günther Anders le lettere non sono un documento ulteriore, una testimonianza privata. Vita e filosofia sconfinano, per entrambi, l’una nell’altra. La riflessione filosofica traspare ovunque, anche nell’intervento giornalistico, nella recensione di un romanzo, e d’altra parte la vita è improntata alle idee, alle convinzioni, alle speranze. Si tratta, poi, di due filosofi che pensano quasi ad alta voce, in uno scambio incessante con gli altri. E la corrispondenza lo prova.
Nel caso di Arendt si può ormai dire, dopo la pubblicazione di gran parte dei suoi carteggi […] che certo anche l’esilio, quella lunga esistenza nomade, la costrinse a scrivere una enorme quantità di lettere – se non avesse voluto rinunciare all’intreccio di rapporti affettivi e intellettuali, in cui si era andata articolando la sua esistenza tra una sponda e l’altra dell’Oceano. Diversamente stanno le cose per Anders, scrittore non meno prolifico, ma umanamente più introverso, più incline a interrompere vincoli e relazioni, anche amicizie di vecchia data.
Non è quello che avviene nel rapporto con Arendt, durato tutta la vita. Il carteggio, che va dal 1939 al 1975, sebbene incompleto (dato che alcune lettere sono andate per sempre perdute), apre un nuovo capitolo nella storia del loro legame sentimentale, della loro complicata convergenza filosofica. Quel che colpisce, forse perché inattesa, è l’evidente asimmetria, la disparità tra i due, l’amore non ricambiato. Günther non sarà mai quel che Hannah è per lui – sempre sino alla fine, sino all’ultima lettera.
[…]
Compare Heidegger nel carteggio? Solo due volte, due rapide battute polemiche. Arendt scrive il 31 maggio 1958 a Anders, che lei ritiene letteralmente fissato con il tema dell’atomica: «Parleremo a voce della morte nucleare. Il fatto che Heidegger si sia accodato non mi sorprende neanche un po’». Lui replica piccato: «La tua osservazione [...] mi rimane incomprensibile nella sua nuda fatticità».
Convergenza filosofica, ma cammini paralleli, che sembrano non toccarsi. Rari e sporadici i rinvii reciproci, quasi casuali. Arendt scorge lo scandalo della modernità nell’universo concentrazionario, dove per la prima volta, con un esperimento senza precedenti, l’uomo è stato trasformato in non-uomo, Anders lo riconosce invece nell’annientamento totale dell’esistenza umana mediante l’atomica. Questa, certo, è un’importante differenza. Né si possono dimenticare le critiche, spesso implicite, rivolte da Anders sia al concetto di «totalitarismo» sia a quello di «banalità del male». Eppure molte sono le affinità che li uniscono: non solo i temi affrontati, ma anche l’accento critico, il timbro appassionato, lo stile quasi giornalistico e quell’orizzonte politico della loro fenomenologia.


Arendt-Anders, l'amore va preso con filosofia

Il loro matrimonio fu una simbiosi intellettuale spezzata dalle diversità di pensiero. E dal nazismo 
Giornale Marino Freschi - Ven, 05/01/20181


Dopo il divorzio di storia e politica 
Carteggi. Più che la biografia di un pensiero sempre imperativamente vicino alla realtà del tempo, le lettere tra Hannah Arendt e Günther Anders indicano una stagione della filosofia tedesca

Luca Crescenzi Alias Domenica 31.12.2017, 6:00 
Nell’immaginario monoteista – scriveva Hannah Arendt tra i frammenti per il suo libro incompiuto Che cos’è la politica? – può esistere un solo tipo umano fatto a somiglianza di Dio, ma questa idea contraddice l’evidenza della pluralità umana, che è poi il terreno su cui sorge la politica come prassi di mediazione e conciliazione delle differenze. Per questa ragione l’occidente ha concepito l’idea mostruosa di una storia universale in cui l’umanità intera si riduce nuovamente a un unico individuo plurale, mettendo radicalmente in discussione la libertà del singolo e cercando di barattarla con la visione falsamente rassicurante della necessità storica. 
È cosa nota che proprio in difesa della differenza e contro il potere omologante delle idee universali Hannah Arendt ha scritto per tutta la vita. Ma la corrispondenza scambiata nel corso di quattro decenni con Günther Anders, il filosofo e scrittore che fu tra il 1929 e il 1936 il suo secondo marito – e che appare ora in italiano con il titolo Scrivimi qualcosa di te Lettere e documenti, insieme ad alcuni testi significativi redatti a quattro mani o nati da un evidente scambio di idee (Carocci, a cura di Kerstin Putz, traduzione di Nicola Zippel, pp. XV-193, euro 24,00) – documentano snodi decisivi di quella vita e il prendere forma del pensiero di Hannah Arendt dal confronto, diventato presto esistenziale, con la forza schiacciante di una storia abbandonata dalla politica e in balia dell’idea totale di se stessa. 
Dalla fuga all’esilio
Sono perciò rilevanti, non solo dal punto di vista autobiografico, le lettere degli anni 1939-41 (si sono conservate solo quelle di Hannah Arendt) che testimoniano i primi, durissimi tempi della fuga e dell’esilio, l’impegno della filosofa a favore dei suoi amici e familiari bloccati nel limbo europeo e braccati dalle norme introdotte dal regime di Vichy, e gli sforzi, mai interrotti, di continuare il suo lavoro filosofico anche e proprio nelle condizioni più difficili. 
Più ancora che la biografia di un pensiero sempre, imperativamente, vicino alla realtà del tempo e dei luoghi in cui nasce, le lettere e i documenti che le accompagnano testimoniano infatti di un duplice percorso filosofico che, muovendo da analoghi presupposti, giunge a risultati solo apparentemente lontani e, in realtà, paradigmatici per tutta una stagione della filosofia tedesca. Günther Anders e Hannah Arendt hanno avuto percorsi formativi simili: entrambi sono cresciuti filosoficamente nello spirito della fenomenologia e della nascente filosofia dell’esistenza avendo per maestri diretti o indiretti Husserl, Heidegger e Jaspers; e entrambi hanno condiviso lo sforzo della generazione di Weimar di individuare un possibile punto di congiunzione fra filosofia e sociologia come via di mediazione fra assolutezza della ricerca filosofica delle verità e determinazione situazionale della conoscenza. 
Fra i documenti più rilevanti contenuti in questa edizione delle lettere ci sono le due recensioni parallele di Arendt e Anders a Ideologia e utopia di Karl Mannheim, uno dei libri decisivi per l’orientamento di quella che sarebbe diventata la coscienza filosofica degli intellettuali tedeschi in esilio e che – negli stessi anni – veniva recensito anche da Horkheimer, Krakauer, Marcuse e Tillich.
Nelle due recensioni (e specialmente in quella nettamente più solida dal punto di vista sistematico di Hannah Arendt) colpisce lo sforzo di salvaguardare la filosofia dalle relativizzazioni sociologiche di Mannheim, in nome della difesa del singolo e del suo diritto a riflettere distinguendosi intellettualmente dalla condizione storicamente determinata del «soggetto collettivo». 
I riferimenti a Benjamin
«Il singolo esiste non solo associato a questo soggetto – scrive Arendt – (…), ma anche «in una indipendenza, che nasce quando non si trova in sintonia con l’essere sociale a cui appartiene». È una rivendicazione già perfettamente elaborata della posizione che la filosofia di Hannah Arendt e di Anders rivendicherà nei decenni seguenti: prima nella rappresentazione del pensiero totalitario e dei suoi meccanismi di condizionamento, poi nelle riflessioni sulla realtà della tecnica e sulle trasformazioni che la bomba atomica produce sulla percezione stessa della condizione dell’uomo come homo faber. 
Esiste infatti – scrive ancora Arendt nella sua recensione – la possibilità di sottrarsi alle condizioni della società e della storia in un’indipendenza spirituale che permette all’individuo di «vivere nel mondo, essendo tuttavia determinato da una trascendenza che si dà come ciò che non è realizzabile sulla terra» e che produce trasformazioni reali: «Così, ad esempio, Max Weber (…) ha dimostrato come un determinato essere pubblico (il capitalismo) sorga da un modo determinato di isolamento e dalla sua autocomprensione (il protestantesimo)». 
Sebbene in modi diversi, Arendt e Anders sarebbero rimasti sempre legati a questa visione del pensiero «dissidente» e dell’antagonismo produttivo dello spirito «apolide», estraneo al mondo e alla fin troppo solida realtà del soggetto sociale. Non per nulla nelle lettere e nei testi di questa piccola ma preziosa raccolta tornano con insistenza i riferimenti a Walter Benjamin (che di Anders era cugino di secondo grado).
E se nelle lettere del ’39-’40 è la sua situazione esistenziale a interessare i due esuli, in quelle successive alla sua morte è la preoccupazione per le sorti del suo lascito e della sua eredità intellettuale a occupare i loro pensieri. 
Hannah Arendt, che aveva ricevuto da Benjamin alcuni manoscritti fra cui una copia (pubblicata nel 2010) delle tesi Sul concetto di storia, si interessa alle sorti della pubblicazione postuma delle opere dell’amico che Adorno aveva iniziato a curare per conto dell’Institut für Sozialforschung: invia quel che ancora possiede delle carte benjaminiane non perché sia convinta del lavoro ma per «un dovere di lealtà»; appare al corrente dei manoscritti giunti in America e quando lo stesso Adorno comincia a lesinarle le informazioni si rivolge a Anders per sapere quel che cerca: «Ti prego davvero di farmi sapere che cosa è stato deciso ai vertici, dal momento che mi sembra che Wiesengrund non si senta obbligato a tenermi al corrente».
È Benjamin, infatti, il filosofo a cui Arendt (a differenza di Anders) si sente più vicina; e anche dopo l’uscita della prima raccolta delle sue opere teme il diffondersi della vulgata adorniana. Così, ancora nel 1955 si rivolge a Anders: «È triste che tu non voglia scrivere niente su Benji. Chi dovrebbe farlo, oltre a noi, se non vogliamo lasciare il monopolio a Adorno?». 
Dinamiche da rivedere
La preoccupazione è un fatto che trascende ormai l’amicizia e investe un modo di fare filosofia che è nato dal confronto con Mannheim, si è identificato con l’esempio benjaminiano e ora rischia di appannarsi nell’interpretazione postidealistica e antipositivista dei francofortesi. Di questi e altri momenti di quella che fu una lunga e drammatica stagione intellettuale, le lettere e i documenti che testimoniano i rapporti fra Arendt e Anders offrono un saggio importante: come importante sarebbe una ricostruzione finalmente minuziosa delle dinamiche relative ai rapporti di quella generazione di intellettuali che per primi hanno sperimentato nel loro pensiero la radicalità dell’opposizione fra lo spirito apolide e le determinazioni della storia e della società.

Nessun commento: