domenica 16 febbraio 2020

Il costo del Partenone: Marginesu

Giovanni Marginesu: Il costo del Partenone. Appalti e affari dell’arte greca, Salerno Editrice, Roma, pagg. 172, € 15

Scusi, quanto costa il Partenone?
Carminati Domenicale 16 2 2020
Difficile resistere all’incanto. È una notte d’estate, c’è il plenilunio e siamo ai piedi dell’Acropoli di Atene. Una luce magica e un immoto silenzio avvolgono i celeberrimi monumenti che compongono il santuario di Atena: i Propilei, l’Eretteo, il Partenone. Tanta bellezza letteralmente travolge: l’armonia e la perfezione dell’arte greca sono davanti ai nostri occhi. L’archeologo che fa da guida notturna decanta con suadente voce le meraviglie del luogo e i valori spirituali ed estetici dei monumenti. Si è davvero a un passo dall’estasi, quando dal gruppo si leva una domanda acre e tagliente: «Scusi, professore, ma quanto è costato il Partenone?». Il docente si ferma interdetto e inarca le sopracciglia, mentre gli astanti si voltano di scatto e tentano di incenerire con gli sguardi il prosaico compagno di viaggio. 
Eppure, quel signore ha fatto una domanda non solo pertinente ma persino originale. Nessuno mai ci pensa, ma la sublime bellezza dell’arte greca è stata tutta pagata, e spesso a caro prezzo: i monumenti dell’antichità sono stati finanziati da fiumi di dracme e di talenti, in molti casi riscossi senza pietà a sudditi inermi o frutto di bottini di guerra.
Ma è possibile sul serio capire quanto costarono il Partenone e i principali monumenti della Grecia? E quanto vennero pagate le sculture, i quadri, i vasi, il marmo e la altre materie prime usate per produrre l’arte greca?
Lo storico Giovanni Marginesu ha accettato la sfida del computo e ha raccolto i dati delle sue ricerche in un saggio particolarmente ricco di numeri e di fatti (nonché di avvincente lettura) in grado di soddisfare positivamente la curiosità dell’impertinente visitatore dell’Acropoli e di chiunque si interessi di storia economica dell’arte.
Per nostra fortuna, alcune notizie che mettono direttamente in relazione il danaro con le opere d’arte si sono miracolosamente salvate dal naufragio del mondo antico: si trovano principalmente nelle iscriptiones greche e nelle fonti greco-romane (Erodoto, Polieno, Plutarco, Tucidide, Diodoro Siculo, Filocoro, Lisia, Demostene, Aristofane, Isocrate, Stobeo, Plinio, Strabone, Diogene Laerzio, Cicerone, eccetera). E poi, fortuna nella fortuna, esiste un consistente grumo di notizie superstiti proprio attorno alla fabbrica dell’Acropoli di Atene tra il 447 e il 432 a.C., una stagione di grande ricchezza e opulenza di cui il Partenone e la colossale statua di Atena in esso contenuta (modellata nell’oro e nell’avorio e alta dieci metri) rappresentarono davvero l’apoteosi.
Le ricchezze custodite nei forzieri delle città consentirono la realizzazione di buona parte dell’arte greca. Dal tesoro di Atena, amministrato da dieci tesorieri, venivano ad esempio le risorse per mantenere il culto della dea. In occasione dell’erezione di un edificio sacro, se il danaro del tesoro non bastava, si ricorreva a finanziamenti pubblici (spesso forzosi), a sostegno di privati e alle multe di guerra inflitte ai nemici sconfitti. Talora si usavano i proventi di vendite estemporanee di pelli, corna, avanzi di sacrifici, materiali architettonici e cose di questo genere.
Il reclutamento di artisti, architetti e maestranze specializzate avvenivano attraverso gli appalti (sovente manomessi), i lavori erano divisi in lotti e i pagamenti rateizzati: anticipo a inizio dei lavori, una rata a metà dei lavori, saldo alla chiusura del cantiere dopo il collaudo.

Le fonti antiche parlano spesso di prezzi, usando le dracme e i talenti come unità di misura: la ricostruzione del Tempio di Apollo a Delo costò ad esempio 300 talenti; Attalo I, re di Pergamo, comperò un quadro per 100 talenti; il filosofo Diogene Laerzio ci informò che una statua poteva costare anche 3000 dracme.
Ma che cosa significano 200 talenti per un tempio e 3000 dracme per una statua? Possiamo grossomodo calcolarlo. Una dracma corrispondeva a circa 4 grammi di argento e per fare un talento occorrevano 6000 dracme. La cifra di 6000 dracme (cioè un talento) era la paga di un’intera vita di lavoro di un operaio specializzato, che predeva una dracma al giorno, lavorava circa 300 giorni all’anno per circa 20 anni. Detto per inciso, alle prostisture andava meglio: quadagnavano due dracme a prestazione. Narrano le fonti che il faro di Alessandria costò 800 talenti (4.800.000 dracme), il tempio di Zeus ad Agrigento 200 talenti (1.200.000 dracme), i cinque templi di Selinunte circa 1.200 talenti (7.200.000 dracme), mentre il Teatro di Epidauro “venne via” (si fa per dire) con soli 10 talenti (60.000 dracme).
Il maggior numero di notizie sulle somme di danaro spese in Grecia per committenze artistiche si concentrano sull’Acropoli di Atene. Alla metà del V secolo a. C. Pericle convinse gli ateniesi a realizzare i Propilei e il Partenone, e a innalzare al suo interno la colossale statua crisoelefantina di Atena Parthenos. I lavori durarono circa 15 anni dal 447 al 432 a.C. e i costi furono così impressionanti da sollevare un nugolo di polemiche. Proprio da queste polemiche si ricavano i dati: le fonti antiche discordano sulle cifre esatte ma è comunque possibile calcolare che 300/500 talenti (1.800.000/3.000.000 dracme) vennero spesi per erigere il Partenone, 200/300 talenti (1.200.000/1.800.000 dracme) per i Propilei e addirittura 800/1000 talenti (4.800.000/6.000.000 dracme) furono necessari a Fidia per modellare la colossale statua d’oro e avorio di Atena. Sommando le ipotesi massime, Partenone e statua costarono la bella cifra di 1500 talenti, ovvero 9.000.000 dracme d’argento, quanto occorreva (ha ipotizzato Marginesu) per retribuire una giornata di lavoro a 9 milioni di operai specializzati e quanto serviva per allestire una flotta di 1500 triremi (ma anche - detto per inciso - per compensare la prestazione a 4.500.000 prostitute). Domanda: Pericle disponeva di tutti questi soldi? Pare di sì. Attorno al 431 a.C. nelle casse pubblche risultavano depositati 9700 talenti (pari al 58.200.000 dracme). Dunque, si poteva largheggiare.
C’è forse da chiedersi - da ultimo - come mai tutto costasse così caro. Le principali voci di spesa erano le materie prime: i marmi pregiati (come quelli di Paro) costavano molto, così come costava molto il loro complicato trasporto dalle cave ai cantieri. Ingenti somme servivano anche per i legni, un po’ meno ci voleva per i mattoni. Ma le impennate di spesa arrivavano con l’approvvigionamento dell’oro, dei metalli e del preziosissimo avorio. Si narra che Fidia, proprio sulla fornitura dell’oro e dell’avorio per la celebre statua di Atena, venne accusato di aver falsificato i conti e fatto la cresta. Non fu una cosa da poco: le fonti ci dicono che, scoperto il fatto, lo scultore fu costretto ad abbandonare Atene. Non sappiamo quanto Fidia avesse personalmente guadagnato nell’impresa, ma certo le voci di spesa legate agli ingaggi degli artisti di grido non dovevano essere di poco conto. Lo intuiamo per via indiretta. I maestri più celebri amavano infatti ostentare la ricchezza acquisita: Zeusi, ad esempio, girava per Olimpia con il suo nome ricamato in oro sul mantello, mentre Parrasio vestiva di porpora e usava come cappello una vistosa corona d’oro. Evidentemente, anche i talenti di questi big venivano ricompensati a suon di dracme.
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