lunedì 3 febbraio 2020
Pubblicate le lezioni di Labriola su Marx del 1892-93
«Nudi scheletri» sul pensiero di Marx
Torno Domenicale 02 02 2020
Nel 1890 Antonio Labriola, da tredici anni ordinario di filosofia morale e pedagogia a Roma, aderisce al marxismo. Inizia uno scambio epistolare con Friedrich Engels, avvia una corrispondenza con Turati e con i maggiori dirigenti del socialismo internazionale. Un’occhiata alle sue lettere rivela i nomi di rilevanti destinatari: Kautsky, Liebknecht, Adler, Bebel, Ellenbogen, Lafargue. Quest’ultimo, genero di Marx, merita un ricordo per il suo libello Il diritto all’ozio (Le Droit à la paresse, 1883), nel quale sosteneva che la passione per il lavoro è causa di degenerazione intellettuale. È caratteristica delle società capitalistiche, origine di miserie individuali e sociali.
L’adesione al marxismo non è per Labriola un colpo di fulmine, ma avviene con lenta maturazione. Nel 1866 inizia lo studio di Feuerbach; è intanto attratto non da Hegel ma da Herbart e dalla sua scuola, dove si sviluppano ricerche - con Lazarus e Steinthal - sulla psicologia dei popoli. Nel 1874, però, fa la campagna elettorale a favore di Minghetti e altri candidati di destra; tuttavia l’anno successivo - lo scrive a Bertrando Spaventa - si radicalizza, andando verso posizioni opposte. Nel 1876 tiene lezioni agli operai e, stando a quanto ammetterà più tardi a Engels, tra il 1879 e il 1880 era «quasi completamente convertito alla concezione socialista». In questa prospettiva vanno intese le lezioni che Labriola programmò all’Università di Roma, nel corso di Filosofia della Storia del 1892-93 (ripetute nei due anni successivi), su Marx. Tali pagine non diventarono un’opera organica, restando - così le definisce lo stesso Labriola in una lettera - «un catafascio di appunti»; o meglio, «nudi scheletri e note inintelligibili a tutt’altri che non a me». Insomma, tracce da sviluppare a voce.
Abbiamo seguito l’introduzione e il saggio posto in calce, rispettivamente di Alessandro Savorelli e Davide Bondì, che accompagnano l’uscita di questo brogliaccio rimasto inedito, e ora pubblicato dalle Edizioni della Normale, intitolato semplicemente Marx. Certo, oggi Labriola non è un filosofo particolarmente ricordato; né è il caso di analizzare perché la politica attuale, orfana dei vecchi partiti, sia allergica alle idee e ai pensatori in genere, avendo ormai una vocazione per battute e sceneggiate. Eppure Labriola, anche per i non marxisti, resta un riferimento avendo formato la generazione cui appartenevano Croce e Gentile. Se con il primo di questi filosofi corse «affetto e dimestichezza», con l’altro i rapporti furono formali, pur con una sintonia che sembrava più forte. Ed è proprio dal sodalizio tra questi due non socialisti sviluppatosi grazie al comune maestro - entrambi studiarono Marx e le interpretazioni di Labriola - che nasce quel rapporto da cui prenderà vita la cultura italiana del primo Novecento.
Del resto è il caso di ricordare che egli resta una figura controversa, giacché taluni hanno visto in lui un semplice divulgatore del marxismo, altri invece lo hanno considerato un pensatore originale, se non addirittura il padre spirituale del socialismo italiano. Negli appunti che ora si pubblicano c’è qualche scintilla polemica, giacché Labriola non fu né tartufesco, né amante dei dilettanti della politica. Scrive che «alcuni socialisti italiani sono ancora troppo novellini perché non si ricordi loro che devono imparare quello che vogliono insegnare» (pag. 74). Che aggiungere? Non fu un militante di quelli che, più tardi, confonderanno l’ideale con l’ottusità. Di lui scrisse la «Neue Zeit», dando notizia della morte nel febbraio 1904: «Se esistesse un’ortodossia marxista, Labriola non ne sarebbe mai stato un seguace». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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