giovedì 12 marzo 2020

Ancora sulla Cina popolare, la democrazia, la libertà e gli intellettuali liberali
































Gli apparati egemonici di Stato mobilitati per disinnescare la nuova immagine della Cina.

In questi giorni, nonostante tutto, l'immagine della Cina sta cambiando inaspettatamente e persino l'opinione pubblica occidentale comuncia a guardare con curiosità alla democrazia socialista.
Ecco allora che nel pieno di una crisi gravissima della democrazia moderna che è conseguenza del comportamento dissennato e delle scelte politiche predatorie delle classi dominanti borghesi, i fiancheggiatori intellettuali di questa deriva trentennale, nei media e nell'accademia, inquinano i pozzi e mettono in allarme il cittadino-consumatore parlando di "fascino della dittatura", o di "efficientismo autoritario".

Costoro confondono con ciò strumentalmente la postdemocrazia che è da tempo (dagli anni Ottanta) in costruzione nei nostri paesi (una nuova forma di regime politico bonapartista psotmoderno nella quale liberali e populisti-sovranisti occidentali si avviano ad abbracciarsi) con ogni possibile forma alternativa di democrazia, come appunto la democrazia popolare del socialismo con caratteristiche cinesi.

Stanno mentendo: la deriva autoritaria della democrazia occidentale è tutta roba loro e non ha nulla a che vedere con Xi Jinping e nemmeno con Putin: è esattamente il programma massimo del liberalismo e della borghesia, che hanno sbaragliato tutti gli avversari e si riprendono ciò che la lotta di classe dal basso gli aveva tolto. E' proprio questa, e non particolari politiche economiche, l'essenza di un neoliberalismo che per il resto può benissimo mostrare un volto protezionista e securitario.

La democrazia cinese è invece una cosa completamente diversa e autonoma, la cui genesi ha seguito strade che ci parlano di emancipazione dal colonialismo e dall'imperialismo e di costruzione di un mondo multipolare nel quale ogni paese ha diritto di parola su un piano di parità: il tentativo di sperimentare un nuovo modello di democrazia alternativo a quello occidentale, in casa e nel mondo, combinando rappresentanza e consultazione popolare permanente.


Non c'è nessuna dittatura in Cina e la presenza del Partito Comunista significa una sola cosa: esattamente come in Occidente la dialettica politica si svolge tramite un pluralismo che si inscrive nella cornice del capitalismo e della democrazia liberale, così in Cina questa stessa dialettica si svolge tramite un pluralismo che si inscrive nella cornice del socialismo e di una architettura istituzionale originale.

La "libertà" che questi intellettuali temono di perdere è una cosa complicata e la sua realizzazione è in realtà sempre un "conflitto delle libertà" nelle quali alcune finiscono per prevalere su altre: questo vale però in Cina non più di quanto valga da sempre in Occidente, dove la libertà dal bisogno non è contemplata e oltretutto la libertà che si afferma è di solito quella del più forte.

Un'altra considerazione.

Quando l'epidemia arriverà negli stati uniti le misure coercitive "biopolitiche" imposte in Cina, per non parlare di quelle italiane, sembreranno Disneyland.

Spareranno a vista con tanti saluti all habeas corpus.

Quegli stessi intellettuali liberali che oggi accusano la Cina di totalitarismo riterranno però quelle misure assolutamente adeguate e proporzionate per il solo fatto che sono state prese da una democrazia liberale e cioè solo perché sono decise da un paese occidentale, oltretutto il paese guida. Diranno che la salute val bene la sospensione di qualche libertà.

Questo, e cioè l'idea che al di fuori del l'occidente non ci sia salvezza e che la democrazia in stile occidentale sia un modello universale, ovvero l'unica forma di democrazia possibile, si chiama razzismo [SGA].


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