martedì 10 marzo 2020
La Cina, il socialismo e noi
Quando è partita l'ondata dell'epidemia, invece di correre in soccorso
di chi aveva bisogno di aiuto, l'Occidente - sciacallo e canaglia
secondo le consuetudini della sua millenaria tradizione coloniale - ha
subito colto l'occasione per criminalizzare e infangare la democrazia
socialista (accusata prima di censurare la gravità delle cose e poi di
irreggimentazione totalitaria e illiberale della società) e per
approfittare delle sue difficoltà rubandole quote di produzione e di
mercato: i ricchi che rubano ai poveri.
Il senso era che queste
cose accadono solo nei "regimi autoritari", ma mai e poi mai possono
accadere nelle democrazie liberali, protette dalla loro trasparenza e
dai loro meccanismi deliberativi.
La realtà è che questa crisi,
pur durissima e ancora non conclusa, ha esaltato i sentimenti di
coesione popolare in Cina: in un paese ancora abbondantemente in via di
sviluppo che nelle sue regioni più arretrate è costretto a fare i conti
con la povertà e la mancanza di un sistema di Welfare adeguato (in primo
luogo proprio la sanità pubblica), le persone si fidano del Partito
Comunista, che ha risollevato il paese e ne ha garantito la crescita, e
il Partito Comunista lavora esclusivamente per il benessere della
maggioranza della popolazione senza avere il minimo riguardo per gli
interessi di parte e avendo ben chiaro chi comanda tra politica ed
economia.
Gli abitanti di Wuhan, che non solo hanno rispettato
scrupolosamente le indicazioni del Partito ma nei giorni più neri
cantavano e si chiamavano ciascuno dai propri appartamenti per farsi
forza a vicenda, hanno dato un esempio di solidarietà reciproca e di
responsabilità politica che contrasta drammaticamente con la corsa agli
accaparramenti nei nostri supermercati e con l'indifferenza verso le
ordinanze di contenimento del virus.
Al contrario di quanto
declamavano i bolsi influencer che manipolano le nostre menti sui
giornali e in tv - i Riotta, i Gramellini, i Battista, le Gruber, le
Bottero -, la realtà è perciò che questa crisi ha messo a nudo come da
tanto non accadeva le contraddizioni e le fragilità della società
capitalistica, facendo risaltare al contempo la netta superiorità della
democrazia socialista sul piano della razionalità strumentale,
certamente, ma in primo luogo sul piano della civiltà e del legame
sociale.
Di questa netta superiorità noi non abbiamo oggi nemmeno la minima percezione.
Purtroppo, quasi nessuno anche a sinistra ha avuto voglia di capire
cosa avviene in Cina. E dall'alto di non si sa quale pulpito i più hanno
sempre guardato con aria di sufficienza il socialismo con
caratteristiche cinesi come un capitalismo restaurato dopo gli anni di
Mao ma comunque zavorrato da una governance dittatoriale da socialismo
di guerra, una oligarchia impegnata in uno scrupoloso e paranoico
controllo biopolitico della popolazione.
Le cose sono molto
diverse e già la sola idea di "controllare" un paese sterminato di un
miliardo e mezzo di persone nel quale non ci sono solo Pechino e Honk
Kong ma migliaia e migliaia di piccole comunità che vivono di regimi di
produzione diversi e dove l'ingresso nella modernità e assai lontano è
ridicola: il problema della Cina è esattamente il contrario di quello
che si pensa.
Chi conosce un minimo il dibattito in corso in quel
paese, sa che la Cina è perfettamente consapevole dei rischi e delle
problematiche legate al proprio sviluppo (assai più consapevole di
quanto non siano i paesi ricchi) e che la sua sfida non consiste affatto
nell'imitare l'Occidente ma nel proporre un concetto di sviluppo delle
forze produttive radicalmente alternativo.
Uno sviluppo nel quale
tali forze sono intese non in senso economicistico ma in senso
integrale. E a partire dal quale esse precipitano non solo in una forma
di democrazia più avanzata di quella capitalistica (una democrazia che
fonde istanze rappresentative e consiliari-consultive ad ogni livello,
dal villaggio all'Assemblea nazionale del popolo) ma soprattutto
nell'idea di una "civiltà spirituale" nella quale la "società armoniosa"
è al tempo stesso premessa dell'"equilibrio tra cielo e terra" e cioè
di una "civiltà ambientale" che risolve la contraddizione tra uomo e
natura.
E' per questo che, nonostante la cecità di chi è abituato
da millenni a guardare solo al proprio spicchio di mondo considerandolo
l'universo, la Cina parla oggi a tre quarti del genere umano in via di
sviluppo e la parola "socialismo" è dappertutto benvenuta.
Per la
sinistra italiana - la cui debolezza, insipienza e inutilità spiccano
nel momento in cui il socialismo si avvia a diventare una potenza
globale ed è prossimo a lanciare una nuova sfida di sistema - forse è il
momento di avviare una riflessione sinora mai affrontata.
Sarebbe bello. Se solo una sinistra ci fosse ancora [SGA].
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