venerdì 27 marzo 2020

Il pezzullo di Agamben



Aspettiamo ormai il pezzullo settimanale di Agamben da Quodlibet come un tempo aspettavamo gli sketch rassicuranti di Raimondo Vianello e Sandra Mondaini.
Agamben sconta anche in quest'ultimo intervento tutti i difetti di un paradigma obsoleto e, messo di fronte alla prova del giudizio sulla storia, sbaglia bersaglio come spesso gli capita. Applicare un dispositivo teorico e retorico costruito in una fase in cui esistevano movimenti di massa insorgenti ad una fase completamente diversa nella quale le soggettività potenzialmente antagoniste sono catatoniche, per poi addirittura farne uno schema di lettura della storia universale, rende infatti il dispositivo stesso - che di per sé è anche utile per capire alcune dinamiche storiche e in particolare quelle di un certo passaggio d'epoca - inverosimile e oggetto di facile dileggio.
Prescindiamo adesso dai ragionamenti sul bios proposti di recente da Michele Prospero, che a mio avviso mostrano la debolezza radicale dei presupposti di Agamben, e rimaniamo sul suo terreno.
In realtà, nel corso del mondo e cioè in ogni situazione concreta ci sono sempre molte contraddizioni.
C'è certamente una contraddizione che ha a che fare con il controllo delle libere soggettività da parte del Potere, dunque, come dice giustamente Agamben.
Ma c'è anche una contraddizione che non dipende affatto dal Potere e che si instaura semmai tra le libertà di alcuni e le libertà di altri, tra le quali la libertà di non morire a fronte della libertà-volontà di chi vorrebbe proseguire ad ogni costo la produzione e/o il consumo (il potere infatti non si genera solo verticalmente tra alto e basso nel rapporto tra Stato e società civile ma anche e in primo luogo orizzontalmente nel vivo della società civile stessa).
Infine, c'è anche una contraddizione di classe, perché la contraddizione di classe esiste sempre finché ci sono le classi e probabilmente anche dopo.
Agamben si occupa solo del primo aspetto e propone la sua solita e collaudata teoria che rifiuta come controllo biopolitico ogni politica di gestione della popolazione, indipendentemente dal suo concreto significato.
Ma esiste un'unica Biopolitica, oppure molte e diverse biopolitiche? E queste molte biopolitiche - visto che sono appunto molte e molto diverse: in Cina, in Corea, in Italia, in Inghilterra, negli USA... - hanno sempre e dappertutto lo stesso significato oppure possono avere significati diversi?
In realtà, non è in questo senso anche la strada in apparenza bio-impolitica del laissez faire e cioè dell'immunità di gregge perseguita o tentata dagli anglosassoni (e che Agamben sembra preferire) una scelta non meno biopolitica delle misure di restrizione sociale? Non è anche quella una biopolitica con un significato preciso, che allude persino all'eugenetica e con conseguenze coercitive non meno gravi che si riversano oltretutto sui più deboli, malati e anziani?
Sono indifferenti ed equivalenti, queste due o più diverse biopolitiche? Sono tutte reazionarie? E tutte reazionarie allo stesso modo?
E' un primo punto già di per sé significativo e però non è l'unico e non è nemmeno il punto principale.
Nell'estenuare la sua mossa teorica perpetua, infatti, Agamben rimuove tutte le altre contraddizioni in gioco oltre a quella populista (Alto/Basso) e cancella tutte le libertà che sono in competizione con le libertà che stanno care a lui, perché rifiutando ciò che considera un essenzialismo non si cura di cercare quella che, in quanto riguarda la società nel suo complesso a partire dalle condizioni della sua riproduzione, costituisce nello specifico la contraddizione principale e prevalente ma che per lui non sussiste nemmeno.
Infine, occulta la cosa più importante di tutte sul piano politico e cioè il fatto che la gravità intrinseca del virus è stata resa letale non tanto dalla natura del virus stesso, che pure è assai aggressivo, ma anzitutto dalle politiche di classe di lunga durata che hanno smantellato la Sanità e il Welfare nel nostro e in altri paesi.
Se ieri non ci fossero stati tagli, privatizzazioni e evasione fiscale e se oggi avessimo più ospedali e più tamponi, saremmo certamente messi male ma non saremmo messi così tanto male. Ospedali e tamponi, però, sono tutte istituzioni che per Agamben come per i foucaultiani - che criticano i processi di riforma penale o sanitaria di impronta umanitaria come in fondo equivalenti alle Workhouses e alle fosse comuni - erano già esse stesse nient'altro che bieca biopolitica di controllo e dunque a nulla vale appellarsi ad essi e alla loro mancanza per esercitare quella che dal punto di vista dell'Italian Theory è una plebea politica del sospetto.
Così facendo, Agamben impedisce a monte qualunque lotta politica contro le vere ragioni della crisi, che sono legate al dominio di classe, e blocca qualunque resistenza contro il tentativo - ogni giorno più palese - di alimentare la paura sociale non già fine di un generico inutile "controllo", come dice lui (non esiste nessuna contrapposizione strategica che nasca per via endogena, oggi, ma al massimo un semplice ribellismo consumeristico), ma al fine di nascondere quelle precise responsabilità di classe e per garantire che le gerarchie sociali rimangano inalterate.
Agamben commette perciò gravi errori politici che sono innestati su errori filosofici a dir poco gravissimi. Come tutti i liberali compresi gli anarchici, non vede in sostanza il conflitto delle libertà perché non si cura dei rapporti di forza.
OK Agamben, allora, ma ancora più OK Hegel e Marx. [SGA].

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