lunedì 4 maggio 2020
"La grande illusione" delle democrazie liberali: Mearsheimer
John J. Mearsheimer: LA GRANDE ILLUSIONE. PERCHÉ LA DEMOCRAZIA LIBerALE NON PUÒ CAMBIARE IL MONDO, Luiss University Press, Roma, pagg. 328, € 25
Se il liberalismo cede al nazionalismo
John Mearsheimer. Un saggio esamina le fragilità delle democrazie liberali
Benissimo:
nulla sarà più come prima. Ma saremo più liberi o meno liberi? Avremo
maggiore o minore fiducia nella libertà, nei diritti umani, nello stato
di diritto? E chi eserciterà nel mondo un ruolo egemone, gli Usa o la
Cina? Il coronavirus riporta d’attualità e imprime un aggiornamento al
grande dibattito sul futuro della democrazia liberale in corso ormai da
anni.
Significativo della cautela con la quale molti studiosi
affrontano il tema, alla luce soprattutto della diffusione delle
tendenze populiste, è questo libro dello statunitense John Mearsheimer,
docente a Chicago, esperto di relazioni internazionali ed esponente di
punta della visione “realista”, in versione “offensiva”, in politica
estera. Qui l’autore riprende le sue teorie sul ruolo egemonico che gli
Usa hanno potuto svolgere dopo la fine del comunismo, basato
sull’assunto che la democrazia liberale fosse l’unico modello
praticabile, da diffondere in tutto il mondo per imporre appunto una
sorta di «egemonia».
Secondo l’autore, ogni sforzo in questa
direzione è andato frustrato regolarmente, proprio per la forza
inesorabile della realtà, che impone alle potenze, Usa in primis,
di comportarsi in modo ben diverso da come si presentano. Ma non c’è
solo il realismo a smentire le buone intenzioni del liberalismo,
costretto a fare i conti anche, e sempre più frequentemente, con la
forza del nazionalismo.
Sta forse qui il punto più originale e
attuale di questo libro. Mearsheimer conduce un’analisi assai puntuale
su cosa sia, come si atteggi e come operi sul campo il liberalismo.
Mette in luce la debolezza di alcuni assunti del liberalismo, a partire
dalla fede nella ragione e dalla capacità di individuare un discorso
morale nel quale tutti possano riconoscersi. Contesta il paradigma della
centralità dell’individuo, sottolineando l’esigenza ancestrale a
difendersi attraverso la solidarietà tribale e il riconoscimento
dell’esigenza che qualcuno eserciti il potere. Sottolinea alcune gravi
aporie, quale quella di proclamare la tolleranza, a costo di restare
sguarnito nei confronti di chi tollerante non è nei suoi confronti. E
conclude perciò che «il fatto di vivere in un mondo popolato da esseri
sociali dotati di capacità critiche straordinarie ma limitate è la
radice inestirpabile del conflitto umano». Ma Mearsheimer non è un
“illiberale”: egli afferma che «il liberalismo può essere veramente una
forza al servizio del bene all’interno degli Stati», ribadisce che esso
«ha tante virtù come sistema politico»; conclude che «la democrazia
politica (è) la forma politica migliore. Non è perfetta, ma batte
nettamente la concorrenza». Ma solo a livello interno: se si mette in
mente di diffondere i diritti umani e di diffondere la democrazia
liberale in tutto il mondo, esso si rivela una «fonte di guai».
Lo
studioso argomenta dettagliatamente la sua tesi (senza mai cadere nella
pedanteria, ma anzi con stile accattivante): riafferma come principio
fondante della convivenza planetaria quello della sovranità; indica «i
limiti e i pericoli dell’ingegneria sociale»; smonta l’argomento secondo
il quale le democrazie non si farebbero reciprocamente guerra; e lancia
una sfida potente e attuale al liberalismo, quella di imparare a fare i
conti col nazionalismo. Questo sta al pianeta come l’individualismo
allo Stato, secondo Mearsheimer: se accettiamo la versione radicale, e
oggi consolidata, dell’individualismo, non possiamo poi meravigliarci
che «i membri di una nazione (siano) fermamente decisi a massimizzarne
l’autonomia». Della nazione, l’autore individua le sei caratteristiche
di base (senso di unitarietà, e di superiorità, cultura specifica,
radici storiche profonde, sacralità del territorio; sovranità) che
rendono il nazionalismo più potente del liberalismo, assicurandogli di
poter svolgere un autentico «ruolo inibitore sugli spazi di movimento
delle grandi potenze».
Ci attende dunque un mondo frammentato e
ancora più bellicoso? Non è detto, conclude l’autore, se nelle relazioni
internazionali riscopriremo le virtù del realismo e della
«moderazione».
Il pubblico di Mearsheimer è soprattutto quello
degli esperti di politica internazionale; ma il suo messaggio riguarda
tutti: non tanto per il suo richiamo alla modestia e all’umiltà nel
coltivare disegni palingenetici; ma soprattutto per il richiamo alla
forza perdurante del nazionalismo, dato troppo prematuramente per
scomparso e col quale si giocheranno le prospettive future del
liberalismo in un mondo a globalizzazione inceppata. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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