giovedì 25 febbraio 2021

Franco Cassano 1943-2021

Francesco Fistetti, Nuovo Quotidiano di Puglia 24 2 2021

    

Nella vita di ognuno di noi ci sono sempre dei maestri che sono un costante punto di riferimento e di confronto nella formazione intellettuale e umana, tanto più se con queste persone si rafforzano nel tempo legami di amicizia che non si attenuano nemmeno quando per ragioni circostanziali diverse gli incontri faccia a faccia diventano più rari. Franco Cassano, insieme a pochi altri, è stato per me uno di questi maestri con in più il privilegio che, essendo diventati amici, i nostri rapporti erano improntati alla massima schiettezza nel marcare, quando c’erano, le differenze di giudizio sulle problematiche oggetto di studio e di discussione. Avevo stretto un sodalizio con lui sin da quando da studente in procinto di laurearmi mi affacciavo alle sue “esercitazioni” di sociologia alla Facoltà di Lettere di Bari: era appena uscito con la De Donato Autocritica della sociologia contemporanea. Weber -Mills-Habermas (1971), un testo importante che portava una ventata di aria fresca nell’ossificato marxismo italiano aprendolo alle scienze sociali. Io che allora ero su posizioni althusseriane vedevo in lui un interlocutore di primo piano con il quale misurare la validità della critica allo storicismo e all’umanismo portata avanti dal filosofo francese. Iniziò così un percorso di seminari, incontri, conversazioni private sui libri, gli articoli e i saggi che leggevamo e scrivevamo. Nei tre anni in cui Franco Rositi fu a Bari ci incontravamo una volta la settimana a discutere di un volume o di un tema particolare. L’obiettivo di rinnovare la strumentazione teorica e metodologica del marxismo italiano è il leitmotif dell’antologia Marxismo e filosofia (1973), in cui raccoglie su questo tema i contributi dei maggiori intellettuali dell’epoca, quasi tutti iscritti al Pci, e del volume scritto con R. Bodei, Hegel e Weber. Egemonia e legittimazione (1977), in cui queste due categorie – egemonia di Gramsci e legittimazione di Weber – sono assunte come indicatori dell’esigenza di una concezione radicalmente inedita del politico all’altezza della complessità del presente. Da lì comincia un lungo cammino in cui filosofia e politica, impegno intellettuale e militanza politica, si intrecciano strettamente: ripensare la struttura del marxismo come filosofia della prassi e essere dentro le grandi lotte sociali degli anni Settanta-Ottanta era un tutt’uno. Fu una stagione straordinaria, in cui il Pci mostrò tutte le debolezze di partito guidato da un gruppo dirigente nazionale che stentava a comprendere la nuova stratificazione sociale del Mezzogiorno e della Puglia, dove già cominciava la crisi della grande industria fordista e nuovi ceti sociali scolarizzati e delle professioni - diciamo pure: i nuovi ceti dell’intellettualità diffusa composti di giovani e donne - reclamavano una rappresentanza conforme ai tempi. Quando nel 1979 esce Il teorema democristiano. La mediazione della Dc nella società e nel sistema politico italiano, i limiti di un Pci ancora arroccato sulla centralità operaia e sulla classe bracciantile cominciano a essere percepiti alla luce di quella formidabile capacità da parte della Dc di costruire un blocco sociale egemonico, capace di tenere insieme interessi divergenti e così di garantirsi un consenso più o meno stabile attorno a un sistema di potere in via di consolidamento. Nel produrre analisi sociali così innovative, Franco si rivelava un intellettuale militante sui generis: non sideralmente distante dai movimenti sociali e dalle loro organizzazioni, né appiattito sulla loro autorappresentazione ideologica, ciò che gli consentiva di dialogare con il corpo degli iscritti e dei dirigenti intermedi e magari elevare il grado di consapevolezza dei problemi trattati. Né separatezza né portavoce, dunque, ma intellettuale organico in senso gramsciano (specialista + politico). Gli anni 1980 furono per Franco anni di intenso studio sui fondamenti epistemologici delle scienze sociali: seminari su Popper, Lakatos, Feyerabend, Neurath. Mentre in Italia la teoria di Popper veniva utilizzata strumentalmente da molti intellettuali socialisti per impugnare le pretese scientifiche del marxismo (ma anche della psicanalisi) come teoria sociale, il gruppo di lavoro attorno a Franco si sforzava di spiegare che il concetto di scienza nell’ambito delle teorie sociali non è assimilabile a quello delle scienze cosiddette “dure” o “forti”. Senza dire che la nozione di falsificabilità è inapplicabile in questo campo. La certezza infondata. Previsione ed eventi nelle scienze sociali (1983) nasce in questo contesto, che è anche caratterizzato da roventi polemiche ideologiche suscitate dal nuovo corso del socialismo italiano inaugurato nel 1978 da Bettino Craxi con il celebre manifesto sull’”Espresso” di rivalutazione di Proudhon, e da Norberto Bobbio che nel 1976 sulle colonne di “Mondoperaio” si era interrogato sull’esistenza o meno di una teoria marxista dello Stato. Ma la svolta, se così si può dire, arriva nel 1996 con Il pensiero meridiano. Certo, questo testo viene preceduto da Approssimazione. Esercizi di esperienza dell’altro (1989) e Partita doppia. Appunti per una felicità terrestre (1993). Sono due lavori che documentano una sorta di rivoluzione filosofica ed epistemologica nel cammino intellettuale di Franco: l’”altro”, a cui egli qui si riferisce, è la donna, il colonizzato dei paesi ex-coloniali, le culture considerate marginali, tutta la gamma della diversità sociale e, ovviamente, la natura (tutto il mondo dei viventi del pianeta). Dietro questo mutamento di paradigma di Il pensiero meridiano vi sono autori come Albert Camus, Simone Weil e Emmanuel Levinas, da Franco molto frequentati e discussi (ricordo un convegno con lui e Augusto Ponzio a Bari e un altro a Urbino dedicato a Levinas), ma anche Roland Barthes, Serge Latouche e soprattutto i postcolonialisti (Marxism and the Interpretation of Culture del 1988, curato da C. Nelson e L. Grossberg, fu ordinato da lui per la nostra biblioteca). Molti interpreti hanno creduto che Il pensiero meridiano fosse semplicemente un contributo, per quanto originale, al filone tradizionale del meridionalismo. L’equivoco è nato dal modo in cui è stato letto il tema del Mediterraneo, centrale e così ricorrente nella riflessione di Franco, come si può constatare in tanti scritti, tra cui, ad esempio, Lo sguardo italiano. Rappresentare il Mediterraneo (2000) o Paeninsula. L’Italia da ritrovare (1998). La scelta di “ritrovare” l’Italia attraverso lo sguardo del Sud, del nostro Sud e del Sud del mondo, era qualcosa di più e di molto diverso del meridionalismo tradizionale, per quanto nobile e importante esso sia stato. Era un modo per mettere in discussione il paradigma della modernità con il suo fondamentalismo del mercato e con l’epopea dello sviluppo illimitato celebrata in tutte le salse. Una modernità accecata dai suoi miti, che alimenta continuamente quella che Franco chiama la “mitologia della modernità”. In apertura a Modernizzare stanca (2001) scrive:“Questo libro soffre di una malattia: esso vede e riconosce le mitologie, ogni mitologia, e quindi anche e soprattutto quella che opera dietro e dentro di noi, vale a dire la mitologia della modernità, che governa la nostra società in modo sostanzialmente non dissimile da quello in cui la fede negli oracoli governava la società africana degli Azande”. Forse oggi, come non mai resi vulnerabili da un modello di sviluppo che nell’odierna pandemia ha rivelato il suo volto catastrofico, abbiamo bisogno di cominciare a ripensare l’idea di modernità, di demistificare i suoi miti e di ricostruire il pensiero di una convivenza più sobria, più conviviale e, dunque, più lenta. Cito ancora un passaggio di Franco da Modenizzare stanca, di un’attualità sorprendente: “La nostra società produce un’enorme quantità di rifiuti proprio perché produce un’enorme quantità di innovazioni; i rifiuti sono l’altra faccia, il lato d’ombra dell’enfasi sull’innovazione. L’unico modo sicuro di affrontare il problema dei rifiuti sarebbe ridurre l’enorme quantità di merci, limitare il primato dell’innovazione, ma questa soluzione è impensabile perché urta contro un tabù, e chiunque osasse tematizzarla verrebbe sottoposto al fuoco incrociato dei chierici dell’immacolata innovazione”. Oggi queste parole, che vent’anni fa suonavano ancora eretiche e controcorrente, cominciano a trovare ascolto in movimenti sociali, in associazioni ambientaliste, nelle nuove generazioni rappresentate da Greta, ma anche in istituzioni come la Chiesa di papa Francesco di “Laudato si’”, nella stessa Ue che scopre l’urgenza della transizione ecologica, o in movimenti intellettuali transnazionali come quello del “Manifesto convivialista”. Peccato che Franco ci ha lasciato proprio nel momento in cui abbiamo un disperato bisogno di quell’“homo civicus”, il cittadino come agente morale e protagonista della vita pubblica, su cui egli non solo ha tanto riflettutto ma ha cercato di incarnare nella visione e nell’esperienza di una Puglia migliore.




Nessun commento: