giovedì 4 febbraio 2021

Le voci dei padroni

 



Da "Il virus dell'Occidente": la lotta di classe dei padroni che ridisegna il mondo dopo la pandemia

"... Si intravvede in questi interventi una strategia scopertamente politica, insomma, che non è la pianificazione unitaria di un complotto del capitale ma discende dall’oggettività degli interessi e dei poteri capitalistici diffusi e che ha compiuto un salto di qualità con l’elezione del “falco” Carlo Bonomi alla presidenza di Confindustria, l’organizzazione dalla quale Del Vecchio aveva fatto secessione qualche tempo fa ritenendola evidentemente troppo poco agguerrita. È una mossa attraverso la quale, commenta un quotidiano che nel gioco del grande capitale è da sempre immerso fino al collo, la grande borghesia capitalistica nazionale, stufa di dover sempre rivolgersi a questa o a quella cordata, intende lanciare un «attacco diretto alla politica» al fine di «trattare alla pari» con essa, e – essendo evidentemente la contraddizione tra forma dell’universale statale e interessi particolari giunta al punto di rottura di cui avevamo parlato – cerca di farsi attore politico in prima persona saltando ogni mediazione e attaccando in maniera frontale il governo in carica, ritenuto troppo “cinese”. «L’idea è fare politica da sé, disegnando programmi, fissando priorità, costruendo a geometria variabile», fino a costituire un vero e proprio «“partito dei capitalisti”» che ha alle spalle i più grandi potentati economici del paese (l’articolo cita Rocca, Tronchetti Provera, Bracco, Marcegaglia). L’occasione è fornita ovviamente dalla «debolezza della politica», e cioè anche dallo scarsissimo potere reale dello Stato tanto temuto da Agamben e Di Cesare, una condizione di prostrazione che apre «ampi spazi per gli attori sociali» in una fase nella quale «servono conoscenze, esperienze, capacità per rimettere in piedi l’economia», oltre a «una classe dirigente all’altezza». Si tratta, dunque, di lottare contro il «pregiudizio fortemente anti-industriale» che sarebbe radicato nel paese e contro la «burocrazia», cioè di smantellare quell’eccesso di regole che frena l’iniziativa economica e di buttare nel frattempo giù un governo non sufficientemente amico".

"... È la proposta di un rilancio in grande stile di quella spinta a una ridefinizione in chiave bonapartista delle istituzioni liberali che si è incrociata con la fine della democrazia moderna, secondo una linea di tendenza che Domenico Losurdo aveva individuato già negli anni Novanta . E nella quale, più di recente, la concentrazione del potere viene appoggiata per lo più alla costruzione di forme di legittimazione tecnocratico-scientifiche o epistocratiche , come vedremo presto, al fine di aggirare quella che in democrazia dovrebbe essere la fonte di legittimazione principale, ovvero la rappresentanza e gli organismi che dovrebbero garantirla (il parlamento in primo luogo). Ed è un discorso che Panebianco ha espresso in un’altra occasione in questi termini: nell’emergenza, la politica si è affidata ai medici e agli epidemiologi; verrà presto il momento in cui essa dovrà riprendersi ciò che le spetta e cioè l’onere della solita «decisione» . Ma siccome, come sappiamo, «coloro che fanno parte della classe politica sono stati indottrinati contro il mercato fin da quando andavano a scuola» e sono «nemici della società industriale», non è possibile affidare completamente ad essi «la massiccia immissione di denaro che deve alleviare gli effetti dell’attuale blocco delle attività produttive», perché la dedicherebbero molto probabilmente a «scopi improduttivi», in modo da dare soddisfazione a tutte le proteste che arrivano dal basso fino a fare del paese un «Venezuela». Troppo sensibili per definizione alle richieste popolari, i politici devono perciò essere accompagnati da una sorta di tutore permanente o da un ceto di tutori permanenti che faccia loro sistematicamente presenti le istanze dei veri mandanti dell’azione di governo e cioè dei detentori del potere reale e degli azionisti principali della proprietà nazionale. I tecnici a cui affidarsi dovranno essere perciò «esperti indicati dalle principali categorie produttive, economisti con una autentica conoscenza della struttura occupazionale del paese e del sistema produttivo, specialisti dell’amministrazione che indichino le strategie per superare lacci e inefficienze burocratiche»: l’iniziale rivendicazione dell’autonomia della politica si rovescia così nel giro di pochi capoversi nell’affermazione della necessità di una direzione interamente privata degli affari pubblici garantita da tanti cloni dello stesso Panebianco...".

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