sabato 1 marzo 2014

Il golpista democratico ha ottant'anni e festeggia con gli amici. Alcuni dei quali, come il sen. Mario Tronti, votano le riforme costituzionali assieme al bersaglio del golpe democratico stesso


L’omaggio ad Asor Rosa per i suoi ottant’anni 

Ieri con Eco la presentazione dell’ultimo Bollettino diretto dallo studioso
di Simonetta Fiori Repubblica 1.3.14


Può essere solo il magistero, l’altissimo magistero, a tenere insieme geografie culturali e politiche così distanti? Nel caso di Alberto Asor Rosa, bisogna andare a cercare anche qualcos’altro. E questo qualcosa era palpabile ieri mattina, nel Dipartimento di Scienze filologiche, dove si presentava il Bollettino di Italianistica dedicato ad Asor per i suoi ottanta anni (l’ultimo numero da lui diretto). Una corrente di affetto per il festeggiato che anche nelle pagine della rivista avvicina fisionomie sideralmente lontane, da Eugenio Scalfari a Mario Tronti, da Tullio De Mauro a Toni Negri. Voci molto diverse per interessi e collocazione nel mondo, però legate ad Asor da assonanze di volta in volta differenti.
Così succede ai maestri, usciti dal Novecento e non più riproducibili. Maestri assoluti nel proprio campo e “infedeli” al tempo storico vissuto, avendo scelto il conflitto come principio irrinunciabile. Una personalità mai prevedibile, scrive Scalfari sulla rivista. Un maestro «che ha allevato generazioni libere e non cloni», è intervenuto ieri mattina l’ex allievo Paolo Mauri. E a leggere bene il Bollettino si intravedono sotto traccia anche le separazioni dolorose che la libertà comporta, una trama di non detti o di ammonimenti che prendono corpo nella testimonianza di Alberto Abruzzese, che parla di figli che uccidono i padri e viceversa. O nelle pagine di Tronti, eterno amico, che gli “regala” una domanda di Gottfried Benn: «Si deve fare di sé una vecchia gazzella se si è stati un giovane sciacallo?».
Studioso di letteratura. Insigne accademico. Dirigente politico del Pci. Intellettuale militante. Ambientalista. In ultimo anche romanziere. C’è un filo comune che Ernesto Franco, direttore editoriale della Einaudi, ha definito ieri “il metodo Asor Rosa”. Una visione di insieme che va oltre ogni steccato disciplinare. Uno stile intellettuale che si nutre anche di curiosità. E spetta a Benedetta Tobagi restituirne lo sguardo curioso verso i più giovani. Una retta, quella attraversata da Asor? «No, semmai una cicloide», scherza Umberto Eco, che si presenta al tavolo con un bellissimo discorso scritto. «Apparentemente ci siamo mossi lungo due parallele destinate a non incontrarsi mai, ma di fatto ci siamo incontrati molte volte». La prima volta fu con Scrittori e Popolo, che per il Gruppo 63 rappresentò «un grande atto liberatorio». Poi è accaduto con i romanzi. «L’alba di un mondo nuovo è uscito mentre io stavo lavorando al mio La misteriosa fiamma della regina Loana. E, pur appassionandomi, mi aveva imbarazzato perché stavamo raccontano le stesse cose: l’oscuramento, Salgari e Verne, i bombardamenti, i partigiani, il Corriere dei Piccoli, i bossoli e lo sten. Così, per timore di essere influenzato o di copiare, quel libro l’avevo un poco rimosso. E forse a causa delle sue splendide pagine sugli animali, nel mio romanzo poi di animali non ce ne sarebbero stati». Le parallele si incontrano ancora, un po’ per affetto, un po’ per solidarietà generazionale. E allora si ride, certo, ma ci si emoziona un po’ pensando all’ultimo tratto. Con un’intonazione insolita, Eco legge la noterella finale dell’Ultimo paradosso.
«L’ultimo paradosso è che uno sa tutto quello che gli serve per vivere nel momento in cui ha già vissuto». Ma «il momento in cui si sa tutto e nulla resta più da conoscere è anche quello in cui si smette di vivere». E «quando il rullo si ferma, tutto è chiaro. Ma l’assoluta chiarezza coincide con l’assoluta oscurità. Sappiamo tutto: non possiamo più niente». Un brano, confessa Eco, che l’ha sempre accompagnato e «di cui si potrebbe ritrovare echi lontani in certi finali dei miei romanzi».
A spezzare il clima commosso interviene un finale asorosiano in crescendo, con fisarmoniche di Monticchiello che intonano Cielito Lindo e l’ingresso in aula del mitico golden retriever, Pepe, divenuto nei Racconti dell’errore una sorta di doppio dell’autore. «La mia prossima opera? Scrittori e Pepe», si accomiata Asor. E così si torna alla domanda di partenza. No, il magistero non basta a spiegare tante cose.

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