L’omaggio ad Asor Rosa per i suoi ottant’anni
Ieri con Eco la presentazione dell’ultimo Bollettino diretto dallo studioso
di Simonetta Fiori Repubblica 1.3.14
Può
essere solo il magistero, l’altissimo magistero, a tenere insieme
geografie culturali e politiche così distanti? Nel caso di Alberto Asor
Rosa, bisogna andare a cercare anche qualcos’altro. E questo qualcosa
era palpabile ieri mattina, nel Dipartimento di Scienze filologiche,
dove si presentava il Bollettino di Italianistica dedicato ad Asor per i
suoi ottanta anni (l’ultimo numero da lui diretto). Una corrente di
affetto per il festeggiato che anche nelle pagine della rivista avvicina
fisionomie sideralmente lontane, da Eugenio Scalfari a Mario Tronti, da
Tullio De Mauro a Toni Negri. Voci molto diverse per interessi e
collocazione nel mondo, però legate ad Asor da assonanze di volta in
volta differenti.
Così succede ai maestri, usciti dal Novecento e non
più riproducibili. Maestri assoluti nel proprio campo e “infedeli” al
tempo storico vissuto, avendo scelto il conflitto come principio
irrinunciabile. Una personalità mai prevedibile, scrive Scalfari sulla
rivista. Un maestro «che ha allevato generazioni libere e non cloni», è
intervenuto ieri mattina l’ex allievo Paolo Mauri. E a leggere bene il
Bollettino si intravedono sotto traccia anche le separazioni dolorose
che la libertà comporta, una trama di non detti o di ammonimenti che
prendono corpo nella testimonianza di Alberto Abruzzese, che parla di
figli che uccidono i padri e viceversa. O nelle pagine di Tronti, eterno
amico, che gli “regala” una domanda di Gottfried Benn: «Si deve fare di
sé una vecchia gazzella se si è stati un giovane sciacallo?».
Studioso
di letteratura. Insigne accademico. Dirigente politico del Pci.
Intellettuale militante. Ambientalista. In ultimo anche romanziere. C’è
un filo comune che Ernesto Franco, direttore editoriale della Einaudi,
ha definito ieri “il metodo Asor Rosa”. Una visione di insieme che va
oltre ogni steccato disciplinare. Uno stile intellettuale che si nutre
anche di curiosità. E spetta a Benedetta Tobagi restituirne lo sguardo
curioso verso i più giovani. Una retta, quella attraversata da Asor?
«No, semmai una cicloide», scherza Umberto Eco, che si presenta al
tavolo con un bellissimo discorso scritto. «Apparentemente ci siamo
mossi lungo due parallele destinate a non incontrarsi mai, ma di fatto
ci siamo incontrati molte volte». La prima volta fu con Scrittori e
Popolo, che per il Gruppo 63 rappresentò «un grande atto liberatorio».
Poi è accaduto con i romanzi. «L’alba di un mondo nuovo è uscito mentre
io stavo lavorando al mio La misteriosa fiamma della regina Loana. E,
pur appassionandomi, mi aveva imbarazzato perché stavamo raccontano le
stesse cose: l’oscuramento, Salgari e Verne, i bombardamenti, i
partigiani, il Corriere dei Piccoli, i bossoli e lo sten. Così, per
timore di essere influenzato o di copiare, quel libro l’avevo un poco
rimosso. E forse a causa delle sue splendide pagine sugli animali, nel
mio romanzo poi di animali non ce ne sarebbero stati». Le parallele si
incontrano ancora, un po’ per affetto, un po’ per solidarietà
generazionale. E allora si ride, certo, ma ci si emoziona un po’
pensando all’ultimo tratto. Con un’intonazione insolita, Eco legge la
noterella finale dell’Ultimo paradosso.
«L’ultimo paradosso è che uno
sa tutto quello che gli serve per vivere nel momento in cui ha già
vissuto». Ma «il momento in cui si sa tutto e nulla resta più da
conoscere è anche quello in cui si smette di vivere». E «quando il rullo
si ferma, tutto è chiaro. Ma l’assoluta chiarezza coincide con
l’assoluta oscurità. Sappiamo tutto: non possiamo più niente». Un brano,
confessa Eco, che l’ha sempre accompagnato e «di cui si potrebbe
ritrovare echi lontani in certi finali dei miei romanzi».
A spezzare
il clima commosso interviene un finale asorosiano in crescendo, con
fisarmoniche di Monticchiello che intonano Cielito Lindo e l’ingresso in
aula del mitico golden retriever, Pepe, divenuto nei Racconti
dell’errore una sorta di doppio dell’autore. «La mia prossima
opera? Scrittori e Pepe», si accomiata Asor. E così si torna alla
domanda di partenza. No, il magistero non basta a spiegare tante cose.
Nessun commento:
Posta un commento