Repubblica 26.5.12
Bersani lancia il "Patto dei progressisti"
Il segretario Pd vuole mettere insieme riformisti, moderati e liste civiche
Lite tra veltroniani e dalemiani sul listone civico
di Giovanna Casadio
ROMA
- La proposta politica è questa: un rassemblement dei progressisti,
riformisti e moderati. Un´apertura alle forze civiche, per radunare
accanto al Pd-"usato sicuro" (come Bersani ha ironicamente definito il
"suo" partito) giovani, competenze, società civile, élite. Un "Patto"
largo, coinvolgendo anche liste civiche nazionali. «È vero, ci vuole una
ristrutturazione dell´offerta politica», si è convinto, a pochi giorni
dal responso dei ballottaggi, dal boom di Grillo, dal leit motiv che
ormai imperversa "il Pd ha vinto ma non ha convinto". Per questo ieri,
Bersani ha detto che in direzione martedì lancerà un appello a
progressisti, riformisti e anche all´Udc. Per aggiungere subito dopo,
che non è una faccenda di Palazzo, bensì l´esatto contrario, l´inizio di
un tam tam nel paese, di una ricostruzione. «Comincia la strada verso
le elezioni», annuncerà nella riunione del partito.
Ma in questo
percorso non è prevista la riforma costituzionale per l´elezione diretta
del presidente della Repubblica, che Berlusconi e Alfano hanno gettato
sul tavolo. Il Pd stoppa. Non solo il segretario, ma Bindi, Fioroni,
Finocchiaro, molti altri leader (anche se è una giornata di colloqui e
riunioni) sono convinti che quello del Cavaliere sia un trappolone.
Condito bene. Perché sulla bilancia da un lato c´è il presidente eletto
direttamente dal popolo e dall´altro la legge elettorale a doppio turno
(che sta a cuore a Pd). Nel merito il semi presidenzialismo non è un
tabù per i Democratici. Tuttavia in questo momento è «buttare la palla
in tribuna», azzerare il lavoro che si sta facendo al Senato sulle
riforme istituzionali. «Sospetto che Berlusconi non voglia fare nulla
sulla legge elettorale, e voglia mantenere il Porcellum». Non ci gira
attorno Bersani per il quale l´altro timore è che l´Unto del Signore si
riprenda la scena con l´ultima possibilità di afferrare il treno per il
Quirinale.
Sono i sondaggi che circolano nella sede del Nazareno a
tenere banco, a mostrare che "l´usato sicuro" ha bisogno di non
arroccarsi, se non vuole regalare a Grillo e all´astensione il voto
delle politiche. Quindi apertura a civismi, ai vendoliani, ai moderati.
Non una federazione di partiti. Non si parla più di Nuovo Ulivo, bensì
di una coalizione dove potrebbero starci anche movimenti organizzati,
liste civiche nazionali, appunto. Qui però si aprono le polemiche, i
"distinguo". C´è chi come Walter Veltroni è convinto che un listone
accanto al Pd sarebbe vantaggioso, se non indispensabile, reclutando da
Roberto Saviano alla ex presidente dei giovani industriali Federica
Guidi, giornalisti, giuristi. Ipotesi avversata dai dalemiani. Matteo
Orfini attacca a testa bassa: «Se Saviano o Gustavo Zagrebelsky
intendono impegnarsi devono trovare nel Pd la loro casa». Ci sono poi
Vendola e Di Pietro che lanciano un appello a Bersani («Se non ora,
quando?»), e che a loro volta sono chiamati a rispondere all´appello del
Pd per il "Patto".
Il "Patto democratico" è la base di un
rinnovamento, oltre i partiti con la regia dei Democratici. Basterà a
Renzi e ai "rottamatori"? Per loro il rilancio passa per la primarie
d´autunno, in cui Bersani si rimetta in gioco. Nella riunione del
"parlamentino" democratico la questione primarie sarà sollevata dai
trenta/quarantenni come Civati, Gozi. Nel centrosinistra c´è molta
fibrillazione, Vendola riunisce domani il coordinamento di Sel. E a
proposito dei moderati e del "piano Montezemolo", Bersani lancia
l´allerta: non è che si possa pensare a un´operazione di lifting in
assenza di Berlusconi con quella classe politica che ha portato il paese
al disastro, bisogna scegliere.
l’Unità 27.5.12
Il Pd sfida il centrodestra: subito il doppio turno
Bersani martedì proporrà il patto tra riformisti moderati e liste civiche
di Maria Zegarelli
Il
sospetto, fortissimo, è quello di trovarsi per l’ennesima volta di
fronte ad un bluff, uno di quelli a cui «Silvio Berlusconi ci ha
purtroppo fatto abituare e la vicenda della Bicamerale è un precedente
esemplare». Questo dicono al Nazareno, all’indomani della conferenza
stampa flop di Berlusconi e Angelino Alfano. E nessuno crede sia
soltanto una gaffe del segretario dal quid incerto, «Silvio Berlusconi
presidente della Repubblica»: anche qui il sospetto è che si tratti di
una frase dal sen fuggita a furia di parlarne e riparlarne nei colloqui
riservati.
Berlusconi punta a tenersi il Porcellum e mira al
Quirinale, come lascia intuire nella sua risposta sibillina, «farò
quello che mi chiederà il Pdl». «Quello è il suo obiettivo dice Beppe
Fioroni perché dalle simulazioni del voto fatte effettuare da Denis
Verdini viene fuori che una legge elettorale con il doppio turno sarebbe
un disastro per il Pdl, ragion per cui l’unica possibilità di
accettarla è quella del semipresidenzialismo». Anche Walter Verini non
crede alla bontà dell’offerta Pdl, «sia per la provenienza Della
proposta, sia per la proposta in sé arrivata fuori tempo massimo. Sono
d’accordo con Violante e Franceschini, noi non abbiamo problemi ad
andare a vedere quali sono le intenzioni, non mi dispiace affatto il
semipresidenzialismo, ma il Pd deve incatenarsi prima di tutto alla
riforma della legge elettorale. Facciamo questa, adesso, e poi
incardiniamo un ragionamento serio sul riassetto costituzionale».
Su
questo sono tutti d’accordo nel Pd, da Enrico Letta e Rosy Bindi: nessun
gioco di prestigio considerata la coda di legislatura che ci separa dal
voto della primavera 2013. Immaginare, poi, che si possa mettere mano
ad un tale cambiamento degli equilibri dei poteri previsti dalla Carta
Costituzionale presentando un «emendamento» alla proposta a cui sta
lavorando la Commissione Affari costituzionali del Senato, al Nazareno
viene considerata poco più di una «battuta di spirito», con buona pace
del presidente di Palazzo Madama, Renato Schifani, che ieri l’ha
ritenuta una strada percorribile.
LA VERA POSTA IN GIOCO
Pier
Luigi Bersani, che sta lavorando alla relazione che presenterà martedì
alla direzione del partito, non crede alle buone intenzioni dell’ex
premier. «Non ci sono le condizioni», ha replicato a caldo. E a chi, dal
fronte Pdl, dice come fa Maria Stella Gelmini che adesso si vedrà «chi
vuole davvero le riforme» e chi vuole lasciare tutto come è, il
segretario replica che non è da oggi «che si misura la volontà
riformatrice del Pd». Adesso è il tempo di scegliere «cosa è necessario e
cosa è possibile fare», ha spiegato ieri. E tra le cose necessarie per
Bersani c’è «la riforma della legge elettorale e noi siamo per il doppio
turno alla francese», mentre tra quelle possibili ci sono le riforme di
cui il Parlamento sta discutendo in queste settimane, dalla riduzione
dei finanziamenti ai partiti, a quella del numero dei parlamentari.
Bersani non chiude al semipresidenzialismo, ma non intende rischiare di
non portare a casa alcuna riforma prima della fine della legislatura.
Sarebbe un segnale devastante per il Paese e per la politica. «Sbaglia
chi pensa che Berlusconi sia uscito di scena, basta un laspus e si
capisce a cosa mira, e sbaglia chi ritiene che la destra non ci sia
più», ha ragionato con i suoi. Nasce anche da qui la convinzione che sia
necessario lanciare un Patto tra progressisti e moderati aperto al
civismo, perché, dice, deve essere il Pd «il perno di un’alleanza che
parla al Paese» che allarga e non restringe i suoi confini in grado di
rivolgersi anche a quella larghissima fetta di elettori che non si
riconosce nei partiti ma cerca rappresentanza. Motivo per cui non
risponde, adesso, a Di Pietro e Vendola che lanciano ultimatum in vista
delle prossime elezioni.
Risponderà, invece, a Berlusconi,
invitandolo «a scoprire le carte» e dimostrare che anche il Pdl vuole
davvero «cambiare la legge elettorale» anziché anteporre la riforma
costituzionale rischiando di non riuscire a far nulla.
«Capisco lo
scetticismo di Bersani, la sua diffidenza», dice Paolo Gentiloni Il
segretario per il quale però il Pd, ha «il dovere di Pd Pier Luigi
capire» se è «l’occasione per cambiare Bersani FOTO ANSA profondamente
l’ossatura istituzionale del Paese. Esiste una sola possibilità? Bene,
verifichiamolo in tempi rapidi». Ipotesi che non piace affatto a Vannino
Chiti, «sconcertato e anche un po’ indignato» nel sentire «esponenti
politici, anche progressisti, affermare che sulla proposta di
presidenzialismo, riesumata da Berlusconi a sette mesi dalla fine della
legislatura, occorre andare a vedere e verificare se sia un bluff. La
Costituzione non è un gioco di poker né una proprietà dei partiti». Per
Rosy Bindi dietro la mossa a sorpresa di Berlusconi c’è soltanto la
«indisponibilità a fare la riforma elettorale del Porcellum, che per noi
è fondamentale». Di sicuro un obiettivo l’ex premier l’ha raggiunto:
non far parlare per qualche oradel disfacimento del suo partito.
orriere 27.5.12
L'ultimatum di Sel e Idv a Bersani
E Grillo sospetta stragi di Stato: bomba o non bomba, arriveremo a Roma
di Alessandro Trocino
ROMA
— Da una parte il Pdl, che lancia il sistema semipresidenziale alla
francese e prova a seminare zizzania. Da un'altra Beppe Grillo, che dopo
gli attacchi al Pd alza il livello dello scontro, attribuendo attentati
e stragi al tentativo di «fermare il cambiamento». Dall'altra ancora
Antonio Di Pietro e Nichi Vendola, che lanciano un ultimatum sulle
alleanze. Il Pd, tirato per la giacchetta da più parti, prova a tenere
diritta la barra, ma evita di dare risposte dirette, in attesa della
Direzione di martedì, dove potrebbe essere lanciato un patto che
coinvolga liste civiche nazionali, moderati e riformisti. L'ultimatum di
Italia dei valori e Sinistra e libertà arriva in tv, al programma «In
onda», su La7. Qui si presentano Di Pietro e Vendola, che si fanno
immortalare con la sagoma cartonata di Pier Luigi Bersani. In questa
scenografica postura, lanciano la loro richiesta, perentoria: o subito
gli Stati generali per un centrosinistra unito oppure si parte da soli.
La data della nuova Vasto (quella della famosa foto che aveva fissato
simbolicamente un'alleanza a tre) è già fissata, con tanto di invito a
Bersani: 21-23 settembre.
Vendola, che abbraccia scherzosamente un
Bersani cartonato e accigliato, è chiaro: «Convochiamo gli Stati
generali del futuro. Bersani dice no? Io e Di Pietro apriamo il
cantiere, cominciamo lo stesso. Da soli». Bersani, cartonato, tace. E
non si pensi di tirarla troppo in lungo: «Le tarantelle, il gioco dei 4
cantoni o delle belle statuine, i balletti dell'alleanzismo — dice
Vendola con un neologismo — a me non interessano. Bisogna capire qual è
il cuore della proposta di Bersani. Se c'è una critica delle politiche
liberiste e di austerità del governo Monti, è il nostro programma. Anche
io avevo attese rispetto al nuovo governo, ma è fallita l'idea del Pd
di condizionarlo. E la linea vincente, come si vede, è quella di
Hollande: è battere la Merkel».
Fissata l'asta a sinistra, Vendola
ammorbidisce i toni: «Il nostro non è né un ultimatum né una minaccia,
ma abbiamo il dovere di costruire una risposta alla sparpagliata
richiesta di cambiamento che viene dal Paese». La proposta è questa:
«Noi siamo disponibili a un programma socialdemocratico di tipo europeo.
Proponiamo a Bersani di essere una coalizione limpidamente
antiliberista». Anche Antonio Di Pietro rilancia le ragioni di Vasto:
«Ho scritto a Bersani: lo aspettiamo a Vasto dal 21 al 23 settembre. È
da lì che bisogna ripartire per costruire un'alleanza molto più ampia.
Se non coinvolgiamo la società non bastiamo più neppure noi, rischiamo
di essere superflui».
Il Pd sceglie di tacere. Parla solo Davide
Zoggia: «Si allunga l'elenco degli insulti di Di Pietro». E Enrico
Farinone: «No agli aut aut, gli estremismi non servono». Enrico Letta,
che non ha mai visto di buon occhio l'alleanza a sinistra, non cambia
idea: «Bisogna modificare la legge elettorale e andare al doppio turno
per abbandonare l'epoca delle coalizioni forzose, che non è stata
fruttuosa. La nostra strategia deve ruotare intorno al Pd come forza
guida».
Quanto a Grillo, il suo post di ieri ha un titolo
vendittiano: «Bomba o non bomba arriveremo a Roma». Il leader a Cinque
Stelle sa chi sono i responsabili del ferimento di Adinolfi a Genova e
della bomba a Brindisi: sono le «forze che vogliono mantenere gli
interessi costituiti, economici e politici». Tesi non molto diversa da
chi le ritiene, come si diceva una volta, che si tratti di «stragi di
Stato». Grillo cita, tra l'altro, le stragi di piazza Fontana, Capaci e
alla stazione di Bologna. Parole che non piacciono a Rosy Bindi: «Con le
bombe non si scherza». Né a Emanuele Fiano: «Cinico marketing
elettorale».
l’Unità 27.5.12
Vendola e Di Pietro, ultimatum al Pd sull’alleanza
Appello a Bersani: «Subito gli stati generali del centrosinistra» per ampliare l’alleanza di Vasto
di N. L.
ROMA
È quasi un ultimatum politico quello che Nichi Vendola e Antonio Di
Pietro hanno lanciato a Pier Luigi Bersani: costruiamo insieme un
«cantiere» in stile Hollande o lo facciamo da soli: «Convochiamo gli
Stati generali del futuro, del centrosinistra come luogo per salvare il
Paese. Bersani dice no? Io e Di Pietro apriamo il cantiere, cominciamo
lo stesso da soli», ha detto il leader di Sinistra e Libertà durante la
registrazione della trasmissione In Onda su La7.
Ospite anche Di
Pietro, tra loro nello studio c’è anche Bersani, ma solo come sagoma di
cartone. E se il segretario del Pd martedì in direzione lancerà il
«Patto dei progressisti» che tenga insieme riformisti e moderati, ma
anche le liste civiche, Vendola e Di Pietro propongono un’alleanza più
«vasta» della famosa «foto di Vasto» che immortalò l’abbraccio tra i
leader del Pd, di Sel e dell’Idv.
Finora Bersani non ha risposto alle
richieste di incontro lanciate dai due leader all’indomani delle
amministrative, nelle quali l’alleanza a tre è stata vincente. Entrambi
sembrano d’accordo con Bersani nella proposta di andare oltre l’immagine
simbolo scattata alla convention dell’Idv nel settembre 2011.
L’obiettivo è quello di coinvolgere «ampie fette della società civile ma
rilanciando quel progetto vincente di centrosinistra», spiega Vendola,
una coalizione «antiliberista, come quella che ha vinto in Francia con
Hollande» che unisca non solo i partiti ma anche chi ha costruito«la
contestazione a Berlusconi e al leghismo, dal movimento degli studenti,
ai precari, alle donne di “Se non ora quando”, ai comitati
ambientalisti». Il leader di Sel chiede un «programma per l’Italia»
piuttosto che le «tarantelle sulle alleanze». E nel «cantiere» i temi
cari a Sel vanno dal «reddito minimo garantito per le giovani
generazioni» al «welfare ambientale per la messa in sicurezza» dei
territori. E se per Vendola stare con Montezemolo è un po’ complicato»
per una questione «di classe», stare con Grillo è «difficile», come lo è
«sapere dove sta lui, anche per molti grillini».
Di Pietro annuncia
la data per scattare la foto allargata: «Ho già scritto a Bersani per
dirgli che lo aspettiamo a Vasto dal 21 al 23 settembre», ha detto ieri.
E, un po’ sulle frequenze del grillismo, straccia le «formule» delle
alchimie politiche: «Io chiedo un programma chiaro e preferisco stare
fuori dal grumo di potere di chi si guarda allo specchio e pensa di
rappresentare il Paese mentre rappresenta solo se stesso. Stabiliamo tre
cose chiare: non si candidano i condannati, c’è un’incompatibilità con
altri ruoli, chi è eletto non può avere incarichi di governo».
Dalla
segreteria Pd risponde Davide Zoggia, responsabile enti locali, che non
fa sconti al leader Idv: «Consegneremo l’elenco delle invettive, degli
insulti e delle provocazioni che da mesi sta riservando al Pd», anche
ieri, pensando a «dare cazzotti a quello che dovrebbe essere il
principale alleato e guida della coalizione. La nostra risposta è
semplice: decida cosa vuole fare da grande Di Pietro».
Insomma, di
nuova foto di Vasto c’è solo quella che, scherzosamente, viene scattata
nello studio dai conduttori Luca Telese e Nicola Porro, con Vendola che
abbraccia il Bersani di cartone.
Corriere 27.5.12
Nicola Latorre: «No a cimeli preistorici, serve altro. Una lista unica che parta dal basso»
di Maria Teresa Meli
ROMA
— Una grande unica lista alle prossime elezioni, che raccolga il Pd,
Sel, ma anche i movimenti, le associazioni ed esponenti della società
civile, e che nasca dal basso: è questa la controproposta che Nicola
Latorre, vicecapogruppo del Pd al Senato, avanza a Vendola.
Può spiegarsi meglio?
«Io
credo che il voto francese, prima, e le amministrative, poi, segnino un
giro di boa nella situazione italiana. Il voto francese certifica la
fine dell'asse Merkel-Sarkozy. Ci sono quindi le condizioni perché
l'Italia partecipi attivamente a sconfiggere l'attuale politica tedesca.
Il voto amministrativo sancisce invece la fine della stagione
berlusconiana. Siamo dunque nel pieno di una transizione i cui sbocchi
sono assolutamente imprevedibili».
Quindi?
«Quindi si può uscire
da questa situazione o con una svolta vera o con una deriva che ferma
ogni processo di cambiamento nel solco delle migliori tradizioni
gattopardesche italiane. Ma tornando alle amministrative: il loro
risultato segna un successo del centrosinistra e conferma il Pd quale
unica forza politica radicata che mantiene una dimensione nazionale.
Perciò dobbiamo essere noi il perno attorno a cui costruire un nuovo
progetto di governo. Ma non dobbiamo guardare con trionfalismo al
risultato. Ora inizia la sfida vera. Che è mettere in campo
un'iniziativa che si misuri con il cuore del problema: la crisi della
democrazia. Oggi la domanda di cambiamento e rinnovamento delle classi
dirigenti così forte si coniuga con una grande domanda di democrazia
diretta, di partecipazione attiva dei cittadini. È anche in questa
chiave che va letta la critica ai partiti e alla politica come oggi
appare, non in grado di rispondere a questa domanda di democrazia. E
invece la nostra proposta politica deve rispondere a questa domanda e
risolvere il rapporto tra essa e la democrazia rappresentativa. Se è
questo il problema anche la questione delle alleanze si ripropone in
termini nuovi: tanto la foto di Vasto quanto la discussione se bisogna
andare con Casini o Vendola appaiono come cimeli preistorici».
Che fare, allora, secondo lei?
«Recuperare
l'ispirazione fondamentale che ci spinse a dare vita al Pd: quella di
creare un soggetto politico in grado di raccogliere in sé tutte le
istanze di cambiamento. Per questo oggi si impone una nuova fase del
processo costitutivo che non può che partire dal basso. Io penso che il
Pd dovrebbe essere promotore in tutte le realtà territoriali di
laboratori urbani laddove i nostri militanti si confrontino con
associazioni di base, cittadini, movimenti, con le fabbriche di Vendola.
E alle elezioni dobbiamo presentarci con un'unica lista che incarni la
proposta di governo che vogliamo offrire al Paese, frutto anche di
questo lavoro nei territori. Ritengo invece un inutile tatticismo quello
di pensare di poter recuperare il rapporto con la società attraverso
una lista civica che affianchi il Pd: mi sembra un modo per sancire il
fallimento del progetto del Partito democratico».
E le primarie?
«Le
primarie non devono essere, come sembra invece pensare Renzi, un modo
per regolare i conti all'interno ma uno strumento per costruire il
grande partito politico che abbiamo sempre immaginato. In questo quadro
sono convinto che Bersani possa essere il nostro Hollande».
Lei pensa a un Pd che inglobi tutto.
«No,
immagino una nuova tappa della formazione del Pd che riparta dal basso e
culmini in una unica lista. E Vendola può entrare a pieno titolo in
questo processo, che però deve partire dal basso: non può essere
un'operazione politicistica. Per rinnovare davvero dobbiamo metterci in
discussione, sennò siamo destinati a perire.
E in questo quadro qual è il rapporto tra il Pd e il governo?
«Il
voto ha dimostrato che i nostri elettori hanno capito l'appoggio al
governo, ma se entro l'estate non approviamo almeno in un ramo del
Parlamento la riforma elettorale, la riduzione dei parlamentari, non
risolviamo il problema degli esodati, dei crediti della pubblica
amministrazione e non modifichiamo almeno in parte il patto di stabilità
dei Comuni questa comprensione entrerà in crisi».
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