domenica 27 maggio 2012

Gli aspiranti maggiordomi implorano l'alleanza ma il PD sta lavorando al marchingegno

Repubblica 26.5.12
Bersani lancia il "Patto dei progressisti"
Il segretario Pd vuole mettere insieme riformisti, moderati e liste civiche
Lite tra veltroniani e dalemiani sul listone civico
di Giovanna Casadio


ROMA - La proposta politica è questa: un rassemblement dei progressisti, riformisti e moderati. Un´apertura alle forze civiche, per radunare accanto al Pd-"usato sicuro" (come Bersani ha ironicamente definito il "suo" partito) giovani, competenze, società civile, élite. Un "Patto" largo, coinvolgendo anche liste civiche nazionali. «È vero, ci vuole una ristrutturazione dell´offerta politica», si è convinto, a pochi giorni dal responso dei ballottaggi, dal boom di Grillo, dal leit motiv che ormai imperversa "il Pd ha vinto ma non ha convinto". Per questo ieri, Bersani ha detto che in direzione martedì lancerà un appello a progressisti, riformisti e anche all´Udc. Per aggiungere subito dopo, che non è una faccenda di Palazzo, bensì l´esatto contrario, l´inizio di un tam tam nel paese, di una ricostruzione. «Comincia la strada verso le elezioni», annuncerà nella riunione del partito.
Ma in questo percorso non è prevista la riforma costituzionale per l´elezione diretta del presidente della Repubblica, che Berlusconi e Alfano hanno gettato sul tavolo. Il Pd stoppa. Non solo il segretario, ma Bindi, Fioroni, Finocchiaro, molti altri leader (anche se è una giornata di colloqui e riunioni) sono convinti che quello del Cavaliere sia un trappolone. Condito bene. Perché sulla bilancia da un lato c´è il presidente eletto direttamente dal popolo e dall´altro la legge elettorale a doppio turno (che sta a cuore a Pd). Nel merito il semi presidenzialismo non è un tabù per i Democratici. Tuttavia in questo momento è «buttare la palla in tribuna», azzerare il lavoro che si sta facendo al Senato sulle riforme istituzionali. «Sospetto che Berlusconi non voglia fare nulla sulla legge elettorale, e voglia mantenere il Porcellum». Non ci gira attorno Bersani per il quale l´altro timore è che l´Unto del Signore si riprenda la scena con l´ultima possibilità di afferrare il treno per il Quirinale.
Sono i sondaggi che circolano nella sede del Nazareno a tenere banco, a mostrare che "l´usato sicuro" ha bisogno di non arroccarsi, se non vuole regalare a Grillo e all´astensione il voto delle politiche. Quindi apertura a civismi, ai vendoliani, ai moderati. Non una federazione di partiti. Non si parla più di Nuovo Ulivo, bensì di una coalizione dove potrebbero starci anche movimenti organizzati, liste civiche nazionali, appunto. Qui però si aprono le polemiche, i "distinguo". C´è chi come Walter Veltroni è convinto che un listone accanto al Pd sarebbe vantaggioso, se non indispensabile, reclutando da Roberto Saviano alla ex presidente dei giovani industriali Federica Guidi, giornalisti, giuristi. Ipotesi avversata dai dalemiani. Matteo Orfini attacca a testa bassa: «Se Saviano o Gustavo Zagrebelsky intendono impegnarsi devono trovare nel Pd la loro casa». Ci sono poi Vendola e Di Pietro che lanciano un appello a Bersani («Se non ora, quando?»), e che a loro volta sono chiamati a rispondere all´appello del Pd per il "Patto".
Il "Patto democratico" è la base di un rinnovamento, oltre i partiti con la regia dei Democratici. Basterà a Renzi e ai "rottamatori"? Per loro il rilancio passa per la primarie d´autunno, in cui Bersani si rimetta in gioco. Nella riunione del "parlamentino" democratico la questione primarie sarà sollevata dai trenta/quarantenni come Civati, Gozi. Nel centrosinistra c´è molta fibrillazione, Vendola riunisce domani il coordinamento di Sel. E a proposito dei moderati e del "piano Montezemolo", Bersani lancia l´allerta: non è che si possa pensare a un´operazione di lifting in assenza di Berlusconi con quella classe politica che ha portato il paese al disastro, bisogna scegliere.



l’Unità 27.5.12
Il Pd sfida il centrodestra: subito il doppio turno
Bersani martedì proporrà il patto tra riformisti moderati e liste civiche
di Maria Zegarelli

Il sospetto, fortissimo, è quello di trovarsi per l’ennesima volta di fronte ad un bluff, uno di quelli a cui «Silvio Berlusconi ci ha purtroppo fatto abituare e la vicenda della Bicamerale è un precedente esemplare». Questo dicono al Nazareno, all’indomani della conferenza stampa flop di Berlusconi e Angelino Alfano. E nessuno crede sia soltanto una gaffe del segretario dal quid incerto, «Silvio Berlusconi presidente della Repubblica»: anche qui il sospetto è che si tratti di una frase dal sen fuggita a furia di parlarne e riparlarne nei colloqui riservati.
Berlusconi punta a tenersi il Porcellum e mira al Quirinale, come lascia intuire nella sua risposta sibillina, «farò quello che mi chiederà il Pdl». «Quello è il suo obiettivo dice Beppe Fioroni perché dalle simulazioni del voto fatte effettuare da Denis Verdini viene fuori che una legge elettorale con il doppio turno sarebbe un disastro per il Pdl, ragion per cui l’unica possibilità di accettarla è quella del semipresidenzialismo». Anche Walter Verini non crede alla bontà dell’offerta Pdl, «sia per la provenienza Della proposta, sia per la proposta in sé arrivata fuori tempo massimo. Sono d’accordo con Violante e Franceschini, noi non abbiamo problemi ad andare a vedere quali sono le intenzioni, non mi dispiace affatto il semipresidenzialismo, ma il Pd deve incatenarsi prima di tutto alla riforma della legge elettorale. Facciamo questa, adesso, e poi incardiniamo un ragionamento serio sul riassetto costituzionale».
Su questo sono tutti d’accordo nel Pd, da Enrico Letta e Rosy Bindi: nessun gioco di prestigio considerata la coda di legislatura che ci separa dal voto della primavera 2013. Immaginare, poi, che si possa mettere mano ad un tale cambiamento degli equilibri dei poteri previsti dalla Carta Costituzionale presentando un «emendamento» alla proposta a cui sta lavorando la Commissione Affari costituzionali del Senato, al Nazareno viene considerata poco più di una «battuta di spirito», con buona pace del presidente di Palazzo Madama, Renato Schifani, che ieri l’ha ritenuta una strada percorribile.
LA VERA POSTA IN GIOCO
Pier Luigi Bersani, che sta lavorando alla relazione che presenterà martedì alla direzione del partito, non crede alle buone intenzioni dell’ex premier. «Non ci sono le condizioni», ha replicato a caldo. E a chi, dal fronte Pdl, dice come fa Maria Stella Gelmini che adesso si vedrà «chi vuole davvero le riforme» e chi vuole lasciare tutto come è, il segretario replica che non è da oggi «che si misura la volontà riformatrice del Pd». Adesso è il tempo di scegliere «cosa è necessario e cosa è possibile fare», ha spiegato ieri. E tra le cose necessarie per Bersani c’è «la riforma della legge elettorale e noi siamo per il doppio turno alla francese», mentre tra quelle possibili ci sono le riforme di cui il Parlamento sta discutendo in queste settimane, dalla riduzione dei finanziamenti ai partiti, a quella del numero dei parlamentari. Bersani non chiude al semipresidenzialismo, ma non intende rischiare di non portare a casa alcuna riforma prima della fine della legislatura. Sarebbe un segnale devastante per il Paese e per la politica. «Sbaglia chi pensa che Berlusconi sia uscito di scena, basta un laspus e si capisce a cosa mira, e sbaglia chi ritiene che la destra non ci sia più», ha ragionato con i suoi. Nasce anche da qui la convinzione che sia necessario lanciare un Patto tra progressisti e moderati aperto al civismo, perché, dice, deve essere il Pd «il perno di un’alleanza che parla al Paese» che allarga e non restringe i suoi confini in grado di rivolgersi anche a quella larghissima fetta di elettori che non si riconosce nei partiti ma cerca rappresentanza. Motivo per cui non risponde, adesso, a Di Pietro e Vendola che lanciano ultimatum in vista delle prossime elezioni.
Risponderà, invece, a Berlusconi, invitandolo «a scoprire le carte» e dimostrare che anche il Pdl vuole davvero «cambiare la legge elettorale» anziché anteporre la riforma costituzionale rischiando di non riuscire a far nulla.
«Capisco lo scetticismo di Bersani, la sua diffidenza», dice Paolo Gentiloni Il segretario per il quale però il Pd, ha «il dovere di Pd Pier Luigi capire» se è «l’occasione per cambiare Bersani FOTO ANSA profondamente l’ossatura istituzionale del Paese. Esiste una sola possibilità? Bene, verifichiamolo in tempi rapidi». Ipotesi che non piace affatto a Vannino Chiti, «sconcertato e anche un po’ indignato» nel sentire «esponenti politici, anche progressisti, affermare che sulla proposta di presidenzialismo, riesumata da Berlusconi a sette mesi dalla fine della legislatura, occorre andare a vedere e verificare se sia un bluff. La Costituzione non è un gioco di poker né una proprietà dei partiti». Per Rosy Bindi dietro la mossa a sorpresa di Berlusconi c’è soltanto la «indisponibilità a fare la riforma elettorale del Porcellum, che per noi è fondamentale». Di sicuro un obiettivo l’ex premier l’ha raggiunto: non far parlare per qualche oradel disfacimento del suo partito.



orriere 27.5.12

L'ultimatum di Sel e Idv a Bersani
E Grillo sospetta stragi di Stato: bomba o non bomba, arriveremo a Roma
di Alessandro Trocino

ROMA — Da una parte il Pdl, che lancia il sistema semipresidenziale alla francese e prova a seminare zizzania. Da un'altra Beppe Grillo, che dopo gli attacchi al Pd alza il livello dello scontro, attribuendo attentati e stragi al tentativo di «fermare il cambiamento». Dall'altra ancora Antonio Di Pietro e Nichi Vendola, che lanciano un ultimatum sulle alleanze. Il Pd, tirato per la giacchetta da più parti, prova a tenere diritta la barra, ma evita di dare risposte dirette, in attesa della Direzione di martedì, dove potrebbe essere lanciato un patto che coinvolga liste civiche nazionali, moderati e riformisti. L'ultimatum di Italia dei valori e Sinistra e libertà arriva in tv, al programma «In onda», su La7. Qui si presentano Di Pietro e Vendola, che si fanno immortalare con la sagoma cartonata di Pier Luigi Bersani. In questa scenografica postura, lanciano la loro richiesta, perentoria: o subito gli Stati generali per un centrosinistra unito oppure si parte da soli. La data della nuova Vasto (quella della famosa foto che aveva fissato simbolicamente un'alleanza a tre) è già fissata, con tanto di invito a Bersani: 21-23 settembre.
Vendola, che abbraccia scherzosamente un Bersani cartonato e accigliato, è chiaro: «Convochiamo gli Stati generali del futuro. Bersani dice no? Io e Di Pietro apriamo il cantiere, cominciamo lo stesso. Da soli». Bersani, cartonato, tace. E non si pensi di tirarla troppo in lungo: «Le tarantelle, il gioco dei 4 cantoni o delle belle statuine, i balletti dell'alleanzismo — dice Vendola con un neologismo — a me non interessano. Bisogna capire qual è il cuore della proposta di Bersani. Se c'è una critica delle politiche liberiste e di austerità del governo Monti, è il nostro programma. Anche io avevo attese rispetto al nuovo governo, ma è fallita l'idea del Pd di condizionarlo. E la linea vincente, come si vede, è quella di Hollande: è battere la Merkel».
Fissata l'asta a sinistra, Vendola ammorbidisce i toni: «Il nostro non è né un ultimatum né una minaccia, ma abbiamo il dovere di costruire una risposta alla sparpagliata richiesta di cambiamento che viene dal Paese». La proposta è questa: «Noi siamo disponibili a un programma socialdemocratico di tipo europeo. Proponiamo a Bersani di essere una coalizione limpidamente antiliberista». Anche Antonio Di Pietro rilancia le ragioni di Vasto: «Ho scritto a Bersani: lo aspettiamo a Vasto dal 21 al 23 settembre. È da lì che bisogna ripartire per costruire un'alleanza molto più ampia. Se non coinvolgiamo la società non bastiamo più neppure noi, rischiamo di essere superflui».
Il Pd sceglie di tacere. Parla solo Davide Zoggia: «Si allunga l'elenco degli insulti di Di Pietro». E Enrico Farinone: «No agli aut aut, gli estremismi non servono». Enrico Letta, che non ha mai visto di buon occhio l'alleanza a sinistra, non cambia idea: «Bisogna modificare la legge elettorale e andare al doppio turno per abbandonare l'epoca delle coalizioni forzose, che non è stata fruttuosa. La nostra strategia deve ruotare intorno al Pd come forza guida».
Quanto a Grillo, il suo post di ieri ha un titolo vendittiano: «Bomba o non bomba arriveremo a Roma». Il leader a Cinque Stelle sa chi sono i responsabili del ferimento di Adinolfi a Genova e della bomba a Brindisi: sono le «forze che vogliono mantenere gli interessi costituiti, economici e politici». Tesi non molto diversa da chi le ritiene, come si diceva una volta, che si tratti di «stragi di Stato». Grillo cita, tra l'altro, le stragi di piazza Fontana, Capaci e alla stazione di Bologna. Parole che non piacciono a Rosy Bindi: «Con le bombe non si scherza». Né a Emanuele Fiano: «Cinico marketing elettorale».

l’Unità 27.5.12
Vendola e Di Pietro, ultimatum al Pd sull’alleanza
Appello a Bersani: «Subito gli stati generali del centrosinistra» per ampliare l’alleanza di Vasto
di N. L.

ROMA È quasi un ultimatum politico quello che Nichi Vendola e Antonio Di Pietro hanno lanciato a Pier Luigi Bersani: costruiamo insieme un «cantiere» in stile Hollande o lo facciamo da soli: «Convochiamo gli Stati generali del futuro, del centrosinistra come luogo per salvare il Paese. Bersani dice no? Io e Di Pietro apriamo il cantiere, cominciamo lo stesso da soli», ha detto il leader di Sinistra e Libertà durante la registrazione della trasmissione In Onda su La7.
Ospite anche Di Pietro, tra loro nello studio c’è anche Bersani, ma solo come sagoma di cartone. E se il segretario del Pd martedì in direzione lancerà il «Patto dei progressisti» che tenga insieme riformisti e moderati, ma anche le liste civiche, Vendola e Di Pietro propongono un’alleanza più «vasta» della famosa «foto di Vasto» che immortalò l’abbraccio tra i leader del Pd, di Sel e dell’Idv.
Finora Bersani non ha risposto alle richieste di incontro lanciate dai due leader all’indomani delle amministrative, nelle quali l’alleanza a tre è stata vincente. Entrambi sembrano d’accordo con Bersani nella proposta di andare oltre l’immagine simbolo scattata alla convention dell’Idv nel settembre 2011. L’obiettivo è quello di coinvolgere «ampie fette della società civile ma rilanciando quel progetto vincente di centrosinistra», spiega Vendola, una coalizione «antiliberista, come quella che ha vinto in Francia con Hollande» che unisca non solo i partiti ma anche chi ha costruito«la contestazione a Berlusconi e al leghismo, dal movimento degli studenti, ai precari, alle donne di “Se non ora quando”, ai comitati ambientalisti». Il leader di Sel chiede un «programma per l’Italia» piuttosto che le «tarantelle sulle alleanze». E nel «cantiere» i temi cari a Sel vanno dal «reddito minimo garantito per le giovani generazioni» al «welfare ambientale per la messa in sicurezza» dei territori. E se per Vendola stare con Montezemolo è un po’ complicato» per una questione «di classe», stare con Grillo è «difficile», come lo è «sapere dove sta lui, anche per molti grillini».
Di Pietro annuncia la data per scattare la foto allargata: «Ho già scritto a Bersani per dirgli che lo aspettiamo a Vasto dal 21 al 23 settembre», ha detto ieri. E, un po’ sulle frequenze del grillismo, straccia le «formule» delle alchimie politiche: «Io chiedo un programma chiaro e preferisco stare fuori dal grumo di potere di chi si guarda allo specchio e pensa di rappresentare il Paese mentre rappresenta solo se stesso. Stabiliamo tre cose chiare: non si candidano i condannati, c’è un’incompatibilità con altri ruoli, chi è eletto non può avere incarichi di governo».
Dalla segreteria Pd risponde Davide Zoggia, responsabile enti locali, che non fa sconti al leader Idv: «Consegneremo l’elenco delle invettive, degli insulti e delle provocazioni che da mesi sta riservando al Pd», anche ieri, pensando a «dare cazzotti a quello che dovrebbe essere il principale alleato e guida della coalizione. La nostra risposta è semplice: decida cosa vuole fare da grande Di Pietro».
Insomma, di nuova foto di Vasto c’è solo quella che, scherzosamente, viene scattata nello studio dai conduttori Luca Telese e Nicola Porro, con Vendola che abbraccia il Bersani di cartone.



Corriere 27.5.12

Nicola Latorre: «No a cimeli preistorici, serve altro. Una lista unica che parta dal basso»
di Maria Teresa Meli

ROMA — Una grande unica lista alle prossime elezioni, che raccolga il Pd, Sel, ma anche i movimenti, le associazioni ed esponenti della società civile, e che nasca dal basso: è questa la controproposta che Nicola Latorre, vicecapogruppo del Pd al Senato, avanza a Vendola.
Può spiegarsi meglio?
«Io credo che il voto francese, prima, e le amministrative, poi, segnino un giro di boa nella situazione italiana. Il voto francese certifica la fine dell'asse Merkel-Sarkozy. Ci sono quindi le condizioni perché l'Italia partecipi attivamente a sconfiggere l'attuale politica tedesca. Il voto amministrativo sancisce invece la fine della stagione berlusconiana. Siamo dunque nel pieno di una transizione i cui sbocchi sono assolutamente imprevedibili».
Quindi?
«Quindi si può uscire da questa situazione o con una svolta vera o con una deriva che ferma ogni processo di cambiamento nel solco delle migliori tradizioni gattopardesche italiane. Ma tornando alle amministrative: il loro risultato segna un successo del centrosinistra e conferma il Pd quale unica forza politica radicata che mantiene una dimensione nazionale. Perciò dobbiamo essere noi il perno attorno a cui costruire un nuovo progetto di governo. Ma non dobbiamo guardare con trionfalismo al risultato. Ora inizia la sfida vera. Che è mettere in campo un'iniziativa che si misuri con il cuore del problema: la crisi della democrazia. Oggi la domanda di cambiamento e rinnovamento delle classi dirigenti così forte si coniuga con una grande domanda di democrazia diretta, di partecipazione attiva dei cittadini. È anche in questa chiave che va letta la critica ai partiti e alla politica come oggi appare, non in grado di rispondere a questa domanda di democrazia. E invece la nostra proposta politica deve rispondere a questa domanda e risolvere il rapporto tra essa e la democrazia rappresentativa. Se è questo il problema anche la questione delle alleanze si ripropone in termini nuovi: tanto la foto di Vasto quanto la discussione se bisogna andare con Casini o Vendola appaiono come cimeli preistorici».
Che fare, allora, secondo lei?
«Recuperare l'ispirazione fondamentale che ci spinse a dare vita al Pd: quella di creare un soggetto politico in grado di raccogliere in sé tutte le istanze di cambiamento. Per questo oggi si impone una nuova fase del processo costitutivo che non può che partire dal basso. Io penso che il Pd dovrebbe essere promotore in tutte le realtà territoriali di laboratori urbani laddove i nostri militanti si confrontino con associazioni di base, cittadini, movimenti, con le fabbriche di Vendola. E alle elezioni dobbiamo presentarci con un'unica lista che incarni la proposta di governo che vogliamo offrire al Paese, frutto anche di questo lavoro nei territori. Ritengo invece un inutile tatticismo quello di pensare di poter recuperare il rapporto con la società attraverso una lista civica che affianchi il Pd: mi sembra un modo per sancire il fallimento del progetto del Partito democratico».
E le primarie?
«Le primarie non devono essere, come sembra invece pensare Renzi, un modo per regolare i conti all'interno ma uno strumento per costruire il grande partito politico che abbiamo sempre immaginato. In questo quadro sono convinto che Bersani possa essere il nostro Hollande».
Lei pensa a un Pd che inglobi tutto.
«No, immagino una nuova tappa della formazione del Pd che riparta dal basso e culmini in una unica lista. E Vendola può entrare a pieno titolo in questo processo, che però deve partire dal basso: non può essere un'operazione politicistica. Per rinnovare davvero dobbiamo metterci in discussione, sennò siamo destinati a perire.
E in questo quadro qual è il rapporto tra il Pd e il governo?
«Il voto ha dimostrato che i nostri elettori hanno capito l'appoggio al governo, ma se entro l'estate non approviamo almeno in un ramo del Parlamento la riforma elettorale, la riduzione dei parlamentari, non risolviamo il problema degli esodati, dei crediti della pubblica amministrazione e non modifichiamo almeno in parte il patto di stabilità dei Comuni questa comprensione entrerà in crisi».

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