domenica 27 maggio 2012
Vilipendio. Topo Gigio Mannaro infierisce sulla memoria di Berlinguer
Omaggio a Berlinguer. Veltroni: una lezione di coraggio
di Giuseppe Vettori
l’Unità 27.5.12 da Segnalazioni
Il
circolo è quello di Ponte Milvio, la vecchia sezione dove era iscritto
Enrico Berlinguer. I «vecchi» ricordano ancora con commozione quando,
come un iscritto qualsiasi, passava prima di andare ai seggi e votare,
per scambiare qualche idea e per venire a prendere le preferenze, come
si usava allora quando la politica aveva altre regole, più o meno
giuste. Qui il compleanno, i novanta di Enrico Berlinguer li hanno
voluti ricordare con una iniziativa piena di gente (dentro e fuori dal
circolo nel salone e nel giardinetto davanti) insieme a Walter Veltroni.
Un’occasione
affettuosa ma non retorica per ricordare un dirigente amatissimo ma
anche per guardare alla politica di oggi, ai problemi inediti come alla
lunga coda della storia che ci portiamo dietro.
Dal ricordo di
Veltroni esce fuori il ritratto di un leader moderno anche al di là
delle apparenze, anzi quel tratto di riserbo e di solitudine che a
qualcuno lo ha fatto vedere come un dirigente poco comunicativo ne esce
rovesciato.
«Berlinguer ricorda Veltroni sapeva comunicare davvero.
Andavi ad un suo comizio e senza retorica ti dava ragionamenti ed
emozioni. Persino il suo corpo, lo sguardo attento, l’aspetto schivo
sapevano comunicare. Berlinguer era bravissimo in tv. Non erano certo
gli anni del talk show, c’erano le tribune politiche e lui si preparava
con cura per far arrivare le cose che voleva dire».
E contro chi ha
sempre rimproverato a Berlinguer la sua timidezza, Veltroni invece punta
sul coraggio e la coerenza di un dirigente che ha saputo spingere il
Pci, a partire dal 1969 e dalle coraggiose posizioni prese
sull’invasione della Cecoslovacchia insieme a Longo, verso una sempre
più larga autonomia. E per questo ricorda le tappe e i discorsi, da
quello sulla «democrazia valore universale» a quello dell’ombrello della
Nato, «frasi ricorda Veltroni pronunciate negli anni Settanta e
Ottanta, in una fase di piena guerra fredda e in circostanze davvero
difficili».
«Stare nel Pci di Berlinguer non significava credere alla
dittatura del proletariato, ma essere l’Italia pulita nell’Italia
sporca, come diceva Pasolini». E Veltroni ha anche riletto la complessa
vicenda del compromesso storico. «Cosa significava dire che non si
governa col 51 per cento? Significava avere coscienza anche delle forze
sotterranee violentissime che si opponevano al cambiamento, le forze che
avevano alimentato piazza Fontana, e ancora prima i tentativi di golpe,
la storia oscura che ha accompagnato la storia d’Italia. Nella testa di
Moro come in quella di Berlinguer il compromesso storico era un
passaggio di collaborazione e di legittimazione, prima di tornare ad una
alternanza».
Altro tema è stato quello del partito. «Cosa significa
candidare alle elezioni un uomo come Spinelli o portare in parlamento
Sciascia? Era il segnale dell’idea di un partito aperto, capace di
aprirsi a culture e sensibilità anche lontane non in modo strumentale.
La nascita del Pd aveva dentro di se anche questo segno, quello di un
partito riformista davvero aperto, capace di mettere al centro i
cittadini, di restituire alla società uno spazio grande nel discorso
pubblico. Mi chiedo se ci siamo riusciti e mi rispondo che gli italiani
vedono una politica ancora toppo chiusa, che parla troppo di
organigrammi e poco di idee. Questa cappa sottoilinea Veltroni dobbiamo
toglierla di mezzo. È un cambiamento che non possiamo non fare».
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