domenica 1 luglio 2012
50 anni da piazza Statuto: un'altra Italia
Piazza Statuto, 1962
Un accordo separato alla Fiat scatenò la rivolta sociale. E preparò il ’69 operaio
Erano dieci anni che non si scioperava alla Fiat, la protesta fu una sorpresa per la città, per Valletta, per il Pci Una
storia che travolse Torino e propose nuovi soggetti: operai, giovani,
immigrati, proletariato urbano... Le testimonianze di Diego Novelli,
Goffredo Fofi e Giuseppe Berta
di Rinaldo Gianola
l’Unità 1.7.12 da Segnalazioni
C’ERA STATO, ANCHE ALLORA, UN ACCORDO SEPARATO. LA FIAT DI VITTORIO
VALLETTA, ANTICIPANDO UNA FILOSOFIA EFFICACEMENTE PREDICATA fino ai
nostri giorni da Sergio Marchionne, aveva chiamato la Uil e il sindacato
padronale Sida a firmare per chiudere velocemente un contratto
aziendale e tagliare così le gambe agli operai torinesi che, per la
prima volta dopo dieci anni, erano tornati a scioperare in quell’estate
del 1962. Ma quella volta, in quel luglio reso torrido dalla rabbia
sociale, i lavoratori, i giovani, gli immigrati meridionali e quel
neoproletariato urbano penalizzato e soffrente, sorpresero Torino, la
grande fabbrica e anche il pci. Scioperarono gli operai della Fiat e
delle piccole boite produttive della cintura, i giovani occuparono le
strade e si scontrarono con la polizia, presero per qualche giorno la
città turbata da quell’improvviso disordine. Per la storia è “La rivolta
di piazza Statuto”. C’è ancora qualche cosa da imparare da quei fatti
lontani, ci sono testimonianze e racconti che ci possono aiutare a
capire anche il presente di una grande impresa.
Diego Novelli, già sindaco di Torino: «Nel 1962 ero il responsabile
della redazione piemontese dell’Unità. In quell’estate i lavoratori
della Fiat avevano ripreso a scioperare. Si trattava di una grande
novità. Ricordavamo l’ultima manifestazione operaia, nel 1955. Poi più
niente. “Il ghiaccio è rotto” dicevano gli operai. La Fiat volle fare
un’operazione delle sue, facendo firmare al volo la Uil e il sindacato
giallo. Fiom e Fim si opposero. Ma successe qualche cosa di imprevisto.
La notizia della firma venne fuori il sabato, 7 luglio. Mi telefonarono
al mattino avvertendomi che da Stura, la fabbrica Fiat vicino
all’imbocco dell’autostrada per Milano, gli operai erano usciti e
stavano andando in centro. Raggiunsi il corteo, che scese in corso
Giulio Cesare, a porta Palazzo poi in piazza Statuto dove c’era la sede
della Uil. Volò qualche sasso, ci fu un po’ di confusione, ma nulla di
straordinario. Nel pomeriggio la situazione cambiò, perchè insieme agli
operai arrivarono anche altri soggetti. C’era tanta gente incazzata che
non c’entrava niente con la Fiat, giovani, immigrati, anche personaggi
malavitosi. Gli scontri diventarono violentissimi. Sergio Garavini e
Giancarlo Pajetta vennero presi a sassate mentre erano sotto una
pensilina. Verso sera il brigadiere Rizzo della squadra mobile, fratello
di un compagno segretario della federazione di Avellino, vide gli
arrestati e suggerì di portarli alla buon costume invece che alla
squadra politica. Poi con Pajetta andiamo a cena alla birreria Mazzini.
Pajetta tira su un calzone ed era tutto sporco di sangue, era stato
ferito a una gamba. Domenica sembra tutto liscio, ma mi arriva una
telefonata dalla questura. La telefonata è da parte del dottor Passone,
capo della squadra politica, che mi dice di informare il mio direttore
che all’indomani sarebbero ripresi i disordini. Ma la questura cercava
un altro Novelli, mio cugino Piero, che stava alla Gazzetta del Popolo
ed era corrispondente del quotidiano di Roma di destra Il Tempo. Mi feci
l’idea che la protesta era stata infiltrata e strumentalizzata, c’era
una grossa provocazione in atto e arrivò il famigerato Battaglione
Padova della Celere, il centro città venne messo in stato d’assedio. La
rivolta venne spenta con la forza, la repressione fu durissima e le
condanne molto pesanti perchè allora la magistratura torinese era molto
sensibile alla Fiat. La Fiat chiamava e il giudice si alzava. Però la
rivolta di piazza Statuto preparò l’autunno operaio, mise in discussione
le scelte di Valletta che per anni aveva obbedito agli americani
contrastando i comunisti e la Cgil, con i reparti confino, le
schedature, i licenziamenti. La novità? La vecchia classe operaia aveva
fatto una trasfusione di sangue, erano i giovani, i contadini, i
braccianti sfruttati alla catena di montaggio, che affittavano un letto a
ore per dormire. Nel pci discutemmo a lungo, ci dividemmo su quella
rivolta. Ma la città stava mutando, nel 1963 ci fu il primo successo
elettorale dei comunisti a Torino».
Goffredo Fofi, saggista e critico. «Nel 1962 vivevo a Torino, lavoravo
mezza giornata al Centro Gobetti e l’altra metà ai Quaderni Rossi di
Raniero Panzieri. La rivoltà arrivò improvvisa, per come la vidi io fu
uno strano connubio tra i giovani comunisti, gli operai delle piccole
fabbriche e gli immigrati meridionali. All’inizio della protesta un
telegramma mi informò che era morta mia nonna, feci in tempo ad andare
in Umbria e a tornare ma gli scontri continuavano. Quelli della Cgil e
del pci pensavano che noi dei Quaderni Rossi avessimo qualche ruolo. Il
sindacalista Pugno incontrò Vittorio Rieser e gli intimò di far cessare
le manifestazioni. Ricordo che da Milano arrivò un inviato del Giorno,
Umberto Segre, un bravissimo giornalista, Panzeri mi chiese di
accompagnarlo in giro per Torino. Scrisse degli articoli molto belli.
Nei santuari torinesi, nel pci e nella Cgil, c’era un po’ di isteria,
molti vedevano complotti.
La verità era che la vecchia Torino non teneva più, erano arrivati
migliaia di immigrati e molti non sopportavano la vita in fabbrica, la
mancanza di diritti e di dignità. Il controllo della Fiat era totale,
dai giornali alle case editrici, fino alle prostitute. Non sfuggiva
nulla. Sul bollettino dei Quaderni Rossi scrissi la cronaca di quei
giorni, Panzieri li ripulì perchè non erano abbastanza operaisti. Asor
Rosa mi definiva “il populista” dei Quaderni Rossi. Su piazza Statuto si
consumò uno scontro tra Raniero e Vittorio Foa, che lo abbandonò e si
schierò deciso con la Cgil. Ma quei giorni furono importanti, diedero il
segno del cambiamento che stava maturando anche se Einaudi si rifiutò
di pubblicare la mia inchiesta sull’immigrazione meridionale perchè non
gradita alla Fiat. Panzieri non fece in tempo a vedere la riscossa
operaia del 1969. Morì nel 1964 a Torino, carico di ansie. Ai funerali
eravamo quattro gatti. Da Milano arrivò Giovanni Pirelli che ci aiutava
con qualche lira. Giovanni portò una bella stoffa rossa, la mise sulla
bara di Raniero. Un’epoca era finita».
Giuseppe Berta, storico, già direttore dell’Archivio Fiat. «Piazza
Statuto è il simbolo del confronto tra capitale e lavoro a Torino. È la
piazza dove ai primi del ‘900 terminavano le manifestazioni delle
fabbriche delle barriere operaie, qui ha sede la prima Lega industriale,
che anticipa Confindustria, in questa piazza è ambientato “Prino
maggio” , il racconto di Edmondo De Amicis. La rivolta di Piazza Statuto
ha un alto valore simbolico e politico, perchè determina la rottura tra
i Quaderni Rossi di Panzieri e la sinistra. Dario Lanzardo scrisse poi
un bel libro su quei fatti. Si disse che quella radicalità dei giovani
operai derivava dalla loro frustrazione e dunque avevano reagito con una
violenza spontanea. Per altri c’era qualche cosa di diverso, faceva
parte di un fenomeno più ampio di protesta giovanile collettiva tipica
degli anni ‘60.
La sinistra non era pronta a capire cosa stava cambiando, vennero
evocati fascisti e provocatori, ma c’era molto di più. Torino passa da
650 mila abitanti a fine anni ‘50 a oltre un milione nel 1961, una bomba
sociale. Neanche la Fiat era pronta, Valletta era vecchio e la
gerarchia militare dell’azienda non poteva più funzionare. Con piazza
Statuto si preparano le condizioni per il ritorno in fabbrica del
sindacato».
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