giovedì 24 gennaio 2013
Questo è vero amore
L’uguaglianza di Obama
di Nadia Urbinati Repubblica 23.1.13
L’eguaglianza
è la grande assente nel linguaggio politico contemporaneo, nonostante
la nostra sia un’età a tutti gli effetti di egemonia democratica, e la
democrazia sia un sistema che fa dell’eguaglianza (civile e politica, ma
anche delle condizioni di partecipazione alla vita della società) il
suo fondamento e la sua aspirazione. Nel suo epico discorso di
insediamento come 44esimo Presidente degli Stati Uniti, Barak H. Obama
lo ha ricordato ai suoi concittadini e a tutto il mondo. E lo ha fatto
riandando alle origini del patto sul quale l’America che lo ha rieletto è
nata, alla Dichiarazione di Indipendenza: “Noi riteniamo che sono per
se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati
eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti,
che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento
della Felicità”. A scrivere queste rivoluzionarie parole era stato
Thomas Jefferson, un illuminista che credeva come i nostri Filangieri,
Verri e Beccaria, che la legge dovesse occuparsi non ad opprimere o
dominare ma a creare le condizioni di benessere dei cittadini. La
“felicità pubblica” era un ideale importante. Dalla consapevolezza della
sua importanza comincia la storia della democrazia moderna.
Il
governo, secondo questa filosofia che a noi sembra desueta, dovrebbe
creare le condizioni grazie alle quali le persone possono prima di tutto
conoscere le loro potenzialità (a questo serve un sistema educativo
aperto a tutti) e poi contare su leggi giuste e ben fatte e istituzioni
trasparenti e funzionali per poter progettare la loro vita secondo il
loro discernimento. Insomma vivere, e vivere con soddisfazione per
quanto possibile, e non nella sofferenza, nell’umiliazione e nella
miseria. E questo è un bene per il singolo e la società. Il governo non
dispensa felicità dunque. Ciò che si impegna a fare è rendere le persone
davvero responsabili della loro vita; far sì che esse possano contare
su se stesse, non sulla fortuna di appartenere a una buona famiglia, non
sul favore delle persone potenti, non sull’elemosina di chi ha più.
La
democrazia, parola per secoli vituperata per volere dare potere e
visibilità a tutti, anche ai poveri e inacculturati, è stata nobilitata
anche dalla Rivoluzione americana alla quale Obama si è ispirato. Essa
ha inaugurato una visione evolutiva delle conquiste sociali e politiche
al centro delle quali c’è la persona come valore attivo, agente di
scelte, ma anche soggetto dotato di sensazioni e sentimenti, che valuta
la propria vita all’interno delle relazioni con gli altri. Nella
democrazia, l’intera struttura della società, dall’etica alla politica,
ruota intorno alla persona, ed è valutata in ragione del grado di
soddisfazione o di felicità che riesce a procurare a ciascuno. Il
benessere e la libertà degli individui sono la condizione per misurare
il benessere o il progresso dell’intera società.
Rivalutando
questa tradizione che dal Settecento cerca di coniugare democrazia e
giustizia, si può dire che c’è giustizia soltanto quando la riflessione
pubblica non evade da questi compiti, non lascia il campo alla giungla
degli interessi (e quindi alla vittoria di chi è più forte) per
riservarsi, eventualmente, di venire in soccorso a chi soccombe. Lo
stato della democrazia non fa questo. Esso prepara il terreno all’eguale
libertà invece di giungere dopo; non dispensa carità ma garantisce
diritti, e per questo promuove politiche sociali. Ecco perché il
principio della libertà individuale non sta solo scritto nelle
costituzioni ma diventa a tutti gli effetti un criterio che valorizza le
capacità concrete e sostanziali delle persone di vivere il tipo di vita
al quale danno valore. L’espansione della libertà è condizione di
felicità, perché possibilità di fare, di scegliere, di sperimentare con
dignità e senza subire umiliazione. Ecco perché il tema della giustizia è
un tema di risorse o di condizioni di benessere, non semplicemente di
esiti e nemmeno soltanto di equo trattamento. A questa promessa di
“felicità” è ritornato il presidente Obama per inaugurare il suo secondo
mandato: una promessa di impegno per uno sviluppo “illimitato” come o
indefinito (cioè senza limiti predeterminati) è il mondo delle nostre
possibilità in quanto persone libere nei diritti ed eguali nelle
opportunità. In questo inizio secolo, il viaggio mai finito della
democrazia sembra aver trovato il suo Ulisse, nocchiero di un percorso
incerto negli esiti e periglioso, ma avvincente e mosso da uno scopo che
dovrebbe essere alla nostra portata: vivere con dignità, apprezzando il
valore della nostra libertà.
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