domenica 10 marzo 2013
La DDR aveva un tesoro e non lo sapeva
Il bottino dei nazisti
Il reporter e la caccia grossa al tesoro di Göring
Cinque casse piene d’oro in fondo al lago di Stolpsee: il team di Svoray, figlio di due sopravvissuti ai campi, pronto al recupero
di Valeria Gandus il Fatto 10.3.13
Il tesoro giace a circa 30 metri di profondità, adagiato su uno spesso
strato di fango, alghe e detriti: almeno cinque casse piene zeppe di oro
e platino immerse da quasi settant’anni nelle gelide acque del lago di
Stolpsee, nel Brandeburgo (ex DDR), pochi chilometri a Nord di Berlino.
Le casse fanno parte dell’immondo bottino di guerra dei nazisti:
gioielli, monete, preziosi depredati agli ebrei sterminati nei campi. Un
bottino al quale aveva attinto a piene mani Hermann Göring, il numero
due di Hitler che, probabilmente, conservava quelle casse assieme a
quadri, statue e reperti archeologici di immenso valore, a Carinhall, la
sua villa vicino a Berlino. Il 28 aprile 1945 la villa fu distrutta da
un bombardamento della Luftwaffe ordinato dallo stesso Göring. Ma solo
dopo che i suoi tesori erano stati dirottati altrove: le opere d’arte a
Berchtesgaden, nelle Alpi bavaresi, l’oro e i gioielli, 750 chili per un
valore valutato, oggi, in oltre un miliardo di sterline, affondati nel
lago di Stolpsee.
Quei 750 kg di preziosi e il fallimento della Stasi
Ed è lì che l’israeliano Yaron Svoray, 59 anni, a capo di un team
internazionale specializzato in giornalismo archeologico-investigativo,
le ha individuate. Un’impresa durata anni e che si concluderà solo a
primavera, quando il suo gruppo (del quale fanno parte due italiani)
perfezionerà la localizzazione del tesoro grazie a più sofisticate
apparecchiature sonar messe a disposizione dal governo del Brandeburgo
(che collabora all’operazione insieme con l’Ufficio tutela beni
archeologici della regione), mentre un clima più mite consentirà ai
ricercatori di calarsi in acqua e recuperare le casse. Ma chi è Svoray e
come è arrivato a dipanare un mistero sul quale si era accanita, senza
successo, perfino la Stasi, la famigerata polizia segreta della Germania
dell’Est? Intanto, questa dell’oro di Göring non è la sua prima
impresa. Figlio di due sopravvissuti ai campi di sterminio, negli anni
Novanta Svoray si è infiltrato in un gruppo di neonazisti tedeschi e ha
raccontato in un libro diventato poi anche film (in Italia l’ha
pubblicato Mondadori con il titolo Neonazi) la sua esperienza. Nel libro
successivo, Blood from a stone (Sangue da una pietra) ha invece
ricostruito la storia del ritrovamento, oltre mezzo secolo dopo, di un
sacchetto di diamanti che due soldati americani avevano sequestrato ai
nazisti e sepolto in una trincea. Lo stesso è accaduto con la cassa
piena di sterline false (giaceva sulf ondo di un altro lago, quello di
Topliz, sempre in Germania) che erano state messe in circolazione dai
nazisti per affossare l’economia britannica. Ma il ritrovamento più
emozionante e commovente è stato quello, nel 2006, dei poveri averi
(anelli, occhiali, orologi, braccialetti, monete) che i deportati del
campo di Majdanek, in Polonia, avevano seppellito quando, ormai certi di
non poter più lasciare il campo se non attraverso il camino, avevano
deciso di consegnare ai loro aguzzini null’altro che la vita. Gli scavi a
colpo quasi sicuro in quel che resta del campo di sterminio erano
avvenuti sulla scorta delle testimonianze di alcuni sopravvissuti che,
tornati sul luogo dei loro tormenti, avevano indirizzato le vanghe verso
i punti in cui ricordavano di aver scavato loro, tanto tempo prima, a
mani nude. Anche oggi l’operazione di recupero delle casse d’oro e
preziosi parte dalla testimonianza, resa molti anni orsono, da gente del
posto. Uno dei testimoni, Eckhard Litz, ha dichiarato a una commissione
d’inchiesta degli Alleati: “Ricordo bene la notte in cui gli autocarri
arrivarono in riva al lago. Ho visto circa venti-trenta figure
scheletriche vestite con le uniformi a strisce dei campi di
concentramento costrette a scaricare pesanti scatole. Queste sono state
poi messe su due barche a remi che hanno fatto sei viaggi al centro del
lago. Quando l'ultima cassa era stata gettata in acqua, gli uomini sono
stati allineati e l'ultima cosa che ho visto sono stati i lampi delle
mitragliatrici delle guardie”. Il testimone ha aggiunto che i corpi sono
stati poi caricati nuovamente sulle barche a remi e affondati anch’essi
al centro del lago.
I prigionieri fucilati dopo il trasbordo al largo e la mappa dell’ufficiale della Luftwaffe
A dirigere l’operazione era un ufficiale della Luftwaffe che, eseguito
il suo compito e prima di darsi alla fuga verso il Sudamerica, schizzò
su un foglio un’approssimativa mappa del tesoro: la stessa che per vie
traverse è arrivata nelle mani di Svoray. Una copia della stessa mappa
era giunta, negli anni Settanta, anche nelle mani della Stasi che, nel
1981, affidò al comandante Erich Mielke il compito di ritrovare le casse
attraverso la cosiddetta operazione “Herbstwind”. “Ma lo Stolpsee è un
lago difficile, tortuoso, la mappa non è di semplice interpretazione e
le attrezzature dell’epoca non permettevano di dragarlo in maniera
corretta”spiega Luca Masiello, uno dei due investigatori italiani,
altoatesino come la collega Franziska Stubenruss. “Così, dopo qualche
tentativo, la Stasi ritirò le sue truppe rinunciando al progetto”.
Svoray, invece, sembra aver centrato l’obiettivo. Da pochi giorni i due
italiani sono tornati dalla missione e raccontano al Fatto i retroscena
dell’operazione: “Il team, del quale facciamo parte, oltre a Yaron e a
suo fratello Ori, è formato da un’élite di investigatori, professionisti
dell’indagine, ‘profilers’, esperti di storia contemporanea, che
segretamente e periodicamente si tuffano in un’altra vita e affrontano
mille difficoltà per seguire quella X sulla mappa, trovarla e poi
scavare” spiega Masiello. “I detective si sono attivati nell’ex quartier
generale della Stasi, dove hanno intervistato decine di persone anziane
che vivono lungo le rive del lago. Fra queste Erich Koehler, un’arzillo
ottantenne già pastore protestante e sindaco del maggior centro sullo
Stolpsee, che ricorda ancora le operazioni della polizia segreta”.
“Siamo certi che l’oro sia lì, e adesso tocca a noi riportarlo alla
luce” aggiunge Franziska Stubenruss. “Ci sembra un atto dovuto, un
riconoscimento alla storia e soprattutto il nostro modo per riportare un
minimo di giustizia alle vittime dei nazisti”.
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