Jed Buchwald, Mordechai Feingold:
Newton and the Origin of Civilization, Princeton University Press
Risvolto
Isaac Newton's Chronology of Ancient Kingdoms Amended,
published in 1728, one year after the great man's death, unleashed a
storm of controversy. And for good reason. The book presents a
drastically revised timeline for ancient civilizations, contracting
Greek history by five hundred years and Egypt's by a millennium. Newton and the Origin of Civilization
tells the story of how one of the most celebrated figures in the
history of mathematics, optics, and mechanics came to apply his unique
ways of thinking to problems of history, theology, and mythology, and of
how his radical ideas produced an uproar that reverberated in Europe's
learned circles throughout the eighteenth century and beyond.
Jed
Buchwald and Mordechai Feingold reveal the manner in which Newton
strove for nearly half a century to rectify universal history by reading
ancient texts through the lens of astronomy, and to create a tight
theoretical system for interpreting the evolution of civilization on the
basis of population dynamics. It was during Newton's earliest years at
Cambridge that he developed the core of his singular method for
generating and working with trustworthy knowledge, which he applied to
his study of the past with the same rigor he brought to his work in
physics and mathematics. Drawing extensively on Newton's unpublished
papers and a host of other primary sources, Buchwald and Feingold
reconcile Isaac Newton the rational scientist with Newton the natural
philosopher, alchemist, theologian, and chronologist of ancient history.
L'altro Newton, alchimista e teologo che si appassionava agli Argonauti
Nelle
opere minori dello scienziato, spesso svalutate dai biografi,
ritroviamo lo stesso metodo empirico delle sue grandi scoperte
di Stefano Gattei Corriere La Lettura 10.3.13
Accanto ai suoi fondamentali lavori di matematica, scienza del moto,
ottica e teoria della gravitazione, Isaac Newton (1642-1727) coltivò
profondi interessi per l'alchimia, la teologia (abbracciando una qualche
forma di eresia antitrinitaria), l'esegesi biblica e la cronologia.
Pubblicati postumi, i suoi scritti su questi temi non mancarono di
suscitare critiche accese, in Inghilterra come in Francia, contribuendo a
una progressiva erosione dell'immagine del loro autore già nel
Settecento. Tanto che nel 1822, nella memoria scritta per la Biographie
universelle, Jean-Baptiste Biot — allievo di Laplace, e come lui
convinto che ogni riferimento a Dio o alle cause finali non potesse
trovare posto nel discorso scientifico — suggerì che l'esaurimento
nervoso di cui Newton fu vittima nel 1693, causato da un'applicazione
ossessiva alla scienza, avesse lasciato tracce indelebili nella sua
mente, ripercuotendosi negativamente sulle opere successive.
Nel 1980, in quella che è tuttora la biografia più completa e
accreditata del grande scienziato, Richard Westfall osservava come la
Cronologia degli antichi regni (1728), in particolare, fosse un'opera
sconclusionata, «di una noia colossale, che dopo aver suscitato per
breve tempo l'interesse — e l'opposizione — di un ristretto numero di
persone capaci di appassionarsi per la data della spedizione degli
Argonauti, cadde nel più totale oblio. È letta oggi da quei pochissimi
che, a sconto dei loro peccati, devono passare attraverso quel
purgatorio».
Un giudizio duro e autorevole, quello di Westfall, che non poteva non
pesare sugli studi successivi. Ma che non ha impedito a due prestigiosi
storici della scienza del California Institute of Technology, Jed
Buchwald e Mordechai Feingold, di rileggere quelle pagine «minori» alla
luce dei molti manoscritti inediti e della corrispondenza di Newton. Il
risultato è un contributo originale ed estremamente ricco, che getta
nuova luce sulle modalità di indagine e di argomentazione di una delle
menti più fertili della storia del pensiero scientifico.
In Newton and the Origin of Civilization (Princeton University Press),
Buchwald e Feingold mostrano per la prima volta l'importanza di quelle
pagine al fine di comprendere la straordinaria complessità della figura
di Newton che, scrivono, «non fu semplicemente portato da questo a
occuparsi di quello; piuttosto, il suo modo di lavorare rivela una
modalità di pensiero e di azione che è alla base tanto dei suoi sforzi
di svelare l'opera di una divinità nella storia, quanto di afferrare i
misteri più reconditi dei meccanismi della natura».
Grazie a un'analisi scrupolosa dei testi, i due autori ricostruiscono i
passi argomentativi che guidarono Newton alle proprie conclusioni,
individuando in una sostanziale continuità metodologica l'elemento
caratterizzante della sua riflessione. In particolare, fu durante i
primissimi anni a Cambridge che egli sviluppò le caratteristiche
fondamentali del metodo per generare e sviluppare una conoscenza
affidabile — un metodo che egli applicò tanto nei Principia mathematica
(1687) e nell'Ottica (1704), quanto nei suoi scritti sull'Apocalisse,
sulla corruzione di alcuni passi biblici e sulla cronologia. Ciò non
significa che Newton non abbia mai cambiato idea nel corso della sua
lunga vita, anzi; ma che l'approccio maturo che egli dimostrò alla
natura, alla storia e alla teologia affonda le proprie radici nel suo
primo sviluppo intellettuale, fin dagli anni universitari. Comune
denominatore a studi e interessi a prima vista disparati, come la
meccanica celeste e l'esegesi biblica, l'analisi matematica e la
cronologia, è un modo radicalmente nuovo di comprendere e di accettare
(o rifiutare) l'evidenza empirica alla luce di considerazioni di natura
teorica. E proprio in questa radicale novità va ricercata la ragione
profonda della dura opposizione che le sue opere incontrarono. Con il
proprio approccio, infatti, egli poneva con forza un quesito
metodologico di fondo: quale tipo di evidenza empirica e di ragionamento
teorico governano la comprensione storica e quella teologica?
Le tesi storiche e teologiche che Newton sviluppa, in altre parole, sono
profondamente permeate dal suo modo di intendere e di fare scienza,
così come la fede nell'azione divina — nella natura o nella storia — non
può essere separata dal suo modo di concepire come sia possibile una
forma di conoscenza affidabile in entrambi gli ambiti. Come ha osservato
Niccolò Guicciardini, il Newton alchimista, storico e teologo non è
meno lontano da noi del Newton «tradizionale», matematico e fisico. Da
qui il fascino — e la difficoltà — della sua figura.
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