domenica 10 marzo 2013

Newton tra astrologia e modernità


Jed Buchwald, Mordechai Feingold: Newton and the Origin of Civilization, Princeton University Press

Risvolto
Isaac Newton's Chronology of Ancient Kingdoms Amended, published in 1728, one year after the great man's death, unleashed a storm of controversy. And for good reason. The book presents a drastically revised timeline for ancient civilizations, contracting Greek history by five hundred years and Egypt's by a millennium. Newton and the Origin of Civilization tells the story of how one of the most celebrated figures in the history of mathematics, optics, and mechanics came to apply his unique ways of thinking to problems of history, theology, and mythology, and of how his radical ideas produced an uproar that reverberated in Europe's learned circles throughout the eighteenth century and beyond.
Jed Buchwald and Mordechai Feingold reveal the manner in which Newton strove for nearly half a century to rectify universal history by reading ancient texts through the lens of astronomy, and to create a tight theoretical system for interpreting the evolution of civilization on the basis of population dynamics. It was during Newton's earliest years at Cambridge that he developed the core of his singular method for generating and working with trustworthy knowledge, which he applied to his study of the past with the same rigor he brought to his work in physics and mathematics. Drawing extensively on Newton's unpublished papers and a host of other primary sources, Buchwald and Feingold reconcile Isaac Newton the rational scientist with Newton the natural philosopher, alchemist, theologian, and chronologist of ancient history.

L'altro Newton, alchimista e teologo che si appassionava agli Argonauti

Nelle opere minori dello scienziato, spesso svalutate dai biografi, ritroviamo lo stesso metodo empirico delle sue grandi scoperte

di Stefano Gattei Corriere La Lettura 10.3.13


Accanto ai suoi fondamentali lavori di matematica, scienza del moto, ottica e teoria della gravitazione, Isaac Newton (1642-1727) coltivò profondi interessi per l'alchimia, la teologia (abbracciando una qualche forma di eresia antitrinitaria), l'esegesi biblica e la cronologia. Pubblicati postumi, i suoi scritti su questi temi non mancarono di suscitare critiche accese, in Inghilterra come in Francia, contribuendo a una progressiva erosione dell'immagine del loro autore già nel Settecento. Tanto che nel 1822, nella memoria scritta per la Biographie universelle, Jean-Baptiste Biot — allievo di Laplace, e come lui convinto che ogni riferimento a Dio o alle cause finali non potesse trovare posto nel discorso scientifico — suggerì che l'esaurimento nervoso di cui Newton fu vittima nel 1693, causato da un'applicazione ossessiva alla scienza, avesse lasciato tracce indelebili nella sua mente, ripercuotendosi negativamente sulle opere successive.
Nel 1980, in quella che è tuttora la biografia più completa e accreditata del grande scienziato, Richard Westfall osservava come la Cronologia degli antichi regni (1728), in particolare, fosse un'opera sconclusionata, «di una noia colossale, che dopo aver suscitato per breve tempo l'interesse — e l'opposizione — di un ristretto numero di persone capaci di appassionarsi per la data della spedizione degli Argonauti, cadde nel più totale oblio. È letta oggi da quei pochissimi che, a sconto dei loro peccati, devono passare attraverso quel purgatorio».
Un giudizio duro e autorevole, quello di Westfall, che non poteva non pesare sugli studi successivi. Ma che non ha impedito a due prestigiosi storici della scienza del California Institute of Technology, Jed Buchwald e Mordechai Feingold, di rileggere quelle pagine «minori» alla luce dei molti manoscritti inediti e della corrispondenza di Newton. Il risultato è un contributo originale ed estremamente ricco, che getta nuova luce sulle modalità di indagine e di argomentazione di una delle menti più fertili della storia del pensiero scientifico.
In Newton and the Origin of Civilization (Princeton University Press), Buchwald e Feingold mostrano per la prima volta l'importanza di quelle pagine al fine di comprendere la straordinaria complessità della figura di Newton che, scrivono, «non fu semplicemente portato da questo a occuparsi di quello; piuttosto, il suo modo di lavorare rivela una modalità di pensiero e di azione che è alla base tanto dei suoi sforzi di svelare l'opera di una divinità nella storia, quanto di afferrare i misteri più reconditi dei meccanismi della natura».
Grazie a un'analisi scrupolosa dei testi, i due autori ricostruiscono i passi argomentativi che guidarono Newton alle proprie conclusioni, individuando in una sostanziale continuità metodologica l'elemento caratterizzante della sua riflessione. In particolare, fu durante i primissimi anni a Cambridge che egli sviluppò le caratteristiche fondamentali del metodo per generare e sviluppare una conoscenza affidabile — un metodo che egli applicò tanto nei Principia mathematica (1687) e nell'Ottica (1704), quanto nei suoi scritti sull'Apocalisse, sulla corruzione di alcuni passi biblici e sulla cronologia. Ciò non significa che Newton non abbia mai cambiato idea nel corso della sua lunga vita, anzi; ma che l'approccio maturo che egli dimostrò alla natura, alla storia e alla teologia affonda le proprie radici nel suo primo sviluppo intellettuale, fin dagli anni universitari. Comune denominatore a studi e interessi a prima vista disparati, come la meccanica celeste e l'esegesi biblica, l'analisi matematica e la cronologia, è un modo radicalmente nuovo di comprendere e di accettare (o rifiutare) l'evidenza empirica alla luce di considerazioni di natura teorica. E proprio in questa radicale novità va ricercata la ragione profonda della dura opposizione che le sue opere incontrarono. Con il proprio approccio, infatti, egli poneva con forza un quesito metodologico di fondo: quale tipo di evidenza empirica e di ragionamento teorico governano la comprensione storica e quella teologica?
Le tesi storiche e teologiche che Newton sviluppa, in altre parole, sono profondamente permeate dal suo modo di intendere e di fare scienza, così come la fede nell'azione divina — nella natura o nella storia — non può essere separata dal suo modo di concepire come sia possibile una forma di conoscenza affidabile in entrambi gli ambiti. Come ha osservato Niccolò Guicciardini, il Newton alchimista, storico e teologo non è meno lontano da noi del Newton «tradizionale», matematico e fisico. Da qui il fascino — e la difficoltà — della sua figura.

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