«Noi non potremmo spiegarci la depressione in cui è caduta l’economia
mondiale a partire dal 2008, nella crisi più grave dopo quella scoppiata
nel 1929, senza tener conto degli effetti provocati dall’ideologia e
dalla pratica di quel neoliberismo di cui Margaret Thatcher era stata
l’apripista». A sostenerlo è uno dei più autorevoli storici e scienziati
della politica italiani: il professor Massimo Salvadori. Professore
cosa ha rappresentato Margaret Thatcher e il «thatcherismo» su scala
internazionale?
«Il primo aspetto da sottolineare è che il “thatcherismo” ha
rappresentato dalla fine degli anni Settanta un’onda lunga che non è
ancora finita. Quest’onda, avviata in Gran Bretagna, aveva poi trovato
immediatamente una sponda ancor più forte e importante in America
durante la presidenza Reagan, dove poteva contare su assai significativi
economisti che contro il sistema del welfare e contro l’intervento
statale in economia, predicavano il ritorno allo Stato minimo. Questa
ondata è diventata sempre più potente e dinamica in relazione ad un
altro dato della massima importanza...».
Quale?
«Mi riferisco alla spinta che all’ondata neoliberista
“thatcherian-reaganiana” venne data da fattori concomitanti: in primo
luogo, dal crollo dell’impero sovietico, che ha avuto un peso
determinante nel favorire gli attacchi contro lo statalismo economico in
tutti i suoi versanti. Tanto in quello veterocomunista caduto in
discredito totale dopo il 1989 quanto in quello socialdemocratico, vale a
dire sia nella forma “rigida” che in quella “morbida”. Ma quello che ha
contribuito ulteriormente a dilatare su scala internazionale l’ondata
neoliberista, sono state due esperienze ritenute di sinistra».
A cosa si riferisce?
«In primo luogo al governo Clinton negli Usa, che prese delle misure
estremamente rilevanti nello smontare negli Stati Uniti l’eredità del
New Deal roosveltiano, che aveva posto dei controlli pubblici sul
settore bancario». Ciò vuol dire che il «thatcherismo» ha fatto
proseliti anche a «sinistra»?
«Credo che questa conclusione sia inevitabile, tanto più che alla
politica di Clinton negli Usa e andata affiancandosi quella di Blair in
Gran Bretagna. Blair ha contribuito con toni celebrativi a enfatizzare
la totale libertà di gioco delle imprese private nell’ambito del mercato
economico. Il sommarsi delle rispettive linee, in Gran Bretagna, negli
Usa e di lì in maniera crescente in tutti i Paesi occidentali e non
solo, ha finito per trovare le condizioni più favorevoli nel quadro
della globalizzazione economica, che ha avuto nel neoliberismo la sua
bandiera ideologica e politica».
L’onda lunga del «thatcherismo» ha dunque segnato anche questo primo scorcio del Terzo Millennio?
«Direi proprio di sì. Di quel neo-liberismo che ha portato alla
depressione economica più grave dopo la crisi del 1929, Margaret
Thatcher è stata indubbiamente l’apripista. L’apripista di un
neo-liberismo che ha finito per porre al centro dell’economia mondiale
non più la libera impresa secondo un approccio ideologico
neo-individualista. Quello che ha determinato nella realtà dei fatti è
il primato delle grandi oligarchie finanziarie e industriali, le quali
hanno avuto la strada spianata nel perseguire i propri interessi
particolari, obbedendo a finalità puramente speculative, lasciate libere
di operare dal progressivo smantellamento degli organi di controllo
pubblici sulla speculazione stessa. E tutto ciò ha prodotto il
sopravvento dell’economia finanziaria sull’economia produttiva».
In ultima analisi, professor Salvadori, qual è stato il tratto distintivo di Margaret Thatcher?
«Credo sia consistito nel farsi interprete e propugnatrice di una
ideologia neoliberista la cui finalità era di dare piena libertà, senza
regole né vincoli sociali, dei singoli nel mercato
economico-finnanziario, e di aver portato nei fatti l’economia,
diventata globale, sotto il dominio delle minoranze plutocratiche».
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