domenica 26 maggio 2013
Dirittumanismo, benecomunismo e un enorme equivoco
Non è che Rodotà e la sinistra populista che si riconosce nella sua persona abbiano dimenticato Marx, il primato della storia e del conflitto politico-sociale e compagnia cantante: è che considerano Marx un errore. C'è in queste parole la sussunzione ormai acquisita di questa parte di sinistra a un paradigma integralmente liberale, per quanto democratizzante, con un chiaro regresso sul piano concettuale rispetto a quanto il movimento operaio aveva acquisito già nel XIX secolo. La critica apparente della proprietà - si parla della proprietà come tale e non della proprietà privata: anche la proprietà statale, dunque, è ontologicamente secondaria rispetto ai diritti individuali (privatissimi) - non tragga in inganno [SGA].
I limiti di un diritto. La prepotenza della proprietà
Lo scontro fra diritti civili e proprietà
La Costituzione dice che “la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”
di Stefano Rodotà Repubblica 26.5.13
Al cittadino appartiene la proprietà, al sovrano l’impero». Così scriveva il relatore del
Codice
Napoleone del 1804, uno dei più significativi documenti giuridici della
modernità. Due assoluti, dunque, ciascuno dei quali limita l’altro.
Si
apre così una vicenda che, secondo la tradizione liberale, vede
l’assolutismo della proprietà come un limite a quello della sovranità;
mentre nella tradizione sociale l’assolutismo proprietario è contestato
proprio grazie agli strumenti offerti da una sovranità assoluta.
La
riflessione storica offre uno sfondo più largo all’analisi e alla
ricostruzione dei rapporti tra proprietà e sovranità, dai quali non si
può prescindere, tanto che proprio uno storico, Frederic Maitland, ebbe a
scrivere che “l’intero diritto costituzionale sembra a volte
nient’altro che un’appendice del diritto di proprietà. Sarebbe
disastroso, oltre che stupido, se consigliassi di leggere la storia
costituzionale senza studiare il diritto della proprietà terriera”.
Considerazioni come questa, tuttavia, non devono indurre a concludere
che l’unico rapporto da indagare sia quello tra sovranità e proprietà
terriera, trascurando il fatto che, appunto nella modernità, gli
elementi costitutivi dello Stato vengono individuati nella sovranità,
nel popolo e nel territorio, inteso quest’ultimo come lo spazio dove si
esercita la sovranità statale, indipendentemente dai regimi proprietari
che il territorio può assumere. La misura della sovranità e della
proprietà incide profondamente nella dimensione dei diritti. La
prevalenza accordata alla proprietà, infatti, può determinare
l’estensione dei diritti politici, com’è accaduto quando lo stesso
diritto di voto è stato subordinato a un livello di reddito: la
cittadinanza si fa censitaria. Ma quella prevalenza si manifesta come
determinante anche nella materia dei diritti civili, dal momento che la
disciplina delle relazioni personali e sociali è stata lungamente
caratterizzata dalla logica patrimonialistica, dunque dal rapporto
istituito con la proprietà. Il riferimento alla cittadinanza è
importante, perché l’uscita dal territorio nazionale ha significato, e
in troppi casi significa ancora, perdita di una serie di diritti.
Proprio la liberazione dal vincolo spaziale, allora, può determinare la
pienezza della cittadinanza, intesa come quel fascio di diritti che la
persona porta con sé indipendentemente dal luogo in cui si trova. Si può
ben dire che la lotta per i diritti si è svolta, e continua a
svolgersi, su due fronti, per sottrarsi alle limitazioni imposte da
sovranità e proprietà. Peraltro, nella fase più recente il rapporto con
sovranità e proprietà si è profondamente trasformato. La garanzia dei
diritti affidata alla sovranità nazionale (il giudice a Berlino) si
indebolisce in un mondo globale dove la sovranità svanisce e il garante
diventa introvabile. E la proprietà si è insediata nelle nostre società
con una rinnovata prepotenza che vuol farne la misura di tutte le cose,
in sintonia con un mercato inteso come unica legge “naturale”. Al tempo
stesso, però, la logica dei beni comuni torna a indicarci forme diverse
di sovranità e l’“opposto della proprietà”. Ma la scoperta del corpo, il
principio del consenso come fondamento dell’autodeterminazione della
persona ci parlano di un’altra sovranità, quella che si manifesta nel
libero governo del sé, della propria vita. Nel complesso passaggio dal
soggetto astratto alla persona costituzionalizzata, riconosciuta nella
concretezza del vivere, che caratterizza la fase presente, si realizza
un vero e proprio trasferimento di sovranità, testimoniato nella sua
forma più radicale proprio dalle parole dell’articolo 32 della
Costituzione: “La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti
dal rispetto della persona umana”. Il sovrano non può penetrare in uno
spazio proprio della persona. Il patto sociale viene così “rinegoziato”,
la cessione di sovranità allo Stato viene circoscritta, la condizione
di “suddito” viene revocata in dubbio quando si giunge al nucleo
dell’esistenza.
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