Compiendo il ‘gran rifiuto’, Benedetto XVI ha dato prova non di viltà, ma di un coraggio che acquista oggi un senso e un valore esemplari. La sua decisione richiama con forza l’attenzione sulla distinzione fra due principi essenziali della nostra tradizione etico-politica, di cui le nostre società sembrano aver perduto ogni consapevolezza: la legittimità e la legalità. Se la crisi che la nostra società sta attraversando è così profonda e grave, è perché essa non mette in questione soltanto la legalità delle istituzioni, ma anche la loro legittimità; non soltanto, come si ripete troppo spesso, le regole e le modalità dell’esercizio del potere, ma il principio stesso che lo fonda e legittima.
mercoledì 15 maggio 2013
Giorgio Agamben sfida Massimo Cacciari per il prossimo pontificato
Risvolto
Compiendo il ‘gran rifiuto’, Benedetto XVI ha dato prova non di viltà, ma di un coraggio che acquista oggi un senso e un valore esemplari. La sua decisione richiama con forza l’attenzione sulla distinzione fra due principi essenziali della nostra tradizione etico-politica, di cui le nostre società sembrano aver perduto ogni consapevolezza: la legittimità e la legalità. Se la crisi che la nostra società sta attraversando è così profonda e grave, è perché essa non mette in questione soltanto la legalità delle istituzioni, ma anche la loro legittimità; non soltanto, come si ripete troppo spesso, le regole e le modalità dell’esercizio del potere, ma il principio stesso che lo fonda e legittima.
Compiendo il ‘gran rifiuto’, Benedetto XVI ha dato prova non di viltà, ma di un coraggio che acquista oggi un senso e un valore esemplari. La sua decisione richiama con forza l’attenzione sulla distinzione fra due principi essenziali della nostra tradizione etico-politica, di cui le nostre società sembrano aver perduto ogni consapevolezza: la legittimità e la legalità. Se la crisi che la nostra società sta attraversando è così profonda e grave, è perché essa non mette in questione soltanto la legalità delle istituzioni, ma anche la loro legittimità; non soltanto, come si ripete troppo spesso, le regole e le modalità dell’esercizio del potere, ma il principio stesso che lo fonda e legittima.
Il ‘mistero del male’, di cui parla l’apostolo Paolo, non è un cupo
dramma teologico che trattiene la fine dei tempi e paralizza e rende
enigmatica e ambigua ogni azione, ma un dramma storico in cui l’Ultimo
Giorno coincide col presente e in cui ciascuno è chiamato a fare senza
riserve e senza ambiguità la sua parte.
Le dimissioni del papa tra teologia e politica
“Il mistero del male” di Giorgio Agamben sulla scelta radicale di Ratzinger
di Antonio Gnoli Repubblica 14.5.13
Un
oscuro teologo del IV secolo fa da sfondo dottrinale alla decisione del
Papa di abdicare al suo magistero. Possibile? Ce lo racconta con il
solito raffinato incastro di testi Giorgio Agamben nel nuovo libro: Il
mistero del male (Laterza). Da anni egli affronta il significato
politico della fine dei tempi, sfrondandolo dagli orpelli apocalittici e
cogliendone il senso in una plausibile ricerca filologica. I testi a
volte ci parlano: nella loro autorevolezza sopportano l’usura del tempo e
ci indicano strade che avevamo abbandonato. Non è questo il senso della
tradizione, di quella sapienza archeologica che segna a volte il nostro
agire più consapevole?
Proprio Joseph Ratzinger, appena trentenne,
pubblicò un dotto articolo per spiegare la posizione dottrinaria di
Ticonio in merito alla Chiesa. Costui era un donatista che avendo
descritto una Chiesa al tempo stesso malvagia e giusta, seppe coglierne
la struttura bipartita che comprende in sé tanto il peccato quanto la
grazia. In una prospettiva escatologica questi due corpi della Chiesa
sono destinati a convivere fino alla fine dei tempi. Allorché il
Giudizio universale dividerà definitivamente i malvagi dai giusti, il
Cristo dall’Anticristo. Fino a quel momento le due “anime” conserveranno
una loro presenza nello stesso corpo della Chiesa. È in questo contesto
teologico che Agamben colloca il gesto rivoluzionario di Benedetto XVI.
Che non è un atto di viltà – accusa già rivolta a Celestino V – né di
stanchezza, ma una meditata e sofferta scelta dottrinaria che lo ha
posto all’altezza della drammatica situazione in cui la Chiesa si trova a
vivere.
Può, infatti, questo istituto millenario attendere che il
gran conflitto tra i malvagi e i giusti si risolva alla fine dei tempi?
Ecco perché la prospettiva escatologica va ricondotta a quella storica,
il tempo dell’apocalisse al nostro tempo. La Chiesa, ci rammenta
Agamben, non può sopravvivere se rimanda passivamente alla fine dei
tempi la soluzione del conflitto che ne dilania il “corpo bipartito”.
D’altro canto, l’aver ignorato lo sguardo escatologico ha pervertito
l’azione salvifica della Chiesa nel mondo. L’ha resa per così dire cieca
e priva di scopo. Di qui gli scandali, la corruzione e quel corredo
negativo che ne hanno stravolto l’immagine. Agamben sottrae il male al
cupo dramma teologico e lo restituisce al suo vero contesto storico, nel
cui spazio ognuno è chiamato a fare senza riserve la sua parte.
Decidere, d’accordo. Ma su cosa? E per quali opzioni o scelte?
Benedetto
XVI suggerisce una strada. La sua decisione radicale rinvigorisce
l’idea di giustizia e di legittimità. Rimette in moto una macchina
politica senza la quale la Chiesa sarebbe destinata a inabissarsi. Non è
di un analogo destino che soffre la nostra società? Ancora una volta
teologia e politica incrociano due categorie – legittimità e legalità -
oggi confuse o smarrite. La profondità della crisi che la nostra società
sta attraversando, dice Agamben, va ricondotta anche al tentativo della
modernità di far coincidere legalità e legittimità.
Una Chiesa dei
giusti non trionferà senza una lotta ai malvagi; così come una società
equa non prevarrà senza il ricorso alla giustizia che è un concetto più
profondo della legalità. Chi può avere oggi la forza di trasferire nel
profano ciò che Benedetto XVI – con il suo richiamo all’Auctoritas (al
potere spirituale) - ha svolto nell’ambito del teologico? Le nostre
vite, attraversate da crisi terribili, hanno urgenze mondane che si
scontrano con l’ideologia liberista oggi dominante. Nota Agamben che il
paradigma del mercato autoregolantesi si è sostituito a quello della
giustizia e finge di poter governare una società sempre più
ingovernabile secondo criteri esclusivamente tecnici. Chiamiamola pure
dittatura dell’algoritmo. Ma chi oggi ha un potere così immenso da
potervi perfino abdicare? Non è da questa rinuncia che possa nascere una
nuova occasione per la politica. Perché il potere sembra esser sfuggito
dalle mani dell’uomo. Ecco il dramma storico e il “mistero” dal quale
bisogna ripartire.
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